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Autore Una coppia di fermalibri devianti
Valparaiso

Reg.: 21 Lug 2007
Messaggi: 4447
Da: Napoli (es)
Inviato: 19-07-2008 15:27  
di Johnny Depp

Un appassionato e simpatico ritratto dello scrittore e giornalista Hunter S.Thompson, inventore dello stile "gonzo", da parte dell'attore suo amico Johnny Depp, da un libro su Thompson di cui egli è co-autore. Avverto che la traduzione, tratta dal settimanale Il Manifesto-Alias, pur piacevole da leggere, non rende giustizia alla creatività dello stile della versione originale, quindi chi volesse leggerlo in inglese può farlo a questo indirizzo.

«Compra il biglietto e vai». Queste sono le parole che mi echeggiano nel cranio. Parole per le quali il Buon Dottore viveva e per le quali,per Dio, è morto.
Lui ordinava, creava, comandava, domandava, manipolava, forgiava e afferrava la vita alla radice, e ha mollato la presa, ferrea, solo quando è stato pronto. Qui sta il problema. Quando lui era pronto. E questo è quello che ci è rimasto.
Eccoci qua, senza di lui. Ma non siamo rimasti affatto senza niente, anzi. Per la moltitudine di gonzo-ammiratori sfegatati - e io sono uno
di questi- ci sono le sue parole, i suoi libri, le sue intuizioni, il suo senso dell'umorismo e la sua verità.
Per quelli di noi così fortunati da essergli stati vicino, cosa che la maggior parte delle volte si traduceva in occasioni alquanto lunghe e pericolose che portavano invariabilmente a piegarsi in due dalle risate, rimane il ricordo del suo ghigno da stregatto che ci conduceva ovunque sentisse avessimo bisogno di andare. Che, comunque, era sempre la direzione giusta, per quanto folle potesse sembrare. Sì, il Dottore la sapeva lunga.
Incise nel cervello ho milioni di quelle piccole mostruose avventure che ho avuto la fortuna di aver vissuto con lui, e in certi casi, sinceramente, a cui sono in qualche modo riuscito a sopravvivere. Era/è un fratello, un amico, un eroe, un padre, un figlio, un maestro, un partner criminale. Il nostro crimine: divertirsi. Sempre divertirsi.
Hunter e io ci conoscemmo nel dicembre 1995 per via di un amico comune mentre ero in vacanza ad Aspen, Colorado. Da lungo tempo ero un suo grande ammiratore, non solo del libro di Las Vegas, come Hunter era solito chiamarlo, ma in fondo di ogni singola parola che quest'uomo aveva spiaccicato sulla pagina.
Una sera verso le 23, mentre centellinavo un drink in un angolo appartato della Woody Creek Taver, un rumore insolitamente forte catturò la mia attenzione e poi quella di tutta la stanza. Un movimento frettoloso da un lato, mormorii impauriti dall'altro, furono sostituiti da strilli crescenti mentre quella che sembrava una sega elettrica roteava selvaggiamente vicino all'ingresso del bar. I clienti sobbalzarono orripilati quando una voce profonda e roca urlò alla gente di togliersi di mezzo, minacciando di far schizzare la merda viva fuori da qualunque maiale osasse intralciare il suo cammino. In un istante fu chiaro che il nostro rendezvous era iniziato.
Alto e allampanato con un berretto di lana simile a quelli dei nativi americani che gli penzolava oltre le spalle, con gli immancabili occhiali d'aviatore sulla faccia sganciò la sua manona verso di me. Misi la mia mano nella sua presa e gli restituì ciò che mi dava. L'inizio, sentii, di una lunga e profondamente radicata amicizia. Sprofondò in una sedia e appoggiò sul tavolo il suo armamentario: un gigantesco pungolo da mandria e un pesante taser (arma da difesa elettrica, ndr). In quel preciso
momento i proverbiali bei tempi presero il via. Ci facemmo qualche bicchiere, parlammo di molti argomenti e ci scoprimmo d'accordo su più cose, non ultima la scoperta che entrambi provenivamo dalla terra scura e sanguinaria del grande stato del Kentucky. Per quel solo fatto Hunter iniziò una serie di filippiche che andavano dalla cavalleria del sud alle sviolinate di musica country, fino al nostro socio del Kentucky, Cassius Clay.
In un attimo tutto il gruppo fu invitato a Owl Farm, la proprietà fortificata di Hunter proprio su per la strada della taverna, dove ci intontimmo a forza di blaterare e verso le due e mezza del mattino facemmo scoppiare bombe al propano con
una carabina nichelata. Questo, imparai più tardi, era il mio primo test d'iniziazione al club del «Ci Divertiamo Troppo".
Qualche tempo dopo ero a New York e lavoravo a Donnie Brasco, quando una mattina verso le 5 il mio telefono squillò: «Johnny... sono Hunter. Senti, se fanno un film sul libro di Las Vegas, saresti interessato? Vorresti fare me?». Rimasi sbalordito e cercai di riprendermi. «Bene... Dimmi, ci stai?». Certo che ci stavo. Chi non ci sarebbe stato? Ero molto più che interessato. Era sempre stato un sogno che ritenevo impossibile. Parlammo ancora un po' sul come, sul dove e sul quando etc. Fu allora che scoprii che non esisteva nulla. Non c'era niente, né copione, né regista, né produzione.

