Natalija
Reg.: 22 Ott 2003 Messaggi: 500 Da: Pianella (PE)
| Inviato: 14-02-2004 20:40 |
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Questo è un mio compito in classe (un po' modificato per l'occasione), ma ho deciso di pubblicarlo per sollevare un dibattito tra chiunque abbia letto questo meraviglioso racconto o conosca Maupassant e voglia esprimere il proprioparere personale su questo grande scrittore.
Di guerra, purtroppo, si sente parlare quotidianamente. Sui mass-media notizie e disquisizioni su conflitti, armi nucleari ed edifici rasi al suolo sono così frequenti da essere divenuti routine alla quale troppo spesso non si presta più attenzione.
Ma a subire le conseguenze degli scontri bellici che affliggono il nostro Paese non sono unicamente manager, capi di stato e grandi personalità politiche. A volte si tratta di individui comuni, semplici, sui quali di discussioni se ne fanno ben poche. Sono gli inconsapevoli, i morti per cause che non li riguardano, che non comprendono, e che se trovano al centro di una concatenazione di eventi troppo complessa perché possano scamparne.
I morti senza nome e senza perché, la più grande manifestazione dell’assurdità e fondamentale insensatezza di ogni guerra,sono descritti con intelligenza e velato sarcasmo da Maupassant nel racconto “Due amici”.
Siamo nel 1870, e la Parigi assediata dai prussiani viene descritta con sorprendente efficacia: “bloccata, affamata, rantolante”.
Un cittadino comune, Morrisot, passeggia per un viale di circonvallazione; l’autore non fornisce molte informazioni sul personaggio, probabilmente a sottolinearne la semplicità, “normalità”. È un cittadino qualunque, di professione orologio, ma neppure il suo mestiere conta; potrebbe essere chiunque, un nostro stesso conoscente. Potremmo addirittura identificarci in lui.
Durante la passeggiata, Morissot s’imbatte in una vecchia conoscenza, il Signor Sauvage (neppure di quest’ultimo vengono fornite ulteriori informazioni).
Qui, un’analessi descrive la passione che accomuna i protagonisti e tramite la quale sono divenuti amici: la pesca.
Prima dell’inizio della guerra, infatti, erano soliti incontrarsi sull’isola di Marante per poi pescare tutto il giorno.
Non parlavano molto, eppure si sentivano legati da un affetto particolare, un’affinità trasmessa da quei lunghi silenzi di quiete e pace. Amavano la pesca e lo splendore della natura in egual modo, e questo bastava perché si capissero e si sentissero indissolubilmente legati.
Incontratisi, decidono di bere un aperitivo insieme, e l’alcol e la dolce brezza mattutina sono sufficienti perché decidano di recarsi, insieme, a pescare.
Giunti sul luogo, danno vita ad una pesca “miracolosa”. E, guardandosi intorno, scoprono di essere felici, dimentichi di guerra e miserie. Non dicono nulla, eppure sanno che per entrambi il paradiso sarebbe il rimanere lì, insieme ed in silenzio, con una canna da pesca tra le mani e l’armonioso splendore del fiume dorato dal sole.
Improvvisamente, una successione di spari e volute di fumo s’innalzano dal Mont-Valerien, al disopra della riva. Morrissot e Sauvage incominciano quindi a discutere dell’assurdità del conflitto. Con le loro affermazioni semplici, limitate, sembrano quasi bambini che chiedano ai grandi potenti: perché ammazzarsi a vicenda, se tutto è così bello? La complessità di un conflitto viene vanificata, gli spari vengono snudati della superbia, imponenza e timorosa soggezione delle quali vengono spesso rivestiti ed appaiono come ridicoli, inutili, stolti, un fastidioso elemento disturbante di tanta pace e bellezza sul fiume.
I due amici sono probabilmente immersi in queste riflessioni, quando vengono presi di mira con dei fucili da quattro soldati prussiani, giunti silenziosamente alle loro spalle.
Il ritmo narrativo accelera paurosamente: i malcapitati vengono afferrati, legati, gettati a bordo di una vasca e condotti sull’isola.
Trascinati in una casa fatiscente, che credevano abbandonata, si trovano al cospetti di un enorme prussiano seduto su di una sedia, probabilmente il comandante di un esercito.
L’uomo sembra convinto che siano due spie, ed intima loro di fornire la parola d’onore degli avamposti francesi, Morrissot e Sauvage, atterriti, non hanno neppure la forza di parlare per convincere il comandante della loro innocenza. Vengono quindi uccisi sbrigativamente, e gettati nel fiume. I pesci pescati vengono reperiti da due soldati prussiani e portati al grassi comandante, che dà ordine di friggerli.
Il finale brutale, gelido e “veloce” è nell’esatto stile dello scrittore, ed ha molte chiavi di lettura. Lo si può considerare un’aspra critica a tutti i conflitti (tesi avvalorata dalla frase, così semplice eppure così significativa ed illuminante “bisogna essere dei veri imbecilli per ammazzarsi così” pronunciata da Morrisot),
Ma potrebbe essere anche un racconto lucido e spietato sulla ferocia della nostra esistenza, che ha portato due ignari ed inoffensivi amici ad una morte assurda. È comunque presente tutto il pessimismo di Maupassant, la sua disillusione e quello scaltro, sadico e sottile umorismo di fondo, un’amara ironia ricorrente in tutte le opere dell’autore: i pesci, costati la vita a Morrissot e Sauvage, vengono infatti mangiati dal loro stesso assassino.
_________________ E Ciàula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva, nell'averla scoperta, là, mentr'ella saliva pel cielo, la Luna. |
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