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80 anni fa Matteotti |
xander77
Reg.: 12 Ott 2002 Messaggi: 2521 Da: re (RE)
| Inviato: 11-06-2004 12:44 |
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Tempo di anniversari.
Il 10 giugno 1924 Giacomo Matteotti veniva assassinato dalla violenza fascista.
Da Liberazione del 10 - 06 - 2004
Il 10 giugno 1924, ottanta anni fa, il deputato socialista Giacomo Matteotti, uno degli animatori pi
Il 10 giugno 1924, ottanta anni fa, il deputato socialista Giacomo Matteotti, uno degli animatori più vigorosi dell'opposizione al fascismo, viene rapito, trascinato in una macchina e ucciso da una banda di sgherri del regime. Sulle responsabilità dirette di Mussolini e degli alti gerarchi fascisti le tante cronache hanno ormai fatto chiarezza. E', invece, il contesto politico, l'instabilità del regime che emerge al momento del delitto, il filo conduttore del ragionamento dello storico Angelo d'Orsi.
L'omicidio avviene in un clima di incertezza, all'indomani delle elezioni di aprile che, malgrado le violenze, confermano una base popolare delle opposizioni. Quanto pesa questa instabilità sul delitto?
La figura di Matteotti si colloca proprio in questa cerniera drammatica, nel passaggio dallo Stato liberale a uno Stato totalitario. Naturalmente, non è il primo cadavere del fascismo, come qualcuno ha scritto in questi giorni. E' piuttosto uno dei punti di arrivo di una lunga catena di violenze che iniziano addirittura prima del biennio nero. Cominciano il 15 aprile 1919 con l'assalto alla sede de "L'Avanti! ", il vero atto fondativo del fascismo che era nato da tre settimane, il 23 marzo del '19. La prima azione rivelatrice è l'attacco organizzato a un luogo storico e simbolico del movimento operaio. La sede del giornale è distrutta e ci sono i primi morti. E durante la manifestazione che i socialisti terranno a Milano in segno di protesta, i fascisti scateneranno una vera e propria caccia all'uomo, insieme a militari, studenti nazionalisti e futuristi. Lo stesso Marinetti è coinvolto pesantemente e, a quanto pare dai documenti, è direttamente implicato in delitti. Persino uno come De Felice - non certo un sostenitore della "vulgata storiografica" come ebbe sdegnosamente e ignobilmente a definirla - ha scritto che con il 15 aprile 1919 la violenza fa il suo ingresso nella vita politica italiana. Matteotti è una tappa di questo processo.
C'è da dire che al momento dell'assassinio di Matteotti la risposta delle opposizioni non è sempre all'altezza...
Certo, l'opposizione è spappolata, e questa situazione finisce col facilitare la vittoria del fascismo, prima, e l'edificazione del regime, poi. Ma non vanno dimenticate le responsabilità delle istituzioni e, soprattutto, della monarchia. In questo scenario Matteotti emergeva come il vero capo delle opposizioni. Lo stesso Gramsci non aveva un ruolo di primo piano consolidato nel partito, in quel frangente ancora lacerato al proprio interno. Anzi, va ricordato che Gramsci entra per la prima volta in parlamento proprio con le elezioni dell'aprile '24. Matteotti, invece, inizia la carriera politica giovanissimo, subito dopo la laurea in giurisprudenza, come consigliere provinciale nel Polesine - una carriera, sia detto senza retorica, tutta all'insegna della difesa dei lavoratori, degli umili e degli oppressi. Il ruolo guida nell'opposizione gli deriva anche da un certo vigore personale. Era un trascinatore, un vivificatore.
Quanto contano nel profilo individuale di Matteotti il rigore etico e la perseveranza?
Il coraggio personale, esibito anche fisicamente, è un elemento fondamentale della sua biografia. Matteotti fu aggredito una dozzina di volte, picchiato selvaggiamente, addirittura oggetto di uno stupro per sfregio. Ma non si è mai abbattuto, né sottratto allo scontro fisico. E verrà ucciso subito nell'automobile stessa in cui viene ficcato a forza - come sembra dalle inchieste - proprio per la resistenza che oppone. C'è una colluttazione, lo colpiscono a manganellate e, infine, lo accoltellano. Matteotti - bisogna aggiungere - era convinto che la lotta politica contro il regime si dovesse fare sulla base di documenti. All'inizio del '24 aveva pubblicato un libro, Un anno di dominazione fascista nel quale documentava le bestialità e la corruzione del regime. Matteotti per primo aveva capito che il fascismo era un movimento, un partito e poi un regime che si reggeva sulla corruzione.
Contrariamente alla propaganda che spacciava il fascismo per una rivoluzione al vecchio spirito borghese corrotto e mercantile...
Proprio così. La vulgata secondo cui il regime mussoliniano non fosse corrotto, è assolutamente infondata. Mussolini faceva transitare soldi pubblici nelle casse del suo giornale. Quando diventa presidente del consiglio mette a capo del giornale il fedele Arnaldo, il vero affarista di famiglia. Dalle ultime ricerche di Mauro Canali, allievo di De Felice, sembra che Matteotti fosse sulle tracce di un giro di tangenti girate da una delle sette sorelle americane del petrolio, la Sinclair, al governo fascista per avere una concessione esclusiva sulle ricerche petrolifere in territorio italiano. Matteotti non subiva il timore del personaggio Mussolini, dell'uomo che ostentava la mascella: ha dato una lezione di come si può fare opposizione. Non si può pretendere, naturalmente, che tutti lo prendano a esempio di martirio, ma ci ha insegnato che la lotta politica si può condurre sulla base dei documenti. E questo, vista da uno storico di mestiere, è una qualità fondamentale, un modello di rigore e abnegazione che ancora oggi rifulge, specie se confrontata a una certa opposizione moscia al berlusconismo.
Dopo l'assassinio di Matteotti il fascismo sembra vacillare, eppure la reazione degli antifascisti si limita all'uscita dal parlamento e al ritiro aventiniano, senza ulteriori iniziative
Da questo punto di vista il sacrificio di Matteotti sembra inutile e ancor più tragico. Si fa ammazzare e l'unico risultato è un discorso di Filippo Turati, certo nobilissimo e commovente, ma non c'è nessuna proposta politica. Rimane una divisione, una inanità delle opposizioni, l'incapacità di guardare lontano. Commettono, per esempio, l'errore di coinvolgere subito De Bono, uno dei quadrumviri, un senatore: le indagini passano così dalla magistratura ordinaria che fino allora si era comportata benissimo, al Senato, in maggioranza fascista. Sarà un gesto di autolesionismo. De Bono sarà ovviamente assolto. E non dimentichiamo Benedetto Croce che dopo il delitto Matteotti va a votare la fiducia al governo per "dovere patriottico". Solo in seguito avrà dei ripensamenti e diventerà antifascista. Ma al di là degli errori politici delle opposizioni, rimane un dato di fondo ineludibile: la responsabilità della monarchia che non muove un passo dopo la crisi politica innescata dal delitto Matteotti.
Tonino Bucci
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"Quando sarò grande non leggerò i giornali e non voterò. Così potrò lagnarmi che il governo non mi rappresenta. Poi quando tutto andrà a scatafascio, potrò dire che il sistema non funziona e giustificare la mia antica mancanza di partecipazione"
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xander77
Reg.: 12 Ott 2002 Messaggi: 2521 Da: re (RE)
| Inviato: 11-06-2004 12:45 |
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Dal sito dell'Anpi:
Nato a Fratta Polesine (Rovigo) nel 1885, ucciso da sicari fascisti a Roma nel 1924.
