seanma
Reg.: 07 Nov 2001 Messaggi: 8105 Da: jjjjjjjj (MI)
| Inviato: 20-06-2004 19:03 |
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Da bravo scrivano amanuense quale sono,propongo a tutti voi,amicio vicini e lontani di questo Forum che ci ospita da anni,alcuni recenti scritti inediti di un utente che molti di voi conosceranno e di cui rimpiangeranno l'assenza forzata,e di cui altri avranno la possibilità di conoscere il talento.....
Arte:Cosa significa?
Discutere l'arte,e in questo modo crearla,non dovrebbe essere uno sfogo filtrato attraverso sentenze personali.Le sfumature di giudizio di chi l'arte la conosce o vuole conoscere,amare e interiorizzare sono infinite; si arguisce da questa pratica di giudizio che a contare sia il grado di sublimità o al contrario di abominazione di un'opera.Vale invece una ricerca di perfezione,intrinseca in ogni azione umana,che dovrebbe portare alla necessità di raggiungere il massimo anche nel commentare l'arte.Non giudicarla,in quanto il termine ha assunto una sfumatura negativa.
Dunque amare un'opera d'arte comporta anche il bisogno di commentarla,ma è necessario saperla commentare,in modo articolato e razionale,purificandola dal troppo amore o dal troppo odio,non validi per la discussione.
Da questo giungo alla conclusione ch e ciò che ci spinge a scrivere,disegnare,scolpire,suonare,filmare non è altro che l'amore,per quello che noi consideriamo bello e per noi stessi.UN artista vuole esprimersi perchè la sua anima venga riconosciuta;che sia ammirato o criticato non importa,basta che lasci il segno,si distingua dalla folla.Può essere umile,o superbo,o entrambe le cose;creatore,o fruitore,o entrambe le cose.Quel che conta è che una rtista è il mezzo con cui la vita,bene supremo e infinito,si manifesta;e nel tempo in cui viviamo questo deve essere tenuto maggiormente in considerazione.Secondo il mio ragionamento,anche un albero è un artista:è oggetto dell'arte,ed è uno splendido simbolo della vita
Perchè "classica"?
Perchè chiamarla musica classica,con un termine filologicamente errato!Perchè non chiamarla solamente MUSICA,rendendo il legittimo onore a questa bellissima parola greca?
La mia posizione è estremista,lo ammetto.Esistono altri generi,eccetera eccetera.Ma io faccio molta fatica a definirli "musicali".Perchè ora la musica è un business,e come per ogni cosa in cui gli interessi economici sono il motivo portante,provo un severo discgusto davanti alla commercializzazione di quello che è insieme all'amore lo scopo della mia vita.
Innanzitutto spiego,come fatto già in passato,perchè il termine classica è improprio.
Esistono vari periodi storici,che ultimamente e per fortuna in campo strumentistico stanno via via distinguendosi.La sequenza cronologica parte dalla musica medioevale (canti gregoriani,carmina burana ecc.),poi abbiamo la musica barocca (Vivaldi ne è il più famoso rappresentante),con la nascita del melodramma;arriviamo alla musica neoclassica (geni come Haydn e Mozart),poi a quella romantica (Beethoven,Chopin).Nell'ottocento la gràmd opera ha il suo massimo sviluppo.Nel novecento abbiamo varie correnti,verismo (mascagni),realismo e l'importantissima scuola dell'est Europa,Rimski - Korsakov,Prokofiev,Dvorak e altri,che si disclocano nel secolo.La musica contemporanea è in Italia la meno conosciuta.Ne fanno parte compositori ancora in vita come Nino Rota,che si allontana dalle smanie di innovazione come la troviamo nella "Serenata per un satellite",dove ad un certo punto la musica si arresta per udire le vibrazione di un satellite in passaggio sopra l'Italia.
Ora,appare chiaro che catalogare otto secoli di musica sotto il nome di un'unica corrente è anti-culturale e offensivo per la Musica stessa,che secondo la mia sensibilità è una divinità vera e propria.Definire la musica di Stravinski classica è come dire che Steinbeck scrive come Ariosto.E' assurdo e impossibile.
Il fatto è che l'ignoranza e il pressapochismo sono entrati di prepotenza,grazie alla spinta dei mass-media (alla domanda "Chi ha scritto la Marcia delle marionette?"molti rispondono "Hitchkok")nella forma d'arte che meriterebbe rispetto estremo al pari della pittura,scultura,letteratura e altre.
Il linguaggio musicale,sebbene si fonda sulla matematica e per quanto riguarda il suono sulle leggi della fisica,è un linguaggio a se stante,come l'italiano e l'inglese.Ha le sue regole e le sue complessità,la sua importanza.Ma ciò non viene neanche considerato dai più,che,cosa inconcepibile,considerano le inascoltabili schifezze che danno alla radio,come sottofondo alle loro attività.
Per chi la muysica la ascolta e la ama dal profondo questa è chiaramente un'offesa.
Come diceva Maria Callas,il linguaggio nella musica è come quello dell'amore.non bisogna mai tradirla o mancarle di rispetto.
Il "who's who" della Tavola Rotonda
Le storie incentrate su Artù e sui cavalieri della Tavola rotonda sono note a tutti. Celebri sono in particolare le leggende circa la spada nella roccia, Excalibur, e l’idillio di Lancillotto e Ginevra, la bella e giovane moglie di Artù. Il bardo Merlino è diventato il mago per antonomasia, così come Morgana è la fata cattiva per eccellenza (più volte è stata scambiata per una strega, infatti). Personaggi talmente mitici, nel senso proprio del termine, da essere stati incorporati ormai nella nostra cultura occidentale a testimonianza della tradizione medioevale della cavalleria errante.
Ciò ci suggerisce che le storie su Camelot, così come sono arrivate a noi, siano in realtà il risultato dell’unione tra più periodi storici, e tra più culture. Questi racconti, che furono di fatto diffusi in Europa tra il V e il VI secolo, probabilmente dai celti stanziati in Bretagna, intrecciano infatti elementi tratti dall’antica mitologia celtica ad altri aggiunti dalle tradizioni successive, innestandoli su una base storica.
Per quanto riguarda la veridicità del personaggio di re Artù, possiamo dire che, nonostante alcuni studiosi lo considerino un personaggio del tutto leggendario, è possibile che sia realmente esistito un condottiero con tratti simili a capo dei britanni tra il V e il VI secolo. Fu seicento anni dopo la morte di questo condottiero che alcuni monaci cominciarono a scrivere storie su di lui, facendolo diventare l’ultimo degli eroi celtici. Un monaco di nome Nennio parlò di un re dei Britanni, Artù appunto, che combatté e vinse le tribù dei sassoni che stavano invadendo il territorio; il gallese Goffredo di Monmouth ne parlò nel 1135, e aggiunse alcune vicende della vita di Artù. Vicende che la gente prendeva per vere perché erano scritte su un libro di storia.
Come detto sopra, comunque, per alcuni Artù non è mai esistito e la sua storia è stata scritta su commissione dei sovrani britannici, desiderosi avere qualcosa da contrapporre alle gesta di Carlo magno.
Le storie di Camelot furono poi raccolte e rielaborate nei poemi del francese Chrétien de Troyes, vissuto nella seconda metà del XII secolo. Chrètien apparteneva al gruppo dei poeti lirici della Francia settentrionale che subirono l’influenza della poetica dell’amore cortese.
Oltre a queste fonti da cui attingere abbiamo anche la vasta tradizione della mitologia celtica, ricca di personaggi e di storie tra le più suggestive, in quanto colme del fascino arcaico di terre remote emerse dalle acque e di creature sovrannaturali, in genere con sembianze umane, che, con l'aiuto della magia, intervenivano nelle vicende dei mortali. Queste creature sono le fate, nel cui regno vivono anche folletti, gnomi, elfi, troll, nani, streghe e maghi. Alcuni abitanti di questo regno, chiamato Avalon nel ciclo arturiano, e a volte identificato con la perduta Atlantide, entrano direttamente nelle storie della Tavola rotonda. La bionda Ginevra era infatti figlia del re dei Nani, Lodegrance di Camylard, e venne data in sposa a re Artù, a cui in realtà interessava solo la Tavola rotonda, che la ragazza avrebbe portato in dote. La Tavola rotonda e l’annesso Graal sono collegati alla religione cristiana: di questo parlerò dopo. Mago Merlino era figlio di quella che era chiamata la Strega del lago. Nella sua infanzia vissero insieme ad Avalon, in esilio. Merlino tra l’altro aveva tre nomi: quello con cui è conosciuto, Merlino appunto, che significa “falcone”, la forma più estesa che è Myriddin Emrys, figlio della luce, e il nome bardo Taliesin, con cui veniva chiamato alla corte del re Uther Pendragon. Merlino fu per un certo periodo la “mente” di Artù. Infine, la sorellastra di Artù, e anche la sua amante, era la fata Morgana, figlia della regina Ygerne e del re Hoel di Cornovaglia. Diventerà padrona di Avalon, il regno delle nebbie, da cui compirà delle magie e degli incantesimi per imprigionare Lancillotto che smaniava per ritornare da Ginevra.
Anche le origini del prode Lancillotto sono molto interessanti, così come la sua figura che fa da modello per i famosi cavalieri erranti e innamorati dell’epoca medioevale.
Scoperto il suo amore per la regina Ginevra, venne bandito da Camelot e partì per un lungo viaggio, come fecero tanti cavalieri che andavano alla ricerca di loro stessi affrontando dure prove in giro per il mondo. Egli riuscì a risolvere il mistero delle sue origini: suo padre era re Ban, alla cui morte la sposa impazzì di dolore e abbandonò il figlioletto, Lancillotto, sulle rive di un lago.Venne raccolto da Morgana e da lei allevato, come lo era stato a suo tempo il piccolo Artù.
Chrétien de Troyes traccia di Lancillotto un ritratto piuttosto inusuale. A prima vista il poeta tratta il tema dell’amore di Lancillotto e Ginevra con tutta la dovuta serietà. Secondo le regole dell’amor cortese, l’amico deve adorare quasi religiosamente la dama in cui ha riposto il cuore. Ma nell’episodio del poema in cui si narra del pettine della regina, che porta tra i denti alcuni dei suoi capelli d’oro, siamo addirittura nel ridicolo. Alla sola rivelazione di essersi imbattuto nei capelli della regina, poco manca che Lancillotto svenga, ha perso “il cuore e la parola”, e dopo averli riposti sul petto, accanto al cuore, si sente al sicuro da ogni pericolo, come se custodisse delle sante reliquie. Nell’episodio centrale del romanzo, Lancillotto sale sulla carretta destinata ai malfattori infrangendo deliberatamente il codice cavalleresco, accettando di essere bandito dall’ordine della cavalleria.
Il terzo elemento che completa il quadro dell’origine delle storie di Camelot è la religione cristiana, come accennato prima. La Tavola rotonda attorno al quale si sedevano i centocinquanta cavalieri di Artù voleva ricordare la tavola dell’Ultima Cena. Come si sa, la T. rotonda era divisa in tanti spicchi su cui i cavalieri appoggiavano le spade. Un unico posto doveva rimanere sempre vuoto: il Seggio periglioso. Chi vi si sedeva e non aveva un cuore puro veniva fulminato. Chi sarebbe sopravvissuto indenne alla prova sarebbe stato colui che avrebbe trovato il santo Graal, coppa dell’Ultima Cena in cui Gesù aveva versato il vino che simboleggiava il suo sangue.
Sul Graal sono fiorite molte leggende. Una di queste dice che fosse fatto di smeraldo. Questo si spiega andando indietro nel tempo a quando Lucifero, l’angelo ribelle, venne sconfitto da Michele, e il suo terzo occhio magico venne sbalzato via. Questo mandò una scia verde che produsse puro smeraldo, raccolto da Giuseppe d’Arimatea, che ne fece una coppa.
Guardiamo le vicende di Camelot da un altro punto di vista: nella ricerca del Graal si inserisce un elemento importante che è il conflitto culturale tra i diversi regni di Britannia.
