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[quote][i]In data 2010-06-30 11:29, Richmondo scrive:[/i][b] Mi riferisco all'orrendo caso del "Canaro" della Magliana, la storia di un tosacani di 32 anni del quartiere romano della Magliana, conosciuto dai più come un uomo mite e tranquillo, vessato griorno dopo giorno da un "gigante" di 27 anni che lo umiliava davanti alla figlia di sette anni, lo derubava, lo picchiava e lo sfruttava per i suoi loschi affari. Fino a quando le parti non si sono invertite. Sconsigliato ai deboli di stomaco. Da "La Repubblica", edizione del 23 Febbraio 1988 [i]ROMA Le foto, tutte a colori, sono sparpagliate sul tavolo di mogano scuro. Rino Monaco, capo della squadra mobile di Roma, le guarda e le riguarda. Scuote la testa. Sospira. Torna a scuotere la testa: "No, in tanti anni di lavoro, non ho mai visto nulla del genere. Questa volta la fantasia, anche la più abberrante e criminale fantasia, ha superato la realtà. La cocaina? Mah, sì, la cocaina eccita, dà quel senso di potenza e di invulnerabilità. Stravolge e deforma le nostre sensazioni. Ma non credo che tutto questo sia sufficiente per spiegare tanta ferocia. C' è qualcosa in più. Noi abbiamo trovato il colpevole. Il caso era tutt' altro che semplice. Se non avesse confessato, probabilmente staremmo ancora qui alla ricerca di un assassino spietato e misterioso". Talmente spietato che nessuno, proprio per timore di fare la stessa fine, avrebbe denunciato. Il caso, l' orribile delitto della Magliana, è stato invece risolto in due giorni. Piero De Negri, 32 anni, tosatore di cani in un negozio di sua proprietà, spacciatore di cocaina e eroina, noto in tutto il quartiere come il canaro, alla fine è crollato. Ha raccontato tutto, nei minimi particolari. Il piano, la vendetta, la trappola, sei ore di sevizie e di torture, la decisione di bruciare il cadavere, il desiderio di esporre in piazza quel corpo devastato e maciullato per riscattarsi da tante angherie. Magari con un bel cartello appeso al collo che urlasse a tutti: Eccolo, er puggile. La vittima, Giancarlo Ricci, 25 anni, ex pugile, un bullo di periferia, era odiato e temuto in tutto il quartiere. Lo odiavano e anche Piero De Negri lo odiava: avevano fatto un colpo insieme, lui era finito in galera e l' altro si era speso i soldi. Gli aveva rubato uno stereo e per farglielo riavere gli aveva chiesto una tangente di duecento mila lire. La classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Il carnefice non ha avuto remore nell' ammetterlo. Gli inquirenti lo hanno provocato, volutamente: Ci sono le prove, macchie di sangue nel negozio, il baule della macchina lavato, c' è qualcuno che ha visto. "Se sei un uomo, confessa". E lui non si è fatto pregare due volte: "Sì, io sono un uomo", ha urlato, "sono stato io e lo rifarei". La confessione arriva sabato notte, dopo un giorno e mezzo di interrogatori. La Mobile ha setacciato tutto il quartiere. C' è un testimone importante. Decisivo. Un amico della vittima che ha accompagnato Ricci nel negozio di cani. Ha aspettato fuori. Dopo mezz' ora ha visto uscire De Negri. "Mi ha detto che avevano fatto una rapina ad un trafficante di cocaina. Un siciliano. Ma era andata male: Giancarlo era scappato dal retrobottega e anche lui ora doveva nascondersi. Mi ha dato le chiavi della macchina e mi ha detto di portarla sotto casa". A quell' ora erano le 15 di giovedì scorso Giancarlo Ricci è invece ancora nel negozio. Da mezz' ora la trappola era scattata, il piano procedeva senza intoppi. Un piano, una sequenza dell' orrore, che er canaro ha raccontato come se leggesse un copione. Esaltandosi. Sembrava di stare in un teatro di prosa, ricorda il capo della Mobile Monaco. Recitava, spiegando le battute, con giuste pause e partecipazione. Un dialogo che quelle foto sparpagliate sul tavolo, trasformano in un thrilling visto al rallentatore. Un film proiettato ieri per la seconda volta durante il sopralluogo compiuto dagli inquirenti e dal medico legale in quel negozio improvvisato in camera di tortura. "L' avevo incontrato in mattinata. Gli ho detto: a Giancà stavolta ce rifamo. Stasera viè un cavallo con la roba. Se ha fatto il giro, c' avrà er grano. Organizziamo una rapina. Lui non ti conosce: ci colpisci a tutte e due e ti dai. Nasconditi in