Possidente terriero illuminista, avvocato, sindaco di Villamarzana, consigliere provinciale di Rovigo. esponente di spicco del Partito socialista, eletto nel 1919 alla Camera dei deputati. Nel 1922 promuove la costituzione del Partito socialista unitario divenendone segretario nazionale. Intransigente antifascista, difensore dei braccianti agricoli poveri, più volte minacciato e aggredito da gruppi fascisti, ostacolato nella professione forense e nell'attività parlamentare. Affermatosi il fascismo, nel 1924 alla Camera dei deputati pronuncia una documentata requisitoria (acquisita agli atti del Parlamento) sulle violenze fasciste contro i candidati socialisti, comunisti, repubblicani, liberali progressisti. Sul giornale "Il popolo d'Italia" Mussolini scrive immediatamente che è necessario "dare una lezione al deputato del Polesine". L'invito è prontamente accolto e il 10 giugno '24, a Roma, un quintetto fascista aggredisce e rapisce Matteotti in Lungotevere Arnaldo da Brescia. Caricato a forza su una macchina, viene ucciso a coltellate dopo ripetute percosse. Le spoglie verranno trovate, occultate in un boschetto di Riano Flaminio, solo il 15 agosto. Riconosciuti e processati a Chieti due anni dopo, i fascisti omicidi confessi - difesi dal braccio destro di Mussolini, Roberto Farinacci - ebbero miti condanne, uscendo poco dopo di prigione.
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xander77
Reg.: 12 Ott 2002 Messaggi: 2521 Da: re (RE)
| Inviato: 11-06-2004 12:47 |
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da www.cronologia.it, un approfondimento sul delitto
E IL DUCE ORDINO'.................
articolo di Franco Gianola
Casa Italia nei primissimi anni Venti. Ai piani alti corsari della finanza, capitani d'industria, faccendieri di grande e piccolo cabotaggio, lestofanti di varia estrazione, "pescicani" arricchiti con le forniture militari a fattura gonfiata o con il mercato nero, trafficanti di favori. Ai piani di sotto un popolo povero, ancora vestito di nero per i suoi seicentomila morti inghiottiti dall'Apocalisse della Prima guerra mondiale, alle prese con la disoccupazione o la sotto-occupazione, con la battaglia quotidiana per un piatto di cibo. Al potere il fascismo, una dittatura ancora nascosta sotto la redingote e il cilindro di Benito Mussolini, l'uomo che fra poco sarà il "duce della rivoluzione": un fascismo affamato di finanziamenti per la propria organizzazione e per i leaders che sono arrivati ai "palazzi" "con le toppe ai pantaloni" (sono espressioni di Mussolini) ma con un patologico bisogno di rivalsa e onnipotenza. Questo lo scenario che fa da sfondo alle pagine del libro "Il delitto Matteotti", scritto dallo storico Mauro Canali (Editrice "il Mulino" - Bologna 1997). Dal 10 giugno 1924, data dell'assassinio del deputato socialista, la bibliografia su questo cinico e premeditato delitto politico si è arricchita sempre più, accumulando materiale alle volte romanzato o basato su supposizioni, prove indiziarie, ricostruzioni di parte viziate dalle ideologie degli autori.
Salvo qualche eccezione, la strada della ricerca scientifica, della rigorosa indagine condotta negli archivi storici non è stata molto frequentata anche a causa, in tempi passati, dell'irreperibilità dei documenti decisivi. Il lavoro di Canali chiude questo "buco nero" e mette a disposizione degli specialisti e degli appassionati di storia uno studio di eccezionale ampiezza e documentazione. Diciamo subito che la ricerca stabilisce indiscutibilmente una verità, almeno per ora: non c'è la prova provata che il "pericoloso" Matteotti, il quale si preparava a rivelare uno scandalo che avrebbe fatto saltare all'aria il duce, tutti i suoi ras e i suoi "colletti neri", sia stato fatto trucidare su ordine diretto di Mussolini. Tuttavia il metodo investigativo di Canali, basato sull'analisi incrociata di una miriade di fatti più o meno clamorosi, di una lunga serie di elementi interdipendenti, innesca la reazione a catena di un procedimento logico, indiscutibile come una formula matematica, alla conclusione del quale è impossibile sottrarsi: fu Mussolini che diede ordine alla Ceka (la sua polizia politica personale, un gruppo di killers da lui organizzato per "mettere a posto" chi tentava di fermare la marcia verso la dittatura) di chiudere per sempre la bocca di Giacomo Matteotti.