Di popolazioni in questi luoghi ce ne erano molte, e molti erano i loro capi. Questo è accertato storicamente. Nella leggenda, annoveriamo l’esistenza di: Costante, re di Logres, che generò Ambrosius – padre di Merlino - e Uther Pendragon, che uccise re Hoel e ne sposò la regina, Ygerne, con la quale generò Artù; re Pelles di Corbenic, nonno di Galahad, zio di Perceval e suocero di Lancillotto; re Ban di Benoic, il cui fratello era Bohor, re di Gannes; re Lot delle Orcadi, padre di Galvano, e altri ancora. Poi collochiamo questi regni leggendari nelle terre della Britannia Maggiore, l’attuale Inghilterra; quindi Camelot (Winchester), Avalon (Glastonbury), il Logres (Galles) e il regno dei Nani, che non è stato meglio identificato; nella Britannia Minore, cioè la parte nord-occidentale della Francia, si trovano invece Benoic e Corbenic.
A seconda delle zone troviamo credenze e modi di pensare diversi: ne sono rappresentanti i personaggi più famosi. Merlino il mago, durante il suo periodo di ascesa a Camelot, guidava le scelte di Artù verso una cultura nuova che soppiantasse quella celtica, dove vigeva una società incentrata sulla famiglia, e quindi sulla discendenza dinastica del potere regio. Merlino promuoveva l’unione di tutte le genti di Britannia di nuova e vecchia data: i Romani, i cristiani, i nani, persino i sassoni. Il sommo re doveva essere sopra le parti.
Sposatosi con Ginevra, Artù cominciò a ragionare con la propria testa, stanco di subire l’influenza del mago, nonché di Morgana. Si dimostrò l’homo novus della società brettone.
Con la complicità dei nani, creò la Tavola Rotonda che significativamente portava incisa questa frase di Gesù Cristo: “I miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica”. Artù, applicando i principi di fratellanza alla giustizia, fondò la regola dei suoi Cavalieri: giurare di porre la propria spada al servizio dei deboli e degli oppressi, e non rifiutare soccorso a chi era vittima dell’ingiustizia.
Di altra pasta era fatta Morgana. In quanto sacerdotessa di Avalon, aveva il comando sul regno fatato, e col suo carattere forte e libero aveva continuato la tradizione di una società matriarcale in cui l’istruzione, la lealtà ai propri congiunti e il rispetto per la cultura passata avevano un ruolo importantissimo. Cosa molto bella, per lei solo chi sapeva leggere e scrivere poteva considerarsi un uomo libero. Tutto ciò, molto in contrasto con la rozzezza dei brettoni, a cui si opponevano inoltre gli abitanti della Britannia Minore, pacifici e acculturati.
Passarono quindici anni, e Artù, invecchiato e privo di forza d’animo, vedeva la società di corte un tempo così attiva e fraterna decadere verso la pigrizia, il lusso e il maschilismo dei discendenti dei Cavalieri, che non facevano altro che giostrare nei tornei, banchettare e fare a gara a chi la sparava più grossa. Fu in questa situazione che arrivò Galahad - figlio di Lancillotto e di Elaine - erede del mite re Pelles; un giovane alquanto sognatore, puro di cuore e convinto sostenitore degli ideali ormai dimenticati della Tavola Rotonda. Dopo essersi seduto incolume sul Seggio Periglioso partì insieme a Perceval e Bohor alla ricerca del sacro Graal.
Lo trovò paradossalmente proprio nel castello natio da dove era partito, quindi a Corbenic, e quando ebbe sentito tutta la storia che aveva condotto la grolla fino a lì, la prese tra le mani, visto che gli era stata data in eredità dal re, e la fece cadere a terra, mandandola in pezzi.
Il gesto ha un preciso significato: abolire il diritto ereditario, su cui sarebbe prevalsa la libera scelta; l’amicizia quindi avrebbe soppiantato la famiglia, e solo con l’amore si sarebbe vinta la morte, come predicava Gesù.
Un messaggio molto, molto bello e vero.
I Miserabili:epopea del popolo
miserabili,scritto nella metà dell'Ottocento,opera dunque spiccatamente romantica, è per me il libro migliore mai scritto.Penso che sia un libro completo.E cosa per me ancora più bella parla "dell'infinito",come dice Hugo,e dell'uomo.
In verità non ho ancora capito che cosa intenda di preciso per infinito.Dio? non mi pare.non è trattato come soggetto principale.La Provvidenza?sì forse sì.Se intesa come Destino.In pochi altri libri ho assistito alla potente influenza della sorte nelle vicende umane.Sorte che nel caso di Jan Valjean,si manifesta o con enormi colpi di sfortuna,o enormi colpi di fortuna.
Hugo sostiene,come ho sempre sostenuto anch'io,che l'anima umana è infinita.Esiste uno spettacolo più grande del cielo della terra,è l'interno dell'anima.Questo è detto in un capitolo che poi si ripeteterà in altre forme.si chiama "Un tempesta sotto il cranio" (Hugo è inarrivabile maestro nel dare i titoli)e con la sua forza espressiva penso che possa riassumere e nello stesso tempo approfondire il vorticoso turbine di pensieri e emozioni di fronte alla tragicità degli eventi.In poche parole,un capitolo che è un capolavoro.
L'infinito dunque potrebbe essere ricondotto alla figura dell'uomo.ma allora non si spiegherebbe perchè il secondo argomento fondamentale indicato da Hugo sia proprio l'uomo.
L'uomo è il protagonista della storia nonchè della filosofia.Soprattutto se si tratta di uomini miserabili.A questo punto cito un passo del saggio di Stevenson,che è la postfazione di un altro ramonzo hughiano,L'uomo che ride (L'homme qui rit):
Nei Miserabili troviamo l'espressione più agile e matura del genio di Hugo,e una morale intesa a destare in noi la coscienza - che spesso non vogliamo avere,perchè il risveglio non sempre è piacevole-che la società da cui traiamo piacere e profitto chiede in cambio costi immensi,e che la lettiga della civiltà,sulla quale siamo serenamente adagiati,può avanzare senza sussulti solo grazie al sangue e al sudore di molti
Rende perfettamente l'idea.
Da notare il fatto che per quanto riguarda la questione sociale ciò è ancora valido.non è limitato al solo perioso post-rivoluzionario francese,insomma.
I Miserabili,in quanto libro enciclopedico, nonchè epico,è ricco anche di molti altri elementi.
L'intero romanzo freme di un angoscioso senso di insicurezza,perchè a suscitare il terrore sono i macchinari stessi della legge.Eppure benchè la sua trama abbia tinte così fosche,questo grande romanzo è pieno di luce e amore.(...)Vi sono,certo,eventi macchinosi e inverosimili,e la storia è artefatta,ma nondimento la concezione e lo svolgimento,pieni di pathos,verità e forza espressiva,sono frutto di un'arte magistrale.
Questi sono solo gli elementi essenziali. Sui Miserabili si potrebbero dire infinite cose, avendo come argomento appunto l’infinito. E’ un libro sterminato, vasto quanto un’enciclopedia, come dice Stevenson,che quindi non puoi leggere in due giorni e in maniera superficiale. Se si guarda solo all’intreccio, comunque ricchissimo e pieno di fascino, si coglie poco o nulla del senso dell’opera, che è di estrema importanza e significato non solo per la produzione di Victor Hugo ma anche per la storia francese del diciannovesimo secolo, periodo che come si sa è un vero e proprio calderone (e infatti la trama è ambientata solamente nel lasso di tempo che va dalla Restaurazione - con una puntata nella vicenda di Waterloo, con considerazioni oggettive e soggettive sul governo di Napoleone– a Filippo Egalitè, figura già di per sé molto interessante e contraddittoria, fautore di un governo in apparenza mite e privo di problemi),e non solo per la Francia,ma per la storia umana,poiché è ricco di riflessioni filosofiche sulla vita dell’uomo,anche rapportata alle sue vicende, alle sue aspirazioni,e,in senso più generale,all’universo.
