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6. "Tesis" di Alejandro Amenabar |
Pythoniana
Reg.: 06 Lug 2004 Messaggi: 1257 Da: Gorizia (GO)
| Inviato: 23-11-2004 16:38 |
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ovvero...
LA COSTRUZIONE DELLA SUSPENCE IN TESIS
TRA LA PRATICA DI AMENABAR E LA TEORIA DI HITCHCOCK
1. INTRODUZIONE.
Tesis (1996), pellicola d’esordio del regista ispano-cileno Alejandro Amenabar, è un thriller che narra la vicenda di Ángela, studentessa che sta preparando una tesi sulla violenza nei film e si ritrova coinvolta in una serie di delitti che la portano a scoprire l’esistenza, all’interno della sua università, di un traffico di snuff movies (film che riprendono scene di violenza reale). Insieme ad un altro studente, Chema, inizia una personale indagine che la porterà, pur dopo varie peripezie e dopo aver rischiato più volte la vita, a scoprire la verità.
Salutato con entusiasmo dalla critica all’epoca della sua uscita, il film mise in luce la già notevole maturità del regista (allora appena 23enne) ed anche la sua notevole capacità di maneggiare le tecniche della suspence.
Proprio a quest’aspetto è dedicata l’analisi che segue, incentrata sulla descrizione di dette tecniche e sul rapporto tra l’utilizzo che ne fa Amenabar e le teorie in merito codificate da Alfred Hitchcock, maestro della suspence e nume tutelare del giovane autore, come da ammissione del diretto interessato.* In particolare, mi soffermerò sulle prime due sequenze di suspence del film, a mio avviso particolarmente significative ed adatte a sviluppare questo discorso.
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* P. MARÍN, Alejandro Amenabar: “Mis espectadores no pueden pararse de la butaca”, «Qué pasa», n.1393, 23 dicembre 1997.
_________________ "Riempi il tuo cranio di vino prima che si riempia di terra, disse Kayam." Nazim Hikmet |
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Pythoniana
Reg.: 06 Lug 2004 Messaggi: 1257 Da: Gorizia (GO)
| Inviato: 23-11-2004 16:38 |
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2. ÁNGELA NELLA METROPOLITANA (00’00” - 02’06”).
La prima sequenza è quella che apre il film, e che vede la protagonista, Ángela, nella metropolitana. Un addetto avverte i viaggiatori che il convoglio su cui si trovano non può proseguire il tragitto a causa di un incidente (un uomo, come viene detto subito dopo, si è tolto la vita gettandosi sui binari); quindi noi seguiamo Ángela che si alza dal suo sedile, s’incammina lungo il corridoio del vagone, scende sulla banchina e lentamente si avvicina, in fila con gli altri passeggeri, all’uscita della stazione, situata all’altezza della testa del convoglio, e quindi al cadavere del suicida. Involontariamente e morbosamente attratta dalla scena del delitto, la ragazza tenta di avvicinarvisi, tra inservienti che cercano di tenere a distanza la gente ed una barella che arriva a portare via il corpo dell’uomo. Quando ormai Ángela si trova a pochi passi dal cadavere ed è sul punto di vederlo, la mano di un addetto della metropolitana la afferra da dietro facendola ritrarre ed impedendole così la vista del morto. Tornata quindi nella fila dei passeggeri, la ragazza se ne va dalla banchina imboccando l’uscita.
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Pythoniana
Reg.: 06 Lug 2004 Messaggi: 1257 Da: Gorizia (GO)
| Inviato: 23-11-2004 16:39 |
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Da un punto di vista contenutistico è interessante notare come una sequenza apparentemente senza legami narrativi con il resto della pellicola svolga invece la funzione di anticipare quello che sarà il tema principale del film: la visione, e, più nello specifico, la visione della violenza e della morte.
Ángela ha paura di vedere ma allo stesso tempo è spinta a farlo (come accadrà anche successivamente, nella scena in cui con Chema guarda il filmato dell’assassinio di Vanessa); e quando il “rischio” sta per concretizzarsi, viene salvata in extremis, come accadrà, in maniera molto più drammatica, alla fine del film (e l’anticipazione proposta in questa sequenza introduttiva non appare casuale).
