seanma
 Reg.: 07 Nov 2001 Messaggi: 8105 Da: jjjjjjjj (MI)
| Inviato: 19-02-2005 12:03 |
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Sono orgoglioso di presentarvi direttamente dai IV "Colloqui Fiorentini" (Firenze,17-19 Febbraio 2005)quest'anno dedicati alla figura di Giovanni Pascoli, dove è stato insignito della Menzione d'Onore nella sezione "Narrativa",questo suggestivo racconto.
Altro commento è superfluo.A voi la lettura.
C’era una volta un bambino che abitava in una piccola casetta di campagna, insieme alla mamma, al papà e a un gatto rosso. Gli piaceva tanto disegnare e arrampicarsi sugli alberi insieme al gatto, che però prendeva sempre paura e restava sui primi rami a miagolare. La mamma di questo bambino era molto buona e gli preparava la marmellata per merenda, e quando era ora di andare a letto gli rimboccava le coperte e gli raccontava le storie per farlo addormentare.
Il bambino si chiamava Ruggero e aveva otto anni. Tutti i giorni il papà lo accompagnava a scuola, dove la maestra gli insegnava a scrivere e a contare. Un giorno di dicembre Ruggero si ammalò e dovette restare a casa. Era un bambino a cui non piaceva stare a letto senza far niente, perciò chiese alla mamma un foglio e le matite colorate. Cominciò a disegnare l’albero del giardino, che era un gelso e di primavera si riempiva di more, ma finì presto e decise di disegnare anche tanti uccelli appollaiati sui rami. Conosceva molti tipi di
uccelli, e ben presto comparvero sul foglio tordi, passeri, rondini, merli, pettirossi e anche due bei pavoni che stavano ai piedi dell’albero.
Il disegno piacque tantissimo alla mamma e al papà, che lo appesero in cucina. Ruggero era felice ma molto stanco perché aveva un po’ di febbre. Andò di nuovo a letto dopo aver salutato il gatto che gli augurava di guarire presto, e cadde in un sonno profondo.
Se un poeta fosse passato sotto alla finestra della cameretta avrebbe potuto vedere tante stelline uscirne e perdersi nell’aria. Ruggero stava sognando, come sognano i bambini, dolcemente e perdutamente, e quelle stelline erano le parole del suo sogno.
Esse sono scritte di seguito, ancora palpitanti e splendenti.
Nato dal sogno di un inverno gelato
si specchia nelle lacrime di un cipresso malato
tra i cui rami le piccole ali ha mosso
volando silenzioso un pettirosso.
Era creatura minuta, tenera e rossa
ma con voglia d’amare sì grossa
che nel petto materno ripiegava la testina
tutto contento della cara mammina.
Sua infanzia passò nel nido assai lieta
coi fratellini in un’intesa segreta
osservando poco a poco il sorger del mattino
appena sveglio con la gioia nell’occhiolino.
Imparò a volare con l’aiuto del papà,
pettirosso giusto e buono che pieno d’umiltà
s’occupava della dolce famiglia
che viveva in un piccolo nido fatto a conchiglia.
Presto scoprì del volo i segreti
intrecciando ghirlande col vento tra neri pruneti,
di cigni vicini divenne amico
e molti viaggi compiva presso un abete antico.
La natura e la forza distruggon alberi possenti
di cui vediamo relitti neri e cadenti.
In un giorno di lacrime dall’onda nera travolto
cadde il padre col piccolo petto alle stelle rivolto.
Di straziati stridii i figli si nutriron da allora,
e stretti tra loro ascoltavan la pioggia di dolorose note canora.
La madre accanto a sé li teneva, muta dal dolore,
i pettirossi ne sentivano affranti il battito del cuore.
Più lento, sempre più lento esso batteva,
finché su un prato la mamma gli occhietti chiudeva..
L’incubo più cupo aveva cinto il nido
come la notte investe il mondo, senza più un grido.
Il pettirosso in un brutto sogno sperava di trovarsi
tanto tremenda la realtà era venuta a presentarsi
ma presto s’accorse che non si svegliava
e la cara mamma al nido non ritornava.
Per tanti giorni la famiglia non aveva mangiato
dopo che la mamma il capino aveva sulle foglie appoggiato.
La fame necessario rese il volo
e il pettirosso non più gaio partì nel vento, tutto solo.
Assorto il cielo guardava mentre il cuore piangeva
domandandosi perché, perché, quella cosa terribile accadeva..
Esser non poteva che i genitori non ci fossero più
e ancor li cercava e chiamava con lievi “chiù”.
La famiglia a stento proseguiva,
e tanti piccoli il pettirosso più grande nutriva,
ogni giorno uguale all’altro
mentre nell’anima si creava di dolore un antro.