(continua)



[ Questo messaggio è stato modificato da: Valparaiso il 19-07-2008 alle 15:32 ]

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Valparaiso

Reg.: 21 Lug 2007
Messaggi: 4447
Da: Napoli (es)
Inviato: 19-07-2008 15:49  
Nulla. Non ancora, ad ogni modo. Aveva indagato a beneficio di se stesso. Lo faceva spesso. Le parole, la ragione e la razionalità potevano essere totalmente invisibili alla maggioranza ma Hunter era sempre oltre la curva. Anche in mezzo al caos assoluto, sapeva sempre esattamente dove andare a parare.
Ci rendemmo entrambi conto che sarebbe stato estremamente necessario che passassi una quantità di tempo maledettamente e potenzialmente malsano con lui. Avevamo già stretto un'amicizia piuttosto stretta grazie ad altre avventure vissute insieme, come una pertormance di tre ore sul palcoscenico del Viper Room di Los Angeles. Ero andato per vedere Hunter ed ero stato costretto a fare tutto lo spettacolo con lui. Aveva insistito per tutta la cena, pochi minuti prima di dover salire sul palco del club: o andavo in scena con lui o avrebbe annullato tutto su due piedi. Arrivò John Cusack e anche lui fu imbarcato nella faccenda. Ci dirigemmo tutti e tre al club in una decappottabile (credo a nolo). Guidammo lentamente lungo Sunset Boulevard con una bambola gonfiabile a grandezza naturale a rimorchio mentre il come sempre occhialuto Dr. Thompson spargeva whisky a destra e sinistra dal suo grosso bicchiere. Una scena molto discreta... Come iniziammo a parcheggiare, il Dr. Thompson decise che la cosa giusta da fare era scagliare la povera, indifesa damigella del sesso nel traffico di Sunset Strip.
Un sinistro stridere di gomme, un orri-
pilato mega strillo di Hunter e si scatenò l'inferno- altri stridii, altri strilli e tutti gli occhi puntati su di noi. Una scia di follia nel giro - letteralmente - di pochi secondi. Recuperato il sexy giocattolo ci facemmo strada con calma nel locale e prendemmo posto sul palco. La notte diventò sempre più bizzarra ma, mio Dio, come è stato divertente. Troppo divertente.
Nel frattempo il film su Las Vegas fu finalmente messo in cantiere come si deve, e arrivò il tempo di rubargli sul serio l'anima. Volai ad Aspen e Hunter venne ad accogliermi all'aeroporto nella sua Chevy decappottabile del '71, detta anche «lo squalo rosso". Zigzagammo attraverso le montagne e arrivammo a Owl Farm dove fui subito invitato a mettere le mie cose nel seminterrato, luogo dove vissi più di quanto avevo previsto tanto che, piano piano, iniziai a sentirmi a mio agio tra i solitari ragni marroni con cui condividevo la stanza.
Per i giorni e le notti a seguire ci sedemmo in quel centro di comando a parlare di tutto, dalla politica alle armi, del nostro stato di origine, di rossetto, musica, dei quadri di Hitler, di letteratura, sport, sempre di sport. Una notte stavamo discutendo quale sport preferisse. Guardavamo molto basket e montagne di football, così gli chiesi se era mai stato un patito di baseball e lui rispose: "No... il baseball è come guardare un branco di ebrei arrabbiati litigare sotto un portico". Una volta, un anno dopo, scommettemmo su una partita dei Mondiali di Calcio, Francia-Brasile. Era assolutamente, appassionatamente convinto che il Brasile avrebbe ridotto la Francia in poltiglia. Accettai la scommessa di 1.000 dollari. Ci schernimmo e sfottemmo a vicenda per settimane prima della partita.
Il risultato fu a mio favore e lui compilò subito un assegno che mi inviò con questa lettera:
Bene colonnello, ti aveva detto che questo sfottuto gioco era combinato. Non pensavo che quello squadrone di perbenisti avrebbe fatto totalmente fiasco. Si sono comportati da animali stupidi. Si sono cagati addosso e hanno disonorato agli occhi del mondo un'intera nazione di vili puttane. Mi ha inoltre insegnato un'altra ottima lezione sul perché i principianti non dovrebbero cazzeggiare con scommesse su giochi che non conoscono affatto. In ogni caso, ecco l'assegno di 1000 dollari. Grazie mille per l'affare. Ci vediamo. Okay,
Doc

La sua generosità era sconcertante. Non provò mai a sottrarsi al mio fuoco di fila di domande. Era sempre eccezionalmente paziente e molto generoso. Era totalmente aperto sui dettagli delle sue prodezze, delle sue esperienze personali, dei suoi ricordi, anche nei particolari più intimi e privati del suo passato. Il che non era scontato.
Più stavamo insieme, più il legame tra noi si intensificava. Per la maggior parte del tempo eravamo inseparabili. Ed era bello. La connessione era profonda e lo diventava sempre piu. Ero solito ripetergli che stavamo diventando una versione perversamente oscura e complicata di Edgar Bergen e Charlie McCarthy, il che lo metteva a disagio. A questo punto gli avevo trafugato un'impressionante quantità di vestiti del periodo di Las Vegas e avevo adottato il suo modo di vestire: gli occhiali da aviatore, il cappellaccio, i pantaloni corti, i calzettoni da basket, le Converse, un bocchino serrato tra i denti. Se mi toglievo il cappello per dare aria alla zucca, mi chiedeva sempre di ricoprirmela. Bighellonavamo come due gemelli mostruosi. Nel bene e nel male, eravamo là: una coppia di anomali reggilibri a caccia. In verità, quell'uomo avrebbero dovuto farlo santo solo in virtù del mio continuo scartabellare tra le pagine della sua vita. Reggeva il gioco come un campione, e non avrei potuto avere amico migliore.

(continua)

[ Questo messaggio è stato modificato da: Valparaiso il 19-07-2008 alle 15:50 ]

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Valparaiso

Reg.: 21 Lug 2007
Messaggi: 4447
Da: Napoli (es)
Inviato: 19-07-2008 15:55  
C'è un numero infinito di momenti ed esperienze che sono stato così fortunato d'aver vissuto con Hunter. Troppi per scriverne qui. Ero assolutamente conscio che tutto sarebbe successo solo una volta nella vita. Erano esperienze fantastiche.
Stavo attraversando alcuni dei momenti migliori della mia vita, e per fortuna lo sapevo. Parlando da fan: devi a te stesso il fatto di non farti imbrogliare o fregare credendo semplicemente al mito. Devi capire che la sua strada e i suoi metodi sono suoi e solo suoi, e che viveva e respirava la sua scrittura 24 ore al giorno. Per quelli di voi che, basandosi sui viaggi di Hunter e sulle folli storie che circondano la sua vita e la sua memoria, l'eccesso e il selvaggio girovagare del suo stile di vita, possono pensare che fosse semplicemente una specie di folle edonista o, come diceva sempre, «un vecchio diavolo strafatto», vi giuro che non lo era. Era un gentiluomo del sud, tutto buone maniere e fascino. Uno spassoso ragazzaccio. Un cercatore di verità. Un medium ipersensitivo che canalizzava miracolosamente la corrente di verità sotterranea sepolta nelle bugie a cui ci siamo abituati a credere.
Hunter era un genio che rivoluzionò la scrittura come Marlon Brando fece con la recitazione. Significativo, essenziale e di valore come Kerouace gli Stones. Era senza dubbio l'amico più leale e presente che abbia mai avuto l'onore di conoscere. Ho avuto il privilegio di appartenere alla piccola confraternita della sua vita, a cui era concesso di vedere oltre il limite. Era l'eleganza personificata. Mi manca. Mi mancava quando era vivo. Ma, caro Dottore, ti rivedrò ancora.
Colonnello Depp, Los Angeles

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