Proprio partendo dall’esperienza della visione, Amenabar costruisce questa sequenza attorno all’identificazione tra la protagonista e lo spettatore: quello che lei viene a sapere e vede della situazione in cui si trova è quello che veniamo a sapere e vediamo noi; ci troviamo, quindi, di fronte ad un caso di focalizzazione interna. Il tutto, con un espediente forse “facile” ma sicuramente efficace, è costruito attraverso la scelta dell’ocularizzazione interna secondaria, attraverso, cioè, una serie di coppie di inquadrature A-B, dove A è la soggettiva dal punto di vista di Ángela e B è un controcampo, quindi un’oggettiva che basandosi su un raccordo di sguardo ci mostra frontalmente la protagonista. Questa dialettica soggettiva-oggettiva occupa buona parte della sequenza: su 26 inquadrature che la compongono, infatti, ben 22 rispettano questa logica stilistica. Alla base della scelta diversa che caratterizza le altre quattro inquadrature (che per praticità chiamerò rispettivamente A, B, C e D, poiché su esse ritornerò più avanti), invece, c’è sempre la necessità di una contestualizzazione: la prima (A), quella iniziale, ci mostra un totale dell’interno del vagone, così da presentare il teatro dell’azione. La seconda (B) si ha quando Ángela, sulla banchina, esce dalla fila e noi, dopo un’inquadratura frontale, la vediamo di spalle avanzare dirigendosi verso la scena del delitto; si costruisce così uno spazio tripartito: a destra il convoglio, a sinistra i passeggeri ed al centro Ángela, che si stacca da questi e va ad occupare uno spazio altrimenti in apparenza vuoto. Se però analizziamo semanticamente la sequenza, possiamo notare come essa ci presenti tre attori: Ángela, la folla ed il morto; così la ragazza, spostandosi al centro dell’inquadratura, lascia la folla non andando a riempire uno spazio vuoto ma avvicinandosi al cadavere, cosa messa vieppiù in evidenza dalla scelta di introdurre il ralenti, elemento su cui mi soffermerò poi. La terza inquadratura (C) è la panoramica che parte dalla protagonista e si muove verso destra fino a porre in primo piano l’addetto della metropolitana che cerca di allontanare i curiosi (personaggio che può forse essere considerato a parte rispetto alla folla, visto che si tratta di colui che a fine sequenza allontanerà Ángela dalla scena del suicidio ed ha quindi una sua importanza nell’economia della narrazione); la quarta (D), infine, è quella caratterizzata dal movimento della macchina da presa a seguire l’arrivo in scena della barella. Le ultime tre inquadrature descritte, inoltre, al di là della funzione ritmica (quella, cioè, di creare una minima pausa all’interno della dialettica soggettiva-oggettiva di Ángela), hanno anche la funzione di suggerire con più forza la minaccia incombente sulla protagonista (la possibilità-rischio di vedere il cadavere), proponendo campi più ampi di quelli consentiti alla soggettiva e presentando dettagli significativi (la barella) con un dinamismo che accentua la drammaticità della situazione.
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Pythoniana
Reg.: 06 Lug 2004 Messaggi: 1257 Da: Gorizia (GO)
| Inviato: 23-11-2004 16:39 |
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Ma è il caso, dopo averne accennato, di ritornare sul ritmo, senz’altro una delle componenti fondamentali della sequenza. Ho già citato l’ocularizzazione interna secondaria che ne è l’aspetto più evidente; essa, oltre ad assolvere ad una (e più elementare) funzione visiva, è utilizzata anche in senso temporale, giacché permette una certa dilatazione del tempo dell’azione che non sarebbe stata realizzabile (o comunque con minori effetti di suspence) se il regista si fosse limitato a seguire la protagonista con un’unica inquadratura. C’è poi un altro elemento, a questo proposito, che emerge con grande evidenza: è chiaramente l’uso del ralenti, anch’esso teso a dilatare il tempo ed aumentare così l’attesa dello spettatore.