Natura, così crudele e forte,
di nuovo giunse in compagnia della morte
e tre piccini si portò via
in quel nido tanto pieno di agonia..
Arrivata forse era anche l’ultima sua ora
pensava ormai il pettirosso rimasto vivo finora
ma il destino lo volle accanto alla famiglia
in una solitudine orribile, che pareva fanghiglia.
Sul ramo di un pino egli spesso si recava
e cercando calore tra le fronde si rifugiava.
Lì vi vivevano molti scoiattoli
che tristi per lui portavan ghiande e giocattoli.
Il pettirosso chiuso in se stesso e immobile
non cantava dolci note da tempo immemorabile
ma il dolore non poteva per sempre renderlo muto.
Una musica straziante gli nasceva nel collo piccolo e pennuto.
Un giorno di primavera da un salice piangente
vide su un laghetto due cigni di un bianco splendente.
Tornarono alla mente, per l’ennesima volta,
i tempi dell’infanzia e della felicità che gli era tolta.
Gli animali pianger non possono nonostante il dolore.
Unico conforto a tanto oppresso cuore
è miagolare, ululare, cantare
esprimendo la sofferenza vasta come un mare.
Furon i cigni ad ispirare il canto del pettirosso.
Pose in melodie il dolore da cui era scosso
e tanto era bella quell’armonia
che tutta la natura si riempiva di nostalgia..
I cigni sul laghetto smisero di nuotare,
gli uccellini si posaron sull’albero, e non osavano cantare,
i fiori si volsero nella direzione del suono,
il vento soffiava piano e sembrava piangere come un uomo.
Di un poco il cuor del pettirosso si scaldava
grazie a tanta solidarietà che col canto destava..
Presto si sparse la voce di sue qualità canore
e sempre più uccellini giungevan ad udire queste note sonore.
Il dolce animaletto per i boschi trascorreva le giornate
che però sempre di dolore rimanevano malate
nonostante l’amicizia con merli, fringuelli e usignoli
e una cara fratellanza con una famiglia di pavoni.
Vagando tra boschi e grandi foreste
lontano dal nido e dalle sorelle meste
trovò un pomeriggio una casetta rurale
circondata da un orto, in una tenuta padronale.
Mai aveva visto un uomo, l’uccellino,
essere diverso eppure vicino.
Re della terra, e della natura aggressore
per il pettirosso causa di tanto dolore.
Un gatto, rosso e pasciuto,
stava sul prato quando vide il pennuto.
Gran meraviglia colse il pettirosso
che tornò nei boschi, volando a più non posso.
Si recò da un pavone suo amico caro
che aveva grande intelligenza e animo raro.
Il pettirosso con lui parlare voleva
e cominciò a cinguettare come fare soleva..
I due amici, nonostante la diversità,
si capivano grazie alle loro capacità..
Il pavone il racconto ascoltò comprensivo
mentre passeggiavano nei pressi di un sonoro rivo.
Egli gli rispose con un altro racconto
narrando cose di cui l’amico doveva tener conto.
Il pavone infatti gli uomini aveva conosciuto
prima della libertà a cui tornar aveva potuto.
In un recinto, di queste creature prigioniero,
viveva vicino a un vecchio maniero
dove una famiglia coltivava il terreno
e prendeva l’acqua da un gran pozzo nero.
Alcuni uomini più piccolini
a volte al recinto si facevan vicini.
Al pavone piacere faceva quella compagnia
ma presto rimaneva solo, poiché i bimbi andavano via.
In solitudine il pavone pensava,
di notte sotto il cielo sulla sua vita meditava..
Nato in liberà, dove faceva tante cose
ora davanti agli uomini faceva solo pose.
All’alba dei rumori un giorno lo svegliarono.
Spaventato udì degli spari, poi gli uomini tornarono.
Pieni eran di cesti, e dentro morti uccellini
e paura lo invase per i suoi piccolini.
Capì che quell’essere la natura uccideva,
senza motivo stermini tremendi faceva.
D’improvviso non sopportò più quel recinto
e dalla malattia finse d’esser vinto.
I padroni, non volendo curarlo,
provvidero finalmente ad affrancarlo.
Lo portarono presto in una bella radura
e il pavone poté ricongiungersi alla natura.
Il racconto era così terminato
e per l’amarezza il pettirosso era quasi mancato.
Ciò che nella testolina egli sospettava
era che l’uomo gli avesse ucciso i cari, che tanto amava..
Dapprima acceso d’odio, e poi di rassegnazione
zampettò ancora un poco col suo amico pavone,
il quale sapeva tutto ciò che l’altro pensava
e con tristezza le stesse cose provava..
Cantò ancor di più il pettirosso da quel giorno
e sempre gli amici gli si raccoglievano intorno.
Egli raccontava la crudeltà umana
col dolore che veniva espresso a fiumana..
Temeva di andar troppo in giro, tuttavia,
sapendo ora che il mondo poteva spazzarlo via
com’era accaduto ai suoi poveri genitori
sempre presenti nei filiali cuori.
Pieno d’ansia vegliava sul nido
e trasaliva se nel bosco s’udiva un grido.
Come batteva il piccolo cuore
che s’accendeva per le sorelle di affettuoso amore!
Un giorno si recava a cercar per loro il cibo,
insieme a due passeri, vicino a un declivio.
La forte crudeltà li stava per colpire
mentre si sentiva delle cicale il lieve frinire.
Gli spari arrivarono così vicini
che quasi assordarono gli inermi uccellini.
Il pettirosso, morto di paura,
si rifugiò nei floridi alberi della radura.
Ma i compagni purtroppo vennero colpiti
e caddero e giacquero sulla terra, per sempre sopiti.
Pianse la natura, pianse per i figli
afferrati freddamente dagli umani artigli.
Del bosco gli abitanti, con i cuori infranti,
si produssero anch’essi in lugubri pianti
e il pettirosso piangeva più di tutti
ma con la voce, gli occhi eran asciutti.
Tanto forte era il cinguettio triste
che gli uomini degli animaletti seguirono le piste
e senza che potesse del tranello accorgersi
il pettirosso finì in una rete, e non poteva più muoversi.
Venne portato in una tenuta di campagna
in casa di una vecchina che lavorava a maglia.
Era donna gentile, e fu contenta di averlo
e lo mise in una gabbia, per poter sempre vederlo.
Il piccolo uccellino si disperava,
non conoscere il suo destino terribilmente lo inquietava.
La vecchia però sempre lo nutriva
e solamente lo osservava, mai lo colpiva.
Passò tanto tempo, il pettirosso non cantava
convinto di rimanere a vita nel posto dove si trovava.
Ma un giorno finalmente venne liberato
poiché la vecchina questo mondo aveva lasciato.
Che gioia immensa al nido tornare
dove le sorelle eran lì depresse a cinguettare!
Decise di allontanarsi da quel bosco
che era pieno di insidie e tanto fosco.
La famiglia quindi migrò in un posto più isolato
dal clima migliore, più temperato
ma una sorella si innamorò di un pettirosso
e si spostò in un altro nido, di un colle a ridosso.
Il nostro uccellino male ci rimase
volendo costruire come in passato un’altra base,
tutti uniti e ben protetti
in un calore di famiglia amorevolmente stretti.
Con l’unica sorella ogni giorno discorreva,
procurarle il cibo spessissimo soleva.
Cominciò per lui una tranquilla quiete
in una dimora accogliente, sul ramo di un abete.
Pensava sempre alla mamma e al papà,
che con i fratelli estinti formavan la sua realtà.
Gli piaceva riflettere osservando il paesaggio
e grazie al pensiero divenne molto saggio.
Sognava ogni notte, e i suoi sogni eran poesia,
soffici come piume che dolcemente volano via..
Vide una volta un angelo di foglie autunnali
Era il padre, che nell’aria sbatteva le ali.
S’accorse di essere malato,
un grave dolore provava al ventre piumato.
La sorella gli stava sempre al fianco
ed egli si preparava all’eterno sonno bianco.
Ma l’ultimo sogno fu oscuro e tenebroso.
Un uomo si buttava da un dirupo montuoso
e nel cadere diventava un nero corvo
che volava rapido, sparendo per sempre in un bosco torvo…
Ruggero si svegliò all’alba, all’improvviso, e l’oscurità del sogno si dileguò. Una pallida luce rosa invadeva la cameretta.
Pensò all’uccellino per tutta la giornata, con una strana sensazione. Provò a raccontare il sogno alla mamma, ma non gli venivano le parole. Di pomeriggio volle uscire a tutti i costi, perciò la mamma lo coprì per bene. Andarono al gelso e scoprirono con stupore che era nato un fiore su un ramo, un fiore grande e rosa, che brillava al pallido sole invernale. Il bambino, finalmente soddisfatto, disse alla mamma che quel fiore era il suo pettirosso. La mamma non capì e pensò che fosse solo una fantasia del suo dolce bambino. Lo baciò sulla guancia e lo riportò in casa.
Dedicato alla famiglia Pascoli.
Autrice: Penna Giulia meglio conosciuta come "Ondina"
_________________ sono un bugiardo e un ipocrita |
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