Il “socialismo” di cui Hugo è convinto,appassionato sostenitore non si può contestarlo,perché parla di fatti reali,senza implicazioni ideologiche (quindi non andrebbe neanche definito socialismo,anche se è del sociale che Hugo di occupa). Quando la gente sta male,e i ricchi invece stanno troppo bene,la denuncia non sta né a destra,né a sinistra né al centro, ma si rende,per il suo contenuto spesso scioccante, ancora più necessaria.Nel nostro Paese,dove la qualità della vita si è decisamente alzata grazie al boom economico(anche se ancora oggi non mancano i casi di analfabetismo nelle zone più isolate del meridione),questo discorso potrebbe anche essere non preso in considerazione –ribadendo cmq che i poveri ci sono anche da noi,sebbene noi ne vediamo la minima parte-ma nei Paesi del terzo mondo, o senza andare troppo lontano,nei paesi dell’Est Europa,dovrebbe essere messo in rilievo sopra ogni altra cosa.Perché la fame e l’ignoranza generano sofferenze indicibili,generano guerre,e le guerre generano catastrofi mondiali da tutti i punti di vista.
La rivoluzione francese e lo strascico che ebbe nella rivoluzione di luglio del 1830 e nella rivolta studentesca del 1832 vengono analizzati con imparzialità per non trascurare i lati positivi e negativi del fenomeno,mettendo in luce la forte contradditorietà di queste vicende,ma anche il loro fascino.
Nei Miserabili sono dunque esaminati tutti gli aspetti dell’anima umana.oltre alla storia e al pensiero,si parla di fede religiosa,vista dalla parte delle monache di clausura,che vivono in un mondo di tenebra all’insaputa del secolo, e degli uomini di chiesa (all’inizio del romanzo, in cui si parla del Vescovo di Digne,viene compiuta una requisitoria amaramente ironica sulla “carità cristiana” dei clerici che vivevano nel lusso sfrenato),dei cambiamenti che avvengono nell’animo dei forzati (alcuni colpevoli in modo lieve,come Jean Valjean),costretti per anni a sopportare indicibili torture,sottoforma di “lavoro utile alla società”;dei sentimenti più puri di personaggi di profondo spessore psicologico,come la giovane Fantine,i già citati Jean e Digne,e poi Cosette e Marius,perdutamente innamorati l’uno dell’altra;sono sentimenti che nascono dalla generosità e dall’amore e che si manifestano in modo commovente ed emozionante quasi più della storia,per non citare i sentimenti di amore verso la patria e la libertà che vediamo nei giovani rivoluzionari dell’ABC,pronti a sacrificare la vita per dare pane e istruzione al popolo,aspirazioni cmq utopistiche;si parla in modo ampio della Parigi dell’epoca,andando persino sottoterra,in quell’enorme “intestino di Leviatano” che è la fogna parigina;si parla di diritto e di politica,guardando soprattutto alle classi sociali; dei monelli di strada,veri e propri figli di Parigi,che parlano come i criminali dell’associazione Patron Minette un linguaggio sinistro ma vasto e articolato,il gergo.Tutto ciò è sempre condotto sul filo lirico-poetico,la cui pulsione emozionale è sempre costante,ed è espressa con lo stile semplice e sentenzioso di Hugo.
La grande schiera dei personaggi,di primo e secondo piano,non può essere assolutamente divisa in “buoni” e “cattivi”. Jean Valjean,il protagonista,è di per sé contraddistinto da lati chiari e scuri. Qui dunque non esistono personaggi cattivi ma esistono personaggi negativi,come Thènardier e Javert,che di fatto ostacolano le azioni dei personaggi positivi, ne sono gli antagonisti,insomma.Una figura molto bella secondo me è quella della figlia maggiore di Thènardier,Eponine,che avrà la funzione di salvatrice di Marius,essendone innamorata,ma sarà anche colei che metterà a repentaglio la vita dello stesso.E’ una grande figura tragica,così come Jean Valjean.Loro più di tutti sono avvolti nella spessa trama insidiosa del destino.
In conclusione,Les Misèrables emerge a pieni voti come libro enciclopedico dell’anima umana e come libro di emozioni e di alti sentimenti,il che lo rende un capolavoro.A cui ci si affeziona molto.Io le definirei perfetto, se non avesse, come sostiene Stevenson, una trama in alcuni punti artefatta,in particolare sul finale in cui a parer mio l’unico personaggio che si salva dalla convenzionalità è Jean Valjean.