Amenabar, inoltre, introduce nella sequenza un numero crescente di elementi ritmici man mano che l’azione prosegue e si avvia verso la sua conclusione, creando così un climax ascendente: s’inizia senza musica, ed essa entra in scena solo quando l’azione è già cominciata (nell’inquadratura che ci propone la soggettiva di Ángela, già incamminata nel corridoio del vagone – e significativamente il tema musicale inizia proprio quando appare il titolo del film in sovrimpressione); poi la musica prosegue e, quando Ángela è già scesa dal vagone, iniziano le scene al ralenti, che, con l’eccezione di tre inquadrature, caratterizzano il finale della sequenza fino al suo culmine, quando cioè una mano allontana improvvisamente la ragazza dalla scena (ed il senso d’improvviso è appunto aumentato dal contrasto tra le due scene successive in cui lei prima è sul punto di vedere il morto, poi viene trascinata via: la prima è al ralenti, la seconda a velocità normale ed in più caratterizzata da un movimento rapido). Anche relativamente a queste scene al rallentatore, inoltre, è possibile individuare una precisa scelta ritmica: non si passa direttamente da un’insieme di inquadrature a velocità normale ad uno di scene al ralenti, ma il passaggio avviene tramite una serie alternata di inquadrature a velocità diverse, a partire dalla scena in cui vediamo Ángela ripresa frontalmente sulla banchina che esce dalla fila, girata inizialmente a velocità normale, poi, quando la ragazza si allontana dalle altre persone, rallentata. Si presentano perciò otto inquadrature successive organizzate secondo questo schema:
1) E+F (l’inquadratura descritta sopra);
2) F (controcampo, Ángela vista di spalle, cioè la citata inquadratura B);
3) E (soggettiva di Ángela);
4) F (oggettiva e primo piano frontale di Ángela);
5) E (panoramica verso destra, da Ángela all’addetto della metropolitana, cioè C);
6) F (soggettiva di Ángela che riprende l’inquadratura 3);
7) E (primo piano a seguire la barella che entra in scena, cioè D);
F (soggettiva di Ángela che segue il movimento della barella).
E e F sono quindi da intendersi, rispettivamente, come inquadrature a velocità normale ed inquadrature al ralenti; si ha così, seguendo lo schema, un passaggio graduale dalle prime alle seconde, che caratterizzeranno anche le 4 inquadrature successive alla 8, fino al culmine della suspence.
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Pythoniana
Reg.: 06 Lug 2004 Messaggi: 1257 Da: Gorizia (GO)
| Inviato: 23-11-2004 16:40 |
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Nonostante tutte le considerazioni possibili riguardo alle immagini, anche il sonoro ha poi una sua importanza: all’inizio c’è l’annuncio fatto dagli addetti della metropolitana, che ha la funzione da un lato di fornirci le informazioni necessarie riguardo alla situazione presente, dall’altro quella di ingenerare un senso di attesa/desiderio per la possibile visione del delitto (il tutto morbosamente acuito dal particolare riferito dall’addetto: “Il corpo di quell’uomo è tagliato in due”). Poi, a parte il vociare per lo più indistinto della folla, l’unico commento sonoro alla sequenza diviene la musica (extradiegetica) di cui dicevo poc’anzi. Il suo ingresso in scena ci fornisce un chiaro indizio dell’ansia della protagonista (tanto più che essa diviene sistematicamente più pressante nelle inquadrature in soggettiva), e cresce d’intensità di pari passo con essa fino al momento in cui Ángela viene distolta dalla possibile vista del suicida. È da notare però la particolare distribuzione del sonoro diegetico effettuata da Amenabar: a fine sequenza, il brusio della folla scompare nelle scene che propongono le soggettive di Ángela, e lo stesso avviene anche nelle ultimissime inquadrature in oggettiva che precedono il climax (cioè il punto in cui l’addetto porta via la ragazza dalla scena del suicidio). Lo spettatore rimane così solo con la musica, che provoca così un senso di straniamento utile ad aumentare la suspence.
Infine, un ulteriore elemento ritmico può essere visto nella presenza dei titoli di testa. Ognuna delle prime sette inquadrature contiene un’immagine testuale in sovrimpressione che appare e poi scompare all’interno della stessa inquadratura (1: “Con la colaboración de SOGEPAQ. S.A”; 2: “Un film de LAS PRODUCCIONES DEL ESCORPIÓN. S.L.”; 3: “ANA TORRENT”; ecc.), con l’eccezione della quinta, abbastanza prolungata da giustificare l’inserimento di due successive titolazioni. Poi, a partire dall’ottava, in più di un caso la stessa riga di titolo inizia in un’inquadratura e “sfora” nella successiva, fino al caso estremo delle ultime tre inquadrature al ralenti (climax della suspence) che si spartiscono il titolo relativo al nome del produttore. In questa parte finale della sequenza i titoli giocano quindi anche un ruolo di raccordo tra le diverse inquadrature, ed è infatti significativo il fatto che la presenza delle scritte in sovrimpressione sia l’elemento che lega le inquadrature C e D a quelle che le precedono, con le quali altrimenti non avrebbero raccordi formali.