Il deputato socialista venne rapito il 10 giugno 1924 nelle vicinanze di casa mentre, percorrendo il Lungotevere, stava andando verso il Parlamento. Dopo averlo picchiato mortalmente gli uomini del commando della Ceka lo caricarono in macchina e partirono a tutta velocità verso la periferia di Roma. Circa due mesi dopo il cadavere venne trovato, malamente sepolto, in un'area seminascosta da una fitta boscaglia. Nessuna traccia, accanto ai resti, della borsa piena di documenti che Matteotti aveva con sé al momento del sequestro. In quella borsa c'era la batteria di prove che avrebbe dovuto disgregare il sistema fascista, un sistema ancora gracile che si reggeva sui fragili pilastri degli imbonimenti mussoliniani. C'erano le prove che il regime fascista stava in piedi anche e soprattutto con l'aiuto della corruzione, che i suoi uomini si arricchivano truffando lo Stato, incassando jugulatorie tangenti.
Il Pnf, il partito nazionale fascista, esigeva parte dei proventi ("succhiati" ai big della finanza e dell'industria che in cambio ricevevano favori e appalti), per finanziare le federazioni che stavano sorgendo in tutta Italia, i quotidiani fiancheggiatori, e, ultime ma vicinissime al cuore del duce, le clientele di fedelissimi che avevano ben meritato prima, durante e dopo la marcia su Roma e tuttora meritavano per ragioni che erano ai limiti o fuori della legalità. Tipico esempio la Ceka, un manipolo di criminali superpagati. Gli scandali ad alto potenziale distruttivo che minacciavano il regime erano soprattutto due: la sistematica truffa ai danni dello Stato rappresentata dal traffico dei residuati bellici e l'operazione Sinclair Oil con la quale Mussolini tentò di dare in concessione esclusiva i diritti per la ricerca petrolifera in Italia al gigante Usa Standard Oil. Il che, come appare ovvio, rappresentava un danno incalcolabile per il nostro Paese. Brevemente vediamo i particolari di queste due vicende, una delle tante, dell'affarismo e della corruzione fascista. Quello dei residuati bellici era un business enorme: dopo la fine della guerra nei magazzini militari si erano accumulati ingenti quantità di armamenti, vestiario, scorte alimentari che lo Stato vendeva in stock ai privati a prezzi di "saldo". Sistema incriticabile se non fosse che molti dei blocchi più importanti venivano assegnati a prezzi irrisori, ulteriormente e benevolmente tagliati, a fascisti di provata fede che agivano o come teste di turco del regime o per sé.
Un esempio per tutti, l'affare Amerigo Dumini, braccio destro di Cesare Rossi, capo ufficio stampa della Presidenza del consiglio e fidatissimo complice e collaboratore di Mussolini. Dumini, che poi diventerà il capo della Ceka e parteciperà all'assassinio di Matteotti, aveva messo in piedi un inghippo che gli aveva permesso di acquistare, per rivenderla alla Jugoslavia, una partita di alcune centinaia di migliaia di fucili, proiettili ed altre armi, avuti in assegnazione dalla Direzione d'artiglieria. Come aveva potuto un piccolo squadrista con quattro soldi in tasca comprare uno stock di armi che stava a malapena nella stiva di una nave da trasporto? Semplice. Era stato finanziato da Alessandro Rossini, amministratore delegato della Banca adriatica di Trieste. "Dal contratto veniamo a conoscere - scrive Mauro Canali - che si trattava del solito sistema a trucco. Dumini si accaparrava il contratto che poi cedeva a Rossini e costui si impegnava a versare a Dumini la cospicua somma di un milione e mezzo (per quei tempi cifra astronomica, n.d.r.). L'affare appariva abbastanza grosso per credere che Dumini stesse lavorando in proprio. Stabilire tuttavia per chi Dumini stesse agendo non è impresa facile anche se tutti gli indizi conducono agli alti livelli del regime fascista".
Ancora più grave e indicativo il caso della Standard Oil, il trust che puntava, nascondendosi dietro la controllata Sinclair Oil, alla conquista totale del mercato italiano nel periodo in cui, nel Paese, la necessità di benzina e di derivati del petrolio diventava sempre più pressante. Come aveva fatto negli Usa, finanziando nel 1920 la campagna presidenziale dei repubblicani in cambio di previlegi specifici per la compagnia, la S.O. puntò alla conquista dell'esclusiva italiana a suon di "percentuali" passate sottobanco ai big della nomenklatura fascista. In un primo momento l'operazione riuscì, grazie alla decisissima e imperativa azione di Mussolini. Che per non avere ostacoli spazzò via dal dicastero dell'Agricoltura il ministro De' Capitani e Arnaldo Petretti, capo della direzione generale per i combustibili, entrambi forti sostenitori della costituzione di un Ente petrolifero nazionale che avrebbe permesso all'Italia si sottrarsi alla dipendenza del monopolio Standard Oil-Sinclair. Anche nello specifico caso, considerata la dura offensiva scatenata dal capo del governo contro i due "avversari", appariva chiaro il motivo dell'interesse di Mussolini. In questo quadro l'intervento di Matteotti in Parlamento, annunciato proprio per il 10 giugno 1924, alla riapertura della Camera, rappresentava una carica di dinamite con la miccia già accesa. Quella miccia andava spenta prima dell'esplosione. E i killers di Dumini entrarono in azione.
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xander77
Reg.: 12 Ott 2002 Messaggi: 2521 Da: re (RE)
| Inviato: 11-06-2004 13:35 |
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Sempre dal sito dell'Anpi è possibile leggere l' ultimo discorso di matteotti
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xander77
Reg.: 12 Ott 2002 Messaggi: 2521 Da: re (RE)
| Inviato: 11-06-2004 13:37 |
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Dall'Unità dell'11 - 06 - 2004
Perché dovevano uccidere Matteotti
di Bruno Gravagnuolo
L’Italia è una repubblica fondata su Matteotti. Parola del Presidente della Camera, Pierferdinando Casini. Che ieri a Roma ha costruito l’assunto «senza se e senza ma». Pronunciando un discorso commemorativo, del deputato socialista, limpido e rigoroso. Davanti a un Fini assiso tra le autorità e plaudente freddino. Sgusciato via al termine della mattinata tra folla. E senza rilasciare dichiarazione alcuna. Certo, è già qualcosa che Fini ci fosse ieri nella Sala dela Lupa, la stessa dove nel 1924 gli antifascisti decisero il vano Aventino per contrastare l’omicidio di regime. Come è noto infatti, fin da quando il vicepremier annunciò mesi fa la sua presenza alla commemorazione (dopo il viaggio in Isralele) non è che Ignazio La Russa avesse tanto gradito.
Prova ne sia che all’annuncio, il numero due di An subito aveva voluto bilanciare la celebrazione. Con la proposta di ricordare Umberto Primo, il Muro di Berlino e il delitto Ramelli. E considerato il fatto che proprio ieri il «Secolo d’Italia» non solo non metteva una riga in pagina sul Fini «matteottiano» a Roma. Ma addirittura celebrava, con perfetta scelta di gusto, nelle pagine culturali, il coraggio e il «travaglio» del giovane Mussolini, il cui passaggio di campo nel 1914 «non gli avrebbe impedito di rimanere autenticamente socialista»!
E invece Fini c’era, «obtorto La Russa». Con Andreotti, Fassino, Napolitano, Letta, il figlio e la nipote di Matteotti. Ed ha ascoltato in silenzio - quasi marmoreo - una commemorazione inequivoca. Di taglio tutto «antirevisionista» e «antiberlusconiano». E due i punti dirimenti del discorso di Casini. Il primo è un giudizio storico chiaro su quel che il fascismo fu, nella storia d’Italia. Contro ogni riabilitazione e riconsiderazione benevola a distanza del regime reazionario di massa. Giudizio espresso con il richiamo alla «brutale involuzione che la svolta mussoliniana aveva impresso alla storia d’Italia, arrestandone il cammino verso la democrazia compiuta». Fu quell’urto - dice Casini - che Matteotti si trovò a contrastare. Denunciando come «si volesse dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sapesse reggersi da sè e dovesse essere governato con la forza». E il tutto proprio mentre gli italiani - e qui Casini parafrasa ancora Matteotti - «stavano risollevandosi ed educandosi, anche con l’opera dei socialisti».
