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Albo d'oro di Stessa storia: scriviamo |
gatsby
 Reg.: 21 Nov 2002 Messaggi: 15032 Da: Roma (RM)
| Inviato: 29-02-2008 00:43 |
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Prima edizione
max battute 4000
Incipit:
"Non molti anni prima sotto quell'albero era cambiata la mia vita"
Vincitore Sandrix: "Al sicuro"
Non molti anni prima sotto quell'albero era cambiata la mia vita.
E ora quell’albero lo vedo attraverso la grata della finestra (è un bene che ci siano le inferriate, mi piace sentirmi al sicuro da tutto l’orrore che c’è lì fuori), lo vedo ogni mattina e ogni sera, e ogni volta che voglio, dato che non mi muovo mai da qui. Del resto ormai avrei troppa paura anche solo a mettere piede fuori di qui. Chissà che diavolo potrei trovarci, in quella fiera di abomini… no no, qui dentro sono al sicuro, devo stare qui.
Dio quant’era bella.
Arabeschi del destino, a volte sono proprio bizzarri. No bizzarri è troppo vago. A volte sono proprio stronzi. Chi diavolo me l’ha messo in testa di prendermi un cane?
«Ciao».
Mi imbarazzo a salutare gente che magari conosco da anni se la incrocio per strada, figuriamoci una ragazza così bella e che non ho mai visto prima. Me la rivedo in continuazione, che si accende un’Austin Gold a due passi da me (io già impallidito dalla sua sola presenza!) e attacca bottone come si fa normalmente tra persone che si trovano a passare casualmente insieme un po’ di tempo, come in una sala d’attesa o nello scompartimento di un treno.
«…cciao»
«Quel matto là è tuo?»
«Eh? Ah, quel… ssì… sì, è mio. Cacchio ne so che gli ha preso, saranno dieci minuti che continua a correre come un ossesso»
«È proprio matto, ma è bello però. Come si chiama? Vieni bello!»
Sarai matta anche tu allora, ma mattissima.
«Scooter»
«Eh?»
«Il cane»
«Ma che nome è?»
«Eh, viene da un film di Woody Allen, ma in realtà non c’è un cane che si chiama Scooter. È una cosa un po’ contorta, non ti sto a spiegare, se non l’hai visto…»
«Che film è?»
«Manhattan»
«Ah no. Non ho mai visto nessun film di Woody Allen, non mi piace»
…
«Ah io lo adoro. Vabbè… ma il tuo invece qual è?»
«Ah no io non ho il cane»
«Ah ho capito, vieni qui a rimorchiare i bei fustacchioni»
«Seeee! Tipo te, va a finire?»
«Non l’ho detto»
«Ma l’hai pensato però!»
«Diciamo che un po’ ciò sperato»
In realtà tutto quello a cui stavo pensando era che avrei voluto esplorare con la lingua tutto il suo corpo perfetto.
«Bravo, bravo, fai bene, la speranza è sempre l’ultima a morire»
Che l’avrei presa contro quell’albero e l’avrei posseduta fino allo sfinimento, gemendo e urlando di piacere in mezzo al parco e a tutte le anime che lo popolano.
«Ti trovo qui domani allora? Ti aspetto sotto quest’albero eh, mi raccomando!»
«Ciaociao!»
La sera a casa mi sono masturbato. Anche la mattina dopo.
«Certo che ti ho aspettato davvero, una ragazza così bella quando mi ricapita?»
Ora dalla finestra rivedo quel dannato albero appesantito dalla pioggia, e mi ricorda noi che subito dopo averlo fatto sul mio letto ci siamo concessi il bis sotto la doccia.
«Io… non spaventarti, e non metterti a ridere, ma credo di essere già innamorato di te, o qualcosa del genere».
Puttana. Gliene avrei dati ventidue o ventitre, comunque non meno di venti. Mai avrei pensato che potesse avere solo sedici anni. E quella troia di una lolita tanto bella quanto infame ha pensato bene di dirmelo solo dopo essersi fatta scopare per bene.
Ho dovuto farlo, non potevo rischiare che mi rovinasse la vita. E comunque se l’è anche meritato, la puttana.