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Pythoniana
Reg.: 06 Lug 2004 Messaggi: 1257 Da: Gorizia (GO)
| Inviato: 23-11-2004 16:40 |
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3. FIGUEROA NELLA VIDEOTECA – ÁNGELA E CHEMA A CASA DI QUEST’ULTIMO (08’21” - 13’14”)
Questa sequenza (o meglio, questa sotto-sequenza, visto che le immagini relative ad Ángela e Chema riprendono un segmento dell’azione iniziato in precedenza) ci propone in simultanea, grazie alla scelta del montaggio alternato, il professor Figueroa nella videoteca della facoltà, impegnato a cercare un film per Ángela, e la protagonista a casa di Chema mentre visiona con il compagno di studi la cassetta di un film che propone immagini di particolare violenza.
Inizialmente vediamo Figueroa che si reca dal custode e con una scusa lo convince a farlo entrare nel deposito, mentre l’uomo lo avverte circa la presenza, nel locale, di un suo collega: una volta rimasto solo, il professore cerca su un catalogo l’ubicazione delle cassette che sta cercando, poi comincia per i corridoi l’esplorazione della videoteca. Qui, con un primo stacco, Amenabar ci mostra delle scene di violenza, facendoci poi subito rendere conto del fatto che si tratta di immagini che Ángela e Chema stanno guardando alla tv; quindi un breve scambio di battute tra i due ci fornisce il punto di vista della protagonista in merito a quel tipo di pellicole (“Mi danno la nausea”). La narrazione ritorna allora su Figueroa che rischia di essere sorpreso da un personaggio che non ci viene mostrato; scampato il pericolo, il professore prosegue nella sua ricerca, fino a giungere nella stanza che contiene le pellicole che va cercando. L’ansia che prova è resa palese dall’immagine di lui che si ferma per prendere delle pastiglie, presumibilmente dei tranquillanti. Torniamo ora sui due ragazzi, sempre introdotti da una scena del film che stanno guardando; il dialogo stavolta verte sull’esperienza dell’aver assistito un omicidio: “Io non ho mai visto uccidere”, dice Ángela, mentre il regista torna su Figueroa che prende una cassetta da uno scaffale; quindi la voce del custode, che vediamo entrare nella videoteca, lo avverte che ormai è giunta l’ora di chiusura. e Figueroa, presa la cassetta, si reca nella sala di proiezione adiacente. Per l’ultima volta, una scena di violenza alla tv ci riporta ad Ángela e Chema, con questi che, finito il film, stoppa la pellicola (“E con questo, fine dello spettacolo”). Subito dopo, ecco Figueroa che invece, seduto nella sala di proiezione, fa partire la riproduzione della cassetta che ha preso; abbiamo solo il tempo di vedere le linee di sintonia che appaiono sullo schermo prima che una dissolvenza in nero chiuda la sequenza.
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Pythoniana
Reg.: 06 Lug 2004 Messaggi: 1257 Da: Gorizia (GO)
| Inviato: 23-11-2004 16:43 |
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La considerazione forse più immediata è quella relativa all’importanza minore del ritmo, in questo caso, rispetto alla sequenza d’apertura. È vero che l’utilizzo del montaggio alternato è di per sé una chiara scelta ritmica, ma all’interno delle singole porzioni di sequenza che riprendono di volta in volta Figueroa ed i due ragazzi il ritmo non pare elemento di particolare rilevanza. La suspence in questa circostanza è basata infatti soprattutto sull’atmosfera e su una serie di allusione che il regista distribuisce all’interno della sequenza. Da notare anche come, a differenza dell’episodio precedente, qui Amenabar rinunci quasi totalmente all’utilizzo della soggettiva, presente solo in un’inquadratura, che ci permette di vedere un corridoio con gli occhi di Figueroa. Stavolta, perciò, non c’è alcun tentativo di far identificare spettatore e personaggio, il nostro sguardo si trova sempre ad una certa distanza da Figueroa, e così ecco la scelta di presentarcelo immerso nell’ambiente e di “«… far vedere prima [ciò che minaccia il personaggio] affinché il pubblico sia cosciente di quello che sta succedendo»; così il film prepara lo spettatore alla «minaccia» della sospensione del senso”*.
L’obiezione logica, a questo punto, è che noi non vediamo nulla che minacci il professore, come del resto lui stesso. Eppure Figueroa è in ansia, ed anche noi lo siamo per lui. In parte perché, proprio come Hitchcock insegna, “… Uno che va a rovistare nei cassetti non ha certo bisogno di essere un personaggio simpatico, il pubblico starà comunque in apprensione per lui…”; e rovistare nei cassetti, metaforicamente parlando, è quello che fa il personaggio. E se la sua ansia appare dovuta al fatto che non vuole farsi scoprire mentre cerca videocassette di un certo tipo (in una sequenza precedente dice ad Ángela, che cerca di convincerlo a procurarle una cassetta: “… Mi sento un po’ in imbarazzo a dover chiedere questo genere di materiale: penseranno che sono un sadico…”), a motivare la nostra ci sono elementi ulteriori. Un attimo prima della citazione di Hitchcock riportata sopra, Cosetta Saba anticipa il concetto in termini più tecnici: “… una persona «curiosa» che penetri nella camera di un altro e frughi nei cassetti […] fa scattare «qualcosa» nell’attenzione spettatoriale, una tensione, un disagio determinato proprio dal vantaggio cognitivo che l’istanza enunciativa gli ha accordato (focalizzazione zero), che lo fa stare in ansia per l’esito della vicenda e lo rende inquieto…”. Si parla dunque di focalizzazione zero; a rigor di evidenza, però, dovremmo anche in questo caso parlare di focalizzazione interna, giacché nelle scene con Figueroa vediamo ciò che vede lui e sentiamo ciò che sente lui, nulla di più. Eppure veniamo a sapere qualcosa di più, proprio grazie alle allusioni seminate da Amenabar di cui dicevo prima.
Il regista qui si appella evidentemente all’esperienza dello spettatore per fargli interpretare alcuni elementi apparentemente non significativi: il primo è dato dalla natura “segreta” della ricerca di Figueroa (che infatti mente al custode sull’oggetto di essa), che come detto, già da sola provvede a fornire una quota di ansia. Un secondo espediente, piuttosto palese, emerge dal dialogo tra i due uomini: il custode dice al professore che nella videoteca si trova già un suo collega, ma non gli dice di chi si tratti, e questo già basta, nello spettatore smaliziato, a far suonare un campanello d’allarme. È chiaro che l’informazione che ci viene data ha una sua importanza nell’economia della narrazione: di regola, se in un thriller si viene a sapere di un personaggio la cui identità rimane però celata, spesso si tratta dell’assassino o comunque di qualcuno implicato nel crimine in oggetto. Noi in questo caso non ne avremo conferma fino alla fine del film, ma già il sospetto basta a creare la tensione, nel momento in cui Figueroa si ritrova da solo nello stesso locale in cui si trova lo sconosciuto. Si è quindi creato un archetipo del thriller: un personaggio che sta facendo qualcosa di “proibito” e si ritrova in un ambiente chiuso con un altro personaggio che non conosce/conosciamo e che non gli/ci è dato di vedere.
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* F. TRUFFAUT, Il cinema secondo Hitchcock, Pratiche Editrice, Parma 1977, p. 213; citato in C. G. SABA, Alfred Hitchcock. La finestra sul cortile, Lindau, Torino 2001, p. 144.
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How long have I been sleeping
How long have I been drifting alone through the night
How long have I been dreaming I could make it right
If I closed my eyes and tried with all my might
To be the one you need
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Pythoniana
Reg.: 06 Lug 2004 Messaggi: 1257 Da: Gorizia (GO)
| Inviato: 23-11-2004 16:44 |
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Dati questi presupposti, ecco poi che l’attenzione del regista si sposta sulla creazione dell’atmosfera: l’ambiente del deposito è pensato in senso impressionista, è decisamente scuro, quindi opprimente; le poche luci sono fioche e diffuse, ed il contrasto con il corridoio illuminato in maniera più “dura” è netto. Qui Amenabar ci mostra chiaramente la sua perizia nel lavorare con le luci e la fotografia e nell’utilizzare lo spazio. Nelle maggioranza delle inquadrature che compongono la sequenza, Figueroa si trova incorniciato tra spazi bui, quasi prigioniero: l’effetto è chiaramente visibile soprattutto nella quinta inquadratura, quando grazie ad una carrellata verso destra lo vediamo camminare nel corridoio interno del locale, e poi nell’undicesima e nella tredicesima, quando lo vediamo ripreso frontalmente; in queste scene sono gli scaffali a creare un effetto-cornice, nel primo caso “scorrendo” in primo piano grazie alla loro prossimità rispetto alla macchina da presa, negli altri semplicemente con la loro presenza ai lati del personaggio. Un esempio analogo che però sfrutta altri elementi spaziali lo si trova dopo l’unica soggettiva della sequenza, quando il professore entra nella stanzetta in cui poi troverà la videocassetta e la macchina da presa, posizionata all’interno della stanza medesima, lo riprende frontalmente: qui è il contrasto tra la porzione di corridoio che vediamo, illuminata, ed il buio della stanza a creare l’effetto di cui sopra.