Insomma, il Matteotti di Casini è una specie di ultimo contrafforte contro il terrorismo e l’illegalismo fascista. Quelli che - ricordiamolo - Giovanni Gentile esaltò con foga come «forza etica» contro «sovversivi» e «stato imbelle» (dopo un Croce più blando al riguardo). Ma al contempo per il Presidente della Camera Matteotti fu anche il leader che consegnava un messaggio al futuro. Un messaggio di legalità e anche di strategia politica. Esemplare «nel tradurre i valori della democrazia parlamentare e della giustizia sociale in un’esperienza di vita, in cui seppe offrire tutto se stesso al popolo italiano e alla sua ispirazione di divenire un popolo europeo». Altro elemento chiave nel discorso di Casini è proprio il tratto di leader politico d’eccezione, che ebbe Matteotti.
Ecco ancora le parole di Casini: «La sua radicale popolarità, il suo consolidato prestigio parlamentare, la sua nascente notorietà internazionale, ma sopratutto la sua tenacia e la sua fiducia, sembrarono farne il leader più credibile dell’antifascismo, e la ragione del suo assassinio sta probabilmente in questa realtà, che certo non era sfuggita a Mussolini». Anche sulla tangentopoli di allora - di cui il deputato polesano fu profeta - il Presidente non delude, sul piano del giudizio storiografico. Allorché afferma «che a Mussolini non sfuggivano le accuse formulate da Matteotti circa le compromissioni affaristiche del governo e della Corona nelle concessioni petrolifere», così come «i suoi richiami alla rigorosa rendicontazione dei bilanci pubblici».
E allora riassumiamo il Casini-pensiero. Fascismo come «sbocco tragico della partecipazione italiana alla prima guerra mondiale». Come brutale salto indietro del progresso civile degli italiani. E come intreccio autoritario di politica e affari. Sicché, pacifismo, antifascismo e legalità democratica sono il trittico fondativo che Casini pianta saldamente nel codice genetico della moderna libertà italiana. Un discorso che è una vera teoria del presente e del passato prossimo. E che sembra voler andare al cuore dell’attualità politica. Una forzatura la nostra? Non ci pare. Perché davvero Casini si è impegnato in una disamina a tutto campo dei valori fondativi della Repubblica. Riletti sul crinale della deviazione fascista da cui quei valori, all’ombra di Matteotti, escono rilanciati. E anche perché lo stesso Casini non ha lesinato critiche anti-estremiste «alle suggestini bolsceviche che percorsero l’Italia all’indomani della rivoluzione russa». Contrastate da Matteotti- va detto - con energia riformista. Ma senza rifluire a destra. E senza cercare accomodamenti pratici col regime reazionario che andava consolidandosi. Quel regime «legalitario» e votato, che accusava guarda un po’le opposizioni, e in primis Matteotti di nullismo e massimalismo (e lo fece ahimè anche Turati!).
Chiude la giornata Giuliano Vassalli, Presidente emerito della Corte Costituzionale ed esponente della Resistenza. Che ricorda il Matteotti «coraggioso, multiforme, generoso». Benestante che incontra le plebi e le organizza. Ed elabora un concetto del socialismo basato sull’espansione dei «diritti» e sulla valorizzazzione del lavoro, anche «imprenditoriale», purchè «non parassitario». Nemico di ogni dittattura anche di quelle «di classe». Una degna conclusione quella di Vassalli. Ma la parte del leone l’ha fatta senz’altro il centrista Casini. Candidandosi culturalmente alla leadership di una destra finalmente normale. Fini c’era alla Sala della Lupa. Ed è sgusciato via. Berlusconi, naturalmente, non c’era. Era al G8. Ma riuscireste a immaginarlo lì?
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