Ecco che ci aprono. Odio l’ora d’aria, odio uscire di qui.
[ Questo messaggio è stato modificato da: gatsby il 21-03-2008 alle 10:26 ]
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gatsby
 Reg.: 21 Nov 2002 Messaggi: 15032 Da: Roma (RM)
| Inviato: 21-03-2008 10:28 |
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Seconda edizione
Vincitrice Mulaky
Limite battute 5500
Incipit: Quando si svegliò, quella mattina, sembrava che la testa stesse per esploderle e fece fatica anche a guardarsi intorno
Denti bianchi
Quando si svegliò, quella mattina, sembrava che la testa stesse per esploderle e fece fatica anche a guardarsi intorno. Si prese la testa tra le mani e con i palmi si strinse le tempie. Non ricordava nulla, sentiva solo un rumore lancinante nelle sue orecchie. Non capiva cosa fosse, forse un ticchettio di un orologio, la perdita del lavandino. No, niente di tutto questo. Ascoltò bene, non era un rumore proveniente da quella casa, anzi c’era un insolito silenzio. Ciò non era possibile. Si guardò intorno, cercando di ricostruire quanto fosse successo fino all’altra sera. Non ricordava nulla, solo quel rumore secco e ripetuto ma indecifrabile, come se non esistesse. Scese dal letto e i piedi nudi atterrarono su un curioso tappeto – «Chi ha avuto il coraggio di comprare un tappeto del genere?», si domandò. Controllò tutte le stanze di quell’appartamento, cercando i tasselli mancanti per ricostruire quanto accaduto nelle ore precedenti e si accertò che quel rumore non provenisse realmente da una stanza. Sorrise non trovando la causa dei suoi mali. «Forse è così che si diventa pazzi. Dopotutto ci sono quelli che sentono le voci… no?». Si accorse di aver dormito vestita, strano per una come lei abituata alla comodità in casa.
Sollevò la levetta del rubinetto e riempì un bicchiere. Osservò le bollicine nate dal contatto dell’acqua con l’aspirina e accadde una cosa strana: per un attimo, una frazione di secondo, rimase rapita dagli schizzi e non sentì quel rumore martellante. Si alzò di scatto e rovesciò il bicchiere: l’acqua cadde e tanti piccoli cristalli brillarono di luce propria in quella cucina in penombra. Si accorse proprio in quel momento di un lungo corridoio buio mai visto prima con una miriade di porte tutte uguali. «Ma…dove… Che…posto…» non riusciva a pronunciare una frase di senso compiuto, non riusciva ad articolare un pensiero sensato. Sentiva solo il pulsare all’unisono di cuore e testa. Non capiva, ma di una cosa era sicura: doveva correre e tutto sarebbe stato più chiaro. Correre per cercare qualcosa, anche solo per trovare una via di fuga. «Quale porta scegliere?… Quale percorso?», domande alle quali non riusciva a dare una risposta e fu allora che decise di ricorrere all’unica arma disponibile: l’istinto.
Si avvicinò a una porta un po’ titubante ma si fece coraggio, appoggiò la piccola mano sul pomello dorato, prese fiato e aprì la porta. Fu immediatamente catapultata in un altro corridoio identico. Riprese a correre, aprì altre porte velocemente. Vide poche stanze, porte che portavano ad altre porte. Un labirinto senza fine. Non si perse d’animo, non voleva tornare indietro. Sapeva che avrebbe dovuto correre, anche a costo di non riuscire più a respirare. Si ritrovò in un salotto, lo ricordava vagamente ma non ebbe il tempo di ricordare nient’altro perché dovette scappare da qualcuno – «…forse qualcosa». Entrò in un’altra stanza, stavolta sconosciuta. Capì essere in un armadio, circondata da camicie bianche e a righe, tutte uguali. Cercò una via di fuga e si trovò, di nuovo, nel corridoio infinito e tortuoso. Sentiva di non essere la sola a correre, quasi come se qualcun altro stesse percorrendo i suoi stessi passi, ma al contrario e in un corridoio parallelo. Una sensazione che nemmeno lei seppe spiegarsi. Corse ancora lungo il corridoio. Entrò in una stanza luminosa, con pareti gialle e una pianta: per la prima volta aveva visto qualcosa di vivo. Sorrise. Il ticchettio si faceva più forte, era dannatamente insopportabile. Capì di essere sulla strada giusta, la soluzione era senz’altro vicina. Sfinita, aprì l’ultima porta.
Ed entrò. Il ticchettio svanì. Si trovava in un posto molto strano, quasi una grotta illuminata solo per metà e all’orizzonte un infinito nero. Sussurrò «…Tu?…», quasi non credendo a ciò che era dinanzi ai suoi occhi. Ricevette in cambio un sorriso molto dolce. Lei rimase turbata, non riusciva a capire perché era proprio lì, non lo vedeva da anni. Si avvicinò lentamente a quella che sembrava sabbia, questa almeno era la sensazione a contatto con i piedi, una sensazione piacevole. Nonostante il luogo un po’ inquietante, si accorse che si stava bene con quel tiepido raggio di sole che filtrava dall’alto. Fece qualche passo avanti e si sedette. Tirò un po’ su i jeans, per scoprire le gambe e abbracciò le ginocchia. Guardò quella vasta distesa nera e penso fosse mare. Non volle accertarsi un po’ per la sua poca propensione alla fiducia, un po’ perché non riconosceva il tipico odore del sale.
Perché si trovava lì? Perché quella corsa affannosa? Chi o cosa cercava? Cosa era realmente accaduto? Dov’era? E perché lui? Tanti erano gli interrogativi che affollavano la sua mente ed era difficile, per lei, riuscire a rispondere a quelle domande, anche solo una.
Lo guardò attentamente, era visibilmente cambiato, non molto ma tanto quanto basta per rendersene conto.
«Come sei arrivato?»
«Correndo, alla fine sono arrivato qui, qualche ora fa. Da quella porta che si è richiusa»
«Quei passi che sentivo, eri lui allora…» disse parlando a sé stessa, a voce alta.
«Certo, chi altro volevi che fosse?»
«Smettila» disse con ben poca convinzione.
«We never change, do we?»
Le si sedette vicino, proprio in direzione del raggio di sole e continuò a sorriderle, mostrando i suoi denti. Lei non ricordava denti più bianchi e scintillanti di quelli, nonostante avesse incontrato diverse persone nella sua vita. Ma quei denti erano difficili da scordare, come tutto il resto d’altronde.
«Quindi è così che…»
«Sì».
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Vendo divano letto, riletto e anche un po' sottolineato
[ Questo messaggio è stato modificato da: gatsby il 21-03-2008 alle 10:29 ] |
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LaFenice
 Reg.: 01 Lug 2006 Messaggi: 4091 Da: ... (es)
| Inviato: 18-04-2008 09:49 |
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Terza edizione
Incipit
"La visione di quel posto lasciò di stucco il giovane a bordo della sua Jeep. Era come se tutti fossero scappati, lasciando solo uno scenario desolato."
Massimo battute: 5000
Vincitrice: Anthares
RIPARTIRE DA ZERO
La visione di quel posto lasciò di stucco il giovane a bordo della sua Jeep. Era come se tutti fossero scappati, lasciando solo uno scenario desolato. Ma come era arrivato fin lì?
Si ricordava solo il rumore.. un tonfo sordo che l’aveva svegliato, anche se, pensandoci bene, non rammentava affatto d’essersi addormentato; sentiva la bocca amara e impastata, gli occhi incollati che bruciavano, e un intenso dolore ad un piede incastrato sotto il pedale del freno.
Guardando a fatica attraverso il parabrezza vide in lontananza un’alta montagna con la cima innevata e delle colline con qualche casetta isolata sparsa qua e là; vicino alla macchina solo rade e brulle sterpaglie e un fossato maleodorante quasi interamente coperto alla vista da un alto canneto che costeggiava lo sterrato sconnesso della stradina. Il silenzio delle prime ore dell’alba era rotto dal gracidare di qualche rana, e dal fruscio delle canne mosse dal vento.