Ma, sempre parlando dell’utilizzo della luce, il dato più importante è probabilmente un altro: ad eccezione di alcune inquadrature particolarmente ravvicinate, Figueroa è sempre in controluce, vale a dire che lui stesso è buio, tenebra: persino nei due casi in cui è lui ad attivare delle luci (terza e sedicesima inquadratura), il regista fa in modo che esse siano strategicamente piazzate alle spalle del personaggio, che diviene così una semplice sagoma scura. La relazione metaforica tra questi dettagli ed il destino del personaggio che Amenabar ci vuol fare intuire è piuttosto chiara: le tenebre in cui si muove Figueroa e di cui lui stesso “è fatto” sono quelle della morte. In quest’ottica, è interessante soffermarsi sull’unica inquadratura che ci da la percezione diretta della presenza di un’altra persona all’interno della videoteca (presumibilmente l’altro professore cui faceva riferimento il custode). Visto che, come detto, quest’altra persona non viene vista, il regista si limita a farne sentire i passi, creando così un picco di ansia non solo nel personaggio protagonista della sequenza ma anche nello spettatore. Nell’inquadratura in questione, la decima, la macchina da presa prima segue Figueroa verso sinistra, quando questi, spaventato dai passi, si nasconde dietro uno scaffale; poi opera un movimento in senso contrario quando, rassicurato dal rumore di una porta che si chiude, a significare l’uscita di scena dell’altro personaggio, ritorna ad esplorare il locale. Nei quarantuno secondi in cui si sviluppa questa azione, il professore viene prima ripreso in primo piano ed è in favore di luce, poi i passi dello sconosciuto, e quindi, potremmo dire per sineddoche, lo sconosciuto stesso, lo “costringono” nelle tenebre. Stante quindi la già data equazione tenebre-morte, questa ulteriore metafora anticipa l’idea che lo sconosciuto conduca alla morte Figueroa, cioè, in sostanza, lo uccida egli stesso. È vero che nel prosieguo dell’azione il professore torna in favore di luce, ma l’inquadratura comunque si conclude proponendocelo di spalle ed in controluce. Concludendo l’analisi di questo aspetto, va citata la diciottesima inquadratura, quella in cui Figueroa, entrato nella stanza in cui troverà la cassetta, viene ripreso frontalmente e dal basso mentre avanza fino a posizionarsi davanti all’unica sorgente luminosa, ponendosi così per l’ennesima volta in controluce, e lì si ferma. L’azione presenta qui un piccolo climax per quanto riguarda la suspence, poiché abbiamo la concomitanza di quattro fattori importanti: l’utilizzo particolare della luce; il tipo di angolazione, che si differenzia nettamente rispetto alle scelte orizzontali che fin qui hanno dominato la sequenza (anche se occorre rilevare che anche nell’inquadratura precedente, con il personaggio di spalle, si era data un’analoga angolazione); la fine dell’azione, visto che Figueroa, giunto alla fine della sua esplorazione, si ferma; infine, il suo movimento, che lo porta ad occupare quasi l’intero schermo, in modo da precluderci la vista dell’ambiente circostante. A questo punto lo spettatore ha diversi elementi in grado di fargli presagire che qualcosa sta per accadere; ed invece Amenabar si diverte a spiazzarlo, visto che l’inquadratura successiva ci riporta ad Ángela e Chema. Ma la voglia di spiazzare il pubblico, come si evince chiaramente dai finali delle sequenze (su cui mi soffermerò poi), non si avrà solo in questo frammento.
Se però è impressionista il trattamento dell’ambiente, è decisamente più realista rispetto alla prima sequenza la scelta del sonoro: quello extradiegetico (musica) è quasi assente, e lo ritroviamo solo in quattro delle ultime inquadrature della sequenza, quando la suspence raggiunge l’apice. In precedenza, a creare la giusta tensione basta la messa in primo piano degli elementi diegetici: il rumore dei passi, il respiro affannoso di Figueroa, i suoi colpi di tosse. Tutti fattori semplici ma che danno con immediatezza il senso e la misura dell’ansia provata dal personaggio.
