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Keaton o Chaplin |
Tristam ex "mattia"
 Reg.: 15 Apr 2002 Messaggi: 10671 Da: genova (GE)
| Inviato: 23-02-2006 00:10 |
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quote: In data 2006-02-22 21:55, sandrix81 scrive:
e no dai, per una volta che non lo faccio (e infatti ho detto una cazzata)...
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dai sandrix, scherzavo.
ci mancherebbe...
_________________ "C'è una sola cosa che prendo sul serio qui, e cioè l'impegno che ho dato a xxxxxxxx e a cercare di farlo nel miglior modo possibile"
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sandrix81
 Reg.: 20 Feb 2004 Messaggi: 29115 Da: San Giovanni Teatino (CH)
| Inviato: 23-02-2006 00:28 |
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ah ma anch'io.
vabbè, in tema di copiature, citazioni e professori, attacco qui gli appunti presi a lezione da manzoli...
Chaplin, nella sua prima fase, è assimilabile a molti suoi colleghi, tra cui Roscoe "Fatty" Arbuckle; il vagabondo dei corti della metà degli anni Dieci non è quello patetico e romantico dei primi lungometraggi; è un agente del caos, un personaggio negativo, anche se tuttavia rivela già la natura anarchica che sarà elemento costante dei (o del) personaggi(o) di tutta la produzione di Chaplin.
Keaton, come evidenzia in alcuni saggi Luis Bunuel, si discosta dalla figura del vagabondo, il suo non è mai un personaggio romantico e drammatico; si discosta anche dal primo Chaplin (e da Arbuckle, il suo maestro): Keaton è incompatibile con il mondo in trasformazione che lo circonda, e la sua eversione avviene nelle vicende che capitano. Keaton diventa componente avanguardistica in un cinema convenzionale. Sempre Bunuel, distingue tra una scuola europea, scuola del sentimentalismo e della tradizione (ciò contro cui si schierava già anche Vertov), e una scuola di Buster: scuola di un cinema della vitalità, della fotogenia, della mancanza di cultura, di tradizioni nuove. Cinema, dunque, come luogo in grado di fondare, immediatamente, qualcosa che è nuovo, e che diventa subito tradizione; un cinema che impone qualcosa che si afferma già nel momento in cui si manifesta.
Con Sherlock Jr. (1924), Buster Keaton compie l'ardua scelta di mettere in scena la figura del proiezionista, "tanto razionale ed autocosciente da attingere per i contenuti allo stesso processo di creazione artistica" (Umberto Barbaro). Con la leggerezza che lo contraddistingue, Keaton fa un discorso profondo sul mezzo e sulla natura e l'evoluzione del suo linguaggio.
Mentre la parte razionale si addormenta di spalle rispetto allo schermo, la parte subcosciente continua a guardare il film, si avvicina allo schermo fino ad arrivargli davanti, poi si proietta nello schermo, nella pellicola, nella finzione, identificandosi con l'eroe e al tempo stesso riportando tutta la vicenda alla sua esperienza personale. Lo schermo in un primo momento lo respinge, perché il processo di identificazione e la permeabilità del film richiedono un percorso di avvicinamento e di formazione, ma altresì dev'essere il film ad aiutarlo ad entrare. Ogni volta che c'è uno stacco, per Keaton è un evento traumatico: cade, è disorientato, perché il pubblico deve trovarsi a suo agio, deve trovare un mondo comodo, abitabile, e pertanto il montaggio non si deve sentire, deve passare inosservato.