Era consapevole che dal suo corpo emanava un acre e pesante odore di sudore misto a vomito e urina, aveva la camicia sporca sul davanti e bagnata sotto le ascelle, i jeans umidi al cavallo.
Con angoscia si rese conto di non sapere com’era finito lì in quelle condizioni, non ricordava più niente, nemmeno il proprio nome. Provò l’irresistibile impulso di uscire dalla macchina e mettersi ad urlare, ma impose a se stesso di calmarsi e riflettere.
Si portò le mani al viso, quasi per nascondersi, e nel farlo notò che all’anulare sinistro luccicava una fede, la tolse e all’interno lesse: Simona 15/09/2006. Dunque era sposato.
Serrò gli occhi per una manciata di secondi, obbligandosi inutilmente a ricordare, quando li riaprì guardò nello specchietto retrovisore della jeep.
Si trovò davanti un perfetto sconosciuto, occhi scuri, bocca e naso regolari ed armoniosi, capelli neri tagliati corti, carnagione leggermente abbronzata: pensò che quel ragazzo, in condizioni migliori, doveva essere un gran bel figo, e per un assurdo attimo dimenticò quasi l’angoscia e gli venne da sorridere.
Guardandosi attorno nell’abitacolo, notò che sul sedile del passeggero c’era un portafoglio e lo aprì: duecento euro, un bancomat, la carta d’identità. La foto del documento ritraeva lo sconosciuto, ma con un’espressione molto spavalda e sicura di se, ben diversa da quella spaventata e sofferente che aveva ora.
Lesse i dati con ansia mista a curiosità:
Cognome Maffei
Nome Sandro
Nato il 09/07/1975
Residenza Trento
Segni particolari : a matita leggera qualcuno aveva scarabocchiato stronzo
Si osservò di nuovo nello specchietto retrovisore.
Era sempre uno sconosciuto.
Ragionò con se stesso: potrei anche soffrire di una di quelle amnesie temporanee.
Si appoggiò all’alto schienale della jeep respirando lento per rilassarsi, e finalmente il paesaggio che lo circondava cominciò a sembrargli più familiare: quelle sullo sfondo erano le colline a sud di Trento, con il Bondone innevato che le sovrastava, e si trovava su una stradina di campagna che aveva percorso molte altre volte.
Nella sua mente che si stava schiarendo cominciarono a sfilare poco alla volta tanti piccoli brandelli di una vita.
Una donna che piangeva seduta accanto ad un uomo disteso sul letto con indosso un vestito elegante, i suoi genitori forse? Una bella ragazza vestita da sposa che sorrideva raggiante .. forse sua moglie? Poi altre ragazze troppo truccate, una serie infinita di bar, risse, scene di vita sporca, brutta, che non gli piaceva.
Vide la prima ragazza che riempiva di abiti alcune valigie ma ora non sorrideva più, aveva un’espressione dura e rabbiosa; il ragazzo cercava inutilmente di convincerla a restare, lei andava via sbattendo la porta. Lui che usciva a sua volta ed entrava in uno dei tanti bar, una bottiglia di gin, una folle corsa in macchina lungo stradine di campagna deserte, in piena notte.
Mentre le immagini di quella che doveva essere la sua vita si delineavano una dietro l’altra nella sua mente, cominciò dapprima a sentire dentro un lieve disagio, poi un senso di rabbia mista a paura, che si faceva via via sempre più forte ed insopportabile.
Riaprì la carta d’identità, guardò di nuovo la fotografia di quel ragazzo con gli occhi neri dallo sguardo sicuro e spavaldo, che sembrava sapesse con certezza quello che voleva dalla vita e, in quell’istante, decise che non voleva ricordare altro, si sarebbe lasciato tutto il suo inutile passato alle spalle ripartendo da zero.
Aprì il finestrino e buttò lontano la bottiglia vuota del gin, poi lo richiuse, senza accorgersi che a pochi passi da lui, nell’acqua marcia del fossato, c’era il corpo del mendicante che aveva investito guidando ubriaco fradicio.
Accese il motore della jeep e ripartì veloce, sgommando.
_________________ Tu non hai alcun potere su di me. |
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