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Pythoniana
Reg.: 06 Lug 2004 Messaggi: 1257 Da: Gorizia (GO)
| Inviato: 23-11-2004 16:47 |
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L’ultimo aspetto da trattare relativamente a questa sequenza è il rapporto tra le scene con Figueroa e quelle con Chema ed Ángela, proposte per una scelta precisa con un montaggio alternato. Ho detto che il regista non cerca di creare un rapporto di identificazione tra lo spettatore e Figueroa; al contrario, c’è invece un certo parallelismo tra lo spettatore ed i due ragazzi (in particolare Ángela), dato dall’elemento chiave della visione: allo stesso modo in cui Ángela e Chema guardano sullo schermo delle scene di violenza, noi aspettiamo di vedere sullo schermo la violenza di cui, immaginiamo, verrà fatto oggetto il personaggio di Figueroa. Lo scarto tra i due binari paralleli è quindi quello esistente tra la visione della violenza e l’attesa della visione della violenza. Ai fini del discorso relativo alla suspence, però, è più importante segnalare l’aspetto sonoro, quello, cioè, dato dal dialogo tra i due ragazzi. In particolare, trovo che siano due le battute da considerare con attenzione: la prima, venticinquesima inquadratura, è quella di Ángela che dice: “Io non ho mai visto uccidere”. Il fatto che la frase abbia un significato importante lo si deduce chiaramente dal fatto che viene detta quando la narrazione è già tornata a Figueroa e quindi mentre è lui, e non Ángela, che vediamo. Qual è il legame tra la battuta e Figueroa? “Io non ho mai visto uccidere” è una frase che sembra sottintendere la possibilità che in futuro un’esperienza del genere accada; a questo punto, visto il clima d’incombente minaccia che già grava sul professore, quella che solo apparentemente è la notazione en passant di un personaggio si trasforma in un avvertimento per gli spettatori: “Attenzione, perché tra poco potreste assistere all’assassinio di Figueroa”. La seconda frase è l’ultima della sequenza, detta da Chema quando, a film finito, stoppa la videocassetta che lui ed Ángela stavano guardando: “Fine dello spettacolo”. Anche qui il riferimento è a Figueroa, che vediamo nell’inquadratura successiva mentre, con un’azione che riprende quella appena compiuta da Chema, fa iniziare la riproduzione della cassetta che ha preso e si accinge a guardarla. A questo punto il climax della suspence è già passato, Figueroa, giunto nella luminosa sala di proiezione sembra salvo, contrariamente alle nostre attese precedenti. Ecco però il secondo spiazzamento operato da Amenabar nella sequenza. Proprio nel momento in cui pare che il professore non abbia più niente da temere, il regista inserisce, con quella battuta, un indizio di ciò che sta per accadere. Se la frase, intesa in senso letterale, ha una connotazione positiva (la fine, per Ángela, di uno spettacolo che, come aveva detto in precedenza, le dava la nausea; quindi, in un senso lato, una forma di salvezza), simbolicamente, e applicata a Figueroa, ha un senso totalmente opposto. Noi ancora non lo sappiamo, ma la visione della cassetta trafugata sarà la causa della morte del professore; quindi, per uno spettacolo che finisce in senso stretto (e proprio mentre Figueroa ne fa iniziare un altro), ce n’è uno che sta per finire in senso figurato, cioè la vita del professore. E proprio questo vuole anticipare Amenabar con l’utilizzo della battuta.
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Pythoniana
Reg.: 06 Lug 2004 Messaggi: 1257 Da: Gorizia (GO)
| Inviato: 23-11-2004 16:48 |
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4. CONCLUSIONI – AMENABAR E HITCHCOCK.
Analizzate singolarmente le due sequenze, resta ora da individuarne i punti comuni e mettere quindi in luce gli eventuali rapporti tra la pratica di Amenabar e gli insegnamenti di Hitchcock.
Il rilievo più scontato è che in entrambi i casi ci troviamo di fronte a situazioni di suspence frustrata: in altre parole ci attendiamo di vedere in un caso una cosa che poi non vedremo (il cadavere del suicida), nell’altro una scena che nemmeno avverrà (Figueroa infatti non verrà assassinato ma morirà per un arresto cardiaco). È evidente allora la lezione hitchcockiana di suspence come forma e non come contenuto: il fatto che lo stato d’ansia indotto nello spettatore dal regista non trovi poi un riscontro alla fine della sequenza non toglie nulla all’efficacia della medesima. Questa stessa frustrazione dell’attesa ci porta poi a considerare un altro aspetto che accomuna i due autori: la scelta di spiazzare lo spettatore. Hitchcock ne parla citando il concetto di red herring, in altre parole una falsa pista narrativa creata allo scopo di tradire l’orizzonte d’attesa del pubblico: “… Lei sa che il pubblico cerca sempre di anticipare,” dice Hitchcock a Truffaut*, “gli piace poter dire: «Ah! Io so cosa succederà adesso». Allora non bisogna soltanto tener conto di questo, ma dirigere completamente i pensieri dello spettatore…”. C’è però da dire che se il concetto di fondo è analogo, lo scopo dello stratagemma è opposto: Amenabar, nei casi esaminati, se ne serve per farci presagire una svolta negativa della narrazione che non avverrà (o che un’ellissi non ci farà vedere); al contrario Hitchcock ne parla in riferimento a situazioni in cui si fa credere allo spettatore che non accadrà nulla di male ad un personaggio che invece, di lì a poco, si troverà in pericolo (e la frase succitata viene infatti usata come preludio alla descrizione del “rassicurante” dialogo tra Anthony Perkins e Janet Leigh in Psyco, poco prima che lui uccida la ragazza).