I temi dell'ubiquità della macchina da presa e del montaggio narrativo classico sono ripresi in The cameraman (1927). Nel film, Keaton riprende la battaglia nel quartiere cinese così come lo farebbe un grande regista classico: totali, movimenti di macchina, tagli di ripresa, panoramica, dolly (fantastica la riproduzione del movimento del dolly, ottenuta da Buster salendo su un'impalcatura, ma proprio su un'asse che precipiterà al suolo trascinando con sé il povero cameraman, che tuttavia continua a riprendere; l'amore per il cinema, a costo dell'incolumità fisica, anche se nascosto sotto la forma della gag). Ci fa vedere come si fa un film (di finzione), e mostra il paradosso dell'implicazione del cineasta nella scena: il cameraman partecipa all'azione, rischia la vita, perché affinché lo spettatore si senta parte della scena, affinché sia coinvolto sensorialmente, bisogna che la macchina da presa sia ovunque, e che il regista si muova, selezionando poi le riprese migliori. Il regista riprende le azioni, ma prima ancora le fa accadere, ci si trova dentro, le rappresenta.
Ubiquità della macchina da presa, fluidità del montaggio, assorbimento diegetico.
_________________ Quando mia madre, prima di andare a letto, mi porta un bicchiere di latte caldo, ho sempre paura che ci sia dentro una lampadina. |
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sandrix81
 Reg.: 20 Feb 2004 Messaggi: 29115 Da: San Giovanni Teatino (CH)
| Inviato: 23-02-2006 00:39 |
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ecco, sono appunti quindi hanno i loro limiti, però magari possono offrire spunti...
ad esempio, proprio il fatto che Keaton faccia continuamente riferimento, nelle proprie opere, al linguaggio del cinema, può essere un ottimo indicatore della distanza che intercorre tra il suo cinema e quello di Chaplin.
In un'epoca ancora di maestri e pionieri, Keaton si interroga continuamente su cosa sia questo (ancora nuovo) mezzo d'espressione, e su come possa evolvere per essere sempre più funzionale, quale sia la via da seguire (ad esempio, la trasparenza invocata - attraverso il linguaggio e i codici cinematografici e non attraverso una battuta di dialogo o un riferimento diretto iconico, questo è fondamentale - nella scena degli stacchi di Sherlock Jr.), quali siano i confini del visibile (la stessa mano di One Week), quale la funzione del regista (The cameraman)...
Chaplin invece non fa ricerca sul linguaggio, si accontenta di quello che è già stato ricercato da altri per adattarlo ai contenuti che vuole comunicare. Non gli interessa tanto il cinema, quanto che possa avere un mezzo che gli consenta di parlare al maggior numero possibile di persone.
Se Chaplin è un poeta dell'immagine cinematografica, Keaton è un creatore di forme, almeno alla pari di gente come Griffith, Ejzenstein, Murnau e compagnia bella.
p.s.: ah, ora sì che ho citato la Pesce...
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Non vorrei mai appartenere ad un forum che accettasse tra i suoi moderatori uno come me.
[ Questo messaggio è stato modificato da: sandrix81 il 23-02-2006 alle 00:41 ] |
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Marcos
 Reg.: 10 Lug 2003 Messaggi: 3463 Da: Tarquinia (VT)
| Inviato: 23-02-2006 10:04 |
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Charles Chaplin!
Marcos
_________________ Salve, sono Marcos. |
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Bettty70
 Reg.: 23 Feb 2006 Messaggi: 619 Da: Roma (RM)
| Inviato: 23-02-2006 11:15 |
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Patsia
 Reg.: 04 Gen 2006 Messaggi: 538 Da: Pieve di S. (TV)
| Inviato: 23-02-2006 16:38 |
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quote: In data 2006-02-23 00:39, sandrix81 scrive:
Chaplin invece non fa ricerca sul linguaggio, si accontenta di quello che è già stato ricercato da altri per adattarlo ai contenuti che vuole comunicare. Non gli interessa tanto il cinema, quanto che possa avere un mezzo che gli consenta di parlare al maggior numero possibile di persone.
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Ora che dall'interessante discussione credo di averne capito un pochino di più dei due in questione, vista la frase quotata, riconfermo il voto a Chaplin.
Da non esperta e non studiosa del cinema lo vedo sì un linguaggio, ma che ha in sé la capacità di comunicare qualcosa al maggior numero di persone.
Il paragone non terrà ma è più vicino al mio campo: è meglio un professore genio che riesce ad elaborare teorie perfette che capiscono in pochi o il professore che riesce con un linguaggio chiaro a far capire a molti le teorie di altri?
Sono necessari tutti e due, ma io preferisco il secondo.
_________________ "Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia e qualcuno a cui raccontarla". |
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sandrix81
 Reg.: 20 Feb 2004 Messaggi: 29115 Da: San Giovanni Teatino (CH)
| Inviato: 23-02-2006 17:02 |
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per essere stringato, mi verrebbe da dire "anch'io preferisco il secondo, per questo amo Keaton".
_________________ Quando mia madre, prima di andare a letto, mi porta un bicchiere di latte caldo, ho sempre paura che ci sia dentro una lampadina. |
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Marienbad
 Reg.: 17 Set 2004 Messaggi: 15905 Da: Genova (GE)
| Inviato: 25-02-2006 18:27 |
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quote: In data 2006-02-22 21:55, sandrix81 scrive:
e no dai, per una volta che non lo faccio (e infatti ho detto una cazzata)...
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Se proprio devi copiare, almeno copia i migliori. |
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sandrix81
 Reg.: 20 Feb 2004 Messaggi: 29115 Da: San Giovanni Teatino (CH)
| Inviato: 25-02-2006 18:33 |
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quote: In data 2006-02-25 18:27, Marienbad scrive:
quote: In data 2006-02-22 21:55, sandrix81 scrive:
e no dai, per una volta che non lo faccio (e infatti ho detto una cazzata)...
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Se proprio devi copiare, almeno copia i migliori.
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non mi aspettavo che citassi Allen in un topic su keaton. prafa!
_________________ Quando mia madre, prima di andare a letto, mi porta un bicchiere di latte caldo, ho sempre paura che ci sia dentro una lampadina. |
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13Abyss
 Reg.: 20 Lug 2003 Messaggi: 7565 Da: Magliano in T. (GR)
| Inviato: 27-02-2006 12:59 |
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quote: In data 2006-02-25 18:33, sandrix81 scrive:
quote: In data 2006-02-25 18:27, Marienbad scrive:
quote: In data 2006-02-22 21:55, sandrix81 scrive:
e no dai, per una volta che non lo faccio (e infatti ho detto una cazzata)...
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Se proprio devi copiare, almeno copia i migliori.
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non mi aspettavo che citassi Allen in un topic su keaton. prafa!
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Gliel'ho suggerito io infatti.
_________________ Rubare in Sardegna è il Male. |
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sandrix81
 Reg.: 20 Feb 2004 Messaggi: 29115 Da: San Giovanni Teatino (CH)
| Inviato: 06-03-2006 23:44 |
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ci metterò un casino a ricopiarlo, ma non posso fare a meno di postare questo pezzo.
si tratta di Una geometria del comico, uno dei capitoli che compongono Il cinema, arte dello spazio, saggio apparso sulla Revue du cinema n.14, del giugno 1948, scritto da Maurice Scherer, alias Eric Rohmer, e riportato nella ractolta Il gusto della bellezza.
"Si è già mostrato come Chaplin conoscesse perfettamente le esigenze dell'ottica cinematografica e la differenza esistente tra lo schermo e lo spazio scenico. Tuttavia, i suoi film non possono essere considerati tipici di un'arte di espressione spaziale, capace di rivelarci un universo in cui i movimenti e i gesti si inseriscono per acquistare - aldilà del loro significato emotivo - un senso in qualche modo più connaturato alla loro "natura mobile". Una ricerca di questo tipo sembrerebbe anche incompatibile con il carattere umano della sua arte. Gag visive come quelle di Charlot inseguito dalla canna del fucile (La febbre dell'oro), di Charlot sul montacarichi (Giorno di paga), o di Charlot inseguito dal poliziotto (L'evaso), ecc., rivelano il genio squisitamente cinematografico di Chaplin. Eppure il gesto, l'atteggiamento o lo spostamento assumono significato solo se riferiti alla serie degli stati di coscienza o delle intenzioni che di volta in volta mettono in luce: il linguaggio delle parole o della mimica si trova sostituito da un modo di espressione "allusivo", meno convenzionale del primo, più fine e ricco del secondo, ma il cui valore dipende dal rapporto che noi istituiamo tra il segno e il significato, e non dal carattere di necessità che dà al segno la presenza all'interno di un certo spazio. Talvolta, è vero, nei momenti di emozione più intensa (gioia o spavento, imbarazzo o trionfo), il gesto finisce per perdere qualsiasi significato preciso e si sviluppa secondo un ritmo che gli è proprio. Gli episodi che costituiscono i vertici dell'arte di Chaplin - Charlot minacciato dal direttore del negozio (Charlot commesso), Charlot che si batte in duello (Carmen), Charlot che sventra il piumino (La febbre dell'oro) - non possono però essere presi come esempi caratteristici di una pura comicità di movimento, perché scaturiscono dall'eccesso di un'emozione che trasfigurano nel momento stesso in cui la esprimono, ma dalla quale attingono ancora il loro senso.
[...]
Ma è soprattutto nei film di Buster Keaton - lo si è notato troppo poco - che si impone la presenza di un universo spaziale dove gesti e movimenti assumono un nuovo senso. Buster Keaton non è solo uno dei più grandi comici dello schermo, ma è anche uno dei più autentici geni del cinema. [...] Il fatto è che per lui il significato psicologico del gesto conta molto meno della comicità che nasce dal modo stesso in cui il movimento si inscrive nello spazio dello schermo. In Io e la boxe, ad esempio, per circa un quarto d'ora l'apprendista pugile tenta invano di ripetere il gesto, così semplice, dell'uppercut che gli indica il suo manager. La comicità dell'insuccesso non avrebbe nulla di originale se la goffaggine del gesto non venisse, per così dire, sviluppata per sé stessa - nella misura in cui essa può, per il solo fatto di ripetersi, trovare alla fine una certa giustificazione estetica, ma soprattutto perché appare come una sorta di messa in discussione dello spazio, di inchiesta (in questo caso grottesca, ma potrebbe anche essere angosciosa o tragica) sul "perché" delle tre dimensioni. Sempre nello stesso film, il momento più straordinario è senza dubbio quello in cui il pugile si attorciglia suo malgrado alle corde quando vuole salire sul ring: il fatto che non si possa dare l'idea della comicità di una simile "posizione" a chi non abbia visto il film garantisce l'autenticità del suo valore cinematografico.
Al contrario, anche le trovate più visive di Chaplin (Charlot che fa giochi di destrezza con i mattoni, Charlot che cammina ginocchioni, Charlot che si butta nella vasca che credeva vuota) riescono a far ridere già nel momento in cui le si descrive a parole. Non si tratta di momenti eccezionali: Buster Keaton la esprime continuamente, nei suoi film, questa ossessione di uno spazio in cui ci si sente goffi e soli, della quale non possiamo trovare l'equivalente nel cinema. [...] Persino nelle immagini celebri del Circo o della Febbre dell'oro, la solitudine chapliniana non è mai quella dell'uomo che vive in una società indifferente, mentre in Buster Keaton l'isolamento degli esseri e degli oggetti appare costitutivo della natura stessa dello spazio: isolamento espresso in particolare dal movimento di va e vieni (tutto è come "rinviato" continuamente a sé stesso), dalle brusche cadute, dagli appiattimenti al suolo, dall'afferrare maldestramente oggetti che si nascondono o si rompono, come se il mondo esterno fosse per sua essenza inadatto persino a essere "afferrato". Questa ossessione può del resto tradursi in un atteggiamento più statico: le proporzioni dei diversi oggetti, le rispettive dimensioni dei personaggi sono sempre scelte con cura rigorosa."
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Non vorrei mai appartenere ad un forum che accettasse tra i suoi moderatori uno come me.
[ Questo messaggio è stato modificato da: sandrix81 il 07-03-2006 alle 00:42 ] |
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