Cosa rende poesia una poesia?
Non si sono mai messe le cose in chiaro,su questo;la superficialità ha di questi tempi il compito di darci risposte di comodo come "Non ci sono criteri oggettivi per valutare cos'è poesia",ecc.Se non se ne fossero,non si spiegherebbe allora come mai alcuni lavori vengono pubblicati e altri no.
Faccenda spinosa,la pubblicazione,spesso ingiusta,anti-artistica,d'accordo,ma pur sempre un fattore discriminante nella vasta produzione letteraria di sempre.
Oggi non si fanno più differenze di età e/o sesso.Anche una ragazzina di sedici anni può diventare un fenomeno letteraio,anche se di breve vita,anzi probabilmente proprio per la sua giovane età-e c'è da dire che di lei non si apprezzano necessariamente la bravura tecnica e la levatura artistica.
Quindi tutti hanno la possibilità di pubblicare.Il problema è che ciò che si scrive deve avere delle caratteristiche che variano a seconda del mercato,della moda,della cultura del tempo,o ,parlando di case editrici più "impegnate",deve possedere qualità stilistiche e di contenuto determinate appunto dagli editori.
Non è detto che chi scrive per diletto e non ha interesse a esporre i propri lavori al menàge editoriale non produca arte.Può produrla,ma in una dimensione pi privata e amatoriale e non quindi di grande divulgazione,che è quella che ci fornisce il materiale da leggere e su cui discutere.
E qui veniamo al punto. La poesia.
Non voglio discutere i miei e altrui gusti in fatto di poesia,che tra l'altro non è una branca letteraria che desta di più il mio interesse.
Desidero invece osservare che il termine "poesia"oggi è alquanto abusato.
Parto da una polemica molto interessante fatta dal mio professore del ginnasio contro coloro che affermano di scrivere poesie.Secondo il suo punto di vista,che condivido,per scrivere poesie è necessario innanzitutto avere competenze tecnico-stopriche:essere a conoscenza delle dinamiche della metrica classica e moderna,orientarsi nei periodi storici della tradizione poetica occidentale,studiare le caratteristiche dei singoli autori e le innovazione da loro apportate.Nessuno scrittore nasce scrittore.
Bisogna insomma compiere un atto di umiltà nei confronti di una forma d'arte molto complessa e strutturata.
Pochi scrivono in rima,oggi,e i rimanenti adducono come pretesto alla loro produzione in "versi liberi"il fatto che la rime sono delle costrizioni obsolete e scolatiche al loro mirabile genio creativo.Quindi ognuno si sente in diritto di chiamare i propri sfoghi di sentimenti,emozioni ecc. col termine poesia,solo porco si scrive una frase sotto l'altra.Secondo questo ragionamenteio posso scrivere:
"Sono stanca
Lavorai tutto il giorno
Ma il riposo non mi è concesso"
Cosa comunica una composizione del genere?La si può definire poesia?Direi che si tratta solamente di frammenti di una banalissima frase che non ha niente di particolare,anzi,apparteine alla sfera del quotidiano da circa trenta secoli.
Ho anche notato l'utilizzo di figure retoriche fine a se stesse e prive di senso,di frasi talmente ermetiche da risultare quasi criptate,di improprietà lessicali o grammaticali.Perchè ormai non si sa più cosa inventare.E non si ha la voglia e/o la capacità di scrivere in rima.
Mi è capitato di leggere poesie del Novecento di cui non ho capito assolutamente nulla.Penso di essere dotata di una normale intelligenza e di sufficente interessa per la letteratura per fermarmi e chiedermi:"Ma questa è poesia?perchè la definiscono tale?"
Spesso il giudizio di un lettore (o di chi va al cinema)cambia a seconda di come è presentato un libro,o un film.Se un romanzo o una poesia di evidente mediocrità,che neenache il lettore stesdso riesce a capire,è stato scritto da un autore famoso,di cui si è sentito parlare o di cui si tessono le lodi nel risvolto del volume,sarà sicuramente e inesorabilmente un capolavoro di clamorosa e intrigante pregnanza.E viceversa.
_________________ sono un bugiardo e un ipocrita |
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