Se quanto detto finora ci può far pensare ad una sostanziale adesione di Amenabar ai modelli hitchcockiani, vanno però posti alcuni distinguo: il primo, che in realtà investe più il senso intero del film che non le dinamiche della suspence, è dato dal fatto che Tesis è un whodunit, per dirla con Hitchcock**, cioè un film il cui interrogativo ultimo è: chi ha compiuto il crimine? Il genere di film, cioè, che il regista inglese aborriva, preferendo altre situazioni ed altri interrogativi (uno per tutti: come farà un uomo accusato ingiustamente a dimostrare la propria innocenza?). La seconda e più significativa differenza tra i due autori riguarda la focalizzazione, vale a dire il rapporto tra ciò che sa lo spettatore e ciò che sanno i personaggi; “Il saperne più dei personaggi determina, in un certo contesto, un effetto di suspense;” scrivono Rondolino e Tomasi citando un celebre esempio di suspence riportato da Hitchcock*** “il saperne come i personaggi da’ origine, al contrario, a un effetto di sorpresa”. Ora, è chiaro che Amenabar, al pari di Hitchcock, privilegia la suspence rispetto alla sorpresa; come si spiega allora la creazione della suspence, nella seconda sequenza, in regime di focalizzazione interna? In altre parole, com’è che noi, sapendo quello che sa Figueroa, temiamo non solo che possa essere scoperto ma addirittura che la sua vita sia in pericolo? Una spiegazione tecnica, partendo da vari elementi, è già stata data, ne occorre ora una complessiva: la risposta sta allora nell’esperienza dello spettatore in quanto tale. Svariati film di suspence ci hanno insegnato, nel corso degli anni, ad interpretare in un’ottica precisa determinati elementi (sia filmici sia profilmici) che il regista ci fornisce volta per volta, e proprio su questo gioca Amenabar: sulla ripetizione di cliché già noti (il buio, il luogo chiuso, lo sconosciuto, ecc.). Si può dire, con un pizzico di cattiveria, che è più facile “giocare” con lo spettatore del 2000, più smaliziato di quello di mezzo secolo fa. Ma probabilmente non si farebbe torto a nessuno dei due registi se, stanti delle ovvie differenze e fatte le debite proporzioni, si affermasse che Amenabar “aggiorna” la lezione hitchcockiana ai nostri tempi o che, in altri termini, Hitchcock oggi girerebbe in maniera simile al giovane collega.
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* F. TRUFFAUT, op. cit., p. 227.
** F. TRUFFAUT, op. cit., p. 59.
*** G. RONDOLINO, D. TOMASI, Manuale del film, UTET, Torino 1995, p. 42.
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13Abyss
Reg.: 20 Lug 2003 Messaggi: 7565 Da: Magliano in T. (GR)
| Inviato: 23-11-2004 17:03 |
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Complimenti per il tutto.
Leggerò attentamente,
appena avrò rimediato il film (a dir la verità lo cerco da un pezzo...)
_________________ Rubare in Sardegna è il Male. |
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Hawke84
Reg.: 08 Giu 2004 Messaggi: 5586 Da: Cavarzere (VE)
| Inviato: 04-12-2004 02:36 |
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Complimenti! ho scoperto solo ora il topic.
La tarda ora non mi permette di leggere tutto con attenzione ma prometto che lo faro al più presto!
Il film l'ho visto e ce l'ho anche a portata di mano!
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Siamo tutti case vuote e aspettiamo che qualcuno apra la porta e ci liberi.[...]
Qualcuno arriva sempre per la persona che aspetta...arriva di sicuro...dalla persona che aspetta.
Kim Ki-duk in una casa vuota
[ Questo messaggio è stato modificato da: Hawke84 il 04-12-2004 alle 02:36 ]
[ Questo messaggio è stato modificato da: Hawke84 il 04-12-2004 alle 02:37 ] |
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