bagno. No, in bagno no perché li proviamo la coca. Nasconditi qui, nel gabbione. Ricci accetta: s' infila in una di quelle gabbie usate per tosare e lavare i cani. E appena dentro scatta il gancio di chiusura. Lui non capiva. Ha iniziato ad agitarsi. Mi insultava, ringhiava, bestemmiava. Io gli dicevo: ma che vòi, sta tranquillo. Ma lui continuava a divincolarsi. Allora gli spruzzo della benzina in faccia e gli do fuoco. E' stordito, ma si agita. Con la testa sfonda la rete metallica della gabbia e inizia a urlare. Ma che mi vuoi fà, infame! Urlava come un ossesso e si muoveva. Lo lego con due catene al collo, quelle che uso per bloccare i cani. Alzo il volume dello stereo, prendo un bastone e lo colpisco. Due volte. Lui sviene, la testa appesa alla rete sfondata, il corpo disteso e le gambe aperte. Prendo le tronchesi, gli taglio i pollici e gli indici. Sanguina, spruzzo la benzina sulla ferite e le brucio. Fermo l' emorragia. Lui si risveglia. E' intontito, si guarda le mani e torna ad urlare. Gli dico: ma che gli hanno fatto ar puggile! Chi è stato, st' infame! E lui, ringhiando: è stato er canaro. A Pietro, giuro che quando me slego t' ammazzo". Ormai sono le cinque di pomeriggio. Pietro De Negri, fa una pausa. Ogni tanto va in bagno e sniffa un po' di coca. Qualcuno ha scritto 50 grammi in sei ore. Un' esagerazione decisamente smentita. Come è stato smentito che la droga fosse in realtà del crack. Stupefacente che rende in breve folli. Restano i dubbi, per il momento di certo c' è solo il racconto di Piero De Negri. Il tosacani esce dal negozio, si prende una boccata d' aria. Poi torna dentro. Esce ancora. Si allontana per una mezz' ora: il tempo di andare in una vicina scuola dove l' aspetta sua figlia, Sara 7 anni. La porta a casa dell' ex moglie e torna nel negozio. Ancora domande, tra lo sfottò e l' ironia: "Mamma mia, a Giancà stavolta t' hanno conciato proprio male. Ma chi è stato? Eh? Chi è stato sto figlio di una buona donna? E lui, stravolto dal dolore: Er canaro, è stato er canaro. Ma allora, gli ho risposto, sei proprio un infame: ho preso le forbici e gli ho ritagliato la faccia. Poi le orecchie, poi il naso. In modo simmetrico. Come faccio generalmente con i cani, per le orecchie e le code. Lui urlava, ma il volume dello stereo copriva tutto. Sanguinava e io spruzzavo benzina sulle ferite e le bruciavo. Le domande continuano, ma la vittima non risponde più." Sì," è il racconto di De Negri "era ancora vivo. Non moriva mai, aveva un cuore di ferro. Respirava, ma adesso finalmente non parlava più. Aveva capito chi era il più forte. Aveva abbassato la cresta. Gli ho chiesto ancora: allora, chi t' ha conciato così? Lui ha detto qualcosa, ho preso le forbici e gli ho tagliato la lingua, poi il cazzo e le palle. Gli ho ho aperto la bocca con delle tenaglie e gli ho messo dentro tutto. Poi gli ho sussurrato: A Giancà, ma quale uomo, ora sei un femminiello! Bravo, adesso non potrai dire che è stato er canaro. Adesso non pipperai più. Lui continuava a muoversi. Poi, a un tratto, è morto". Morto soffocato, dirà l' autopsia. Ma la tortura non è finita. Il carnefice con una chiave a pappagallo sfonda i denti della vittima, gli infila nell' ano un dito e altri due negli occhi, devastandoli. Poi a martellate apre la calotta cranica e gli lava il cervello: "A dottò," confesserà al capo della Mobile, "gli ho fatto lo shampoo per cani". E' notte. De Negri prende il cadavere dell' ex pugile, lo lega con una corda, lo trasporta in una discarica e gli dà fuoco. Ma evita di bruciare i polpastrelli per farlo individuare. "Lo dovevano sapere tutti, in giro, ha spiegato con foga l' assassino, che fine aveva fatto er puggile. Se l' era cercata, quell' infame. E alla fine l' ha trovata".[/i] La vicenda si svolge diversi anni fa. Al di là dell'orribile cruenza e violenza con la quale si è svolta, in realtà appartiene ad una purtroppo lunga serie di fattacci di cronaca nera, che non avrei particolare interesse a rivangare, specialmente a distanza di così tanti anni, se non sul piano prettamente psicologico ed antropologico. Ed è proprio su questo (in realtà) nient'affatto secondario aspetto che mi voglio soffermare. La Bibbia recita "Terribile è l'ira del mansueto". In quasi ogni religione, che perfino allo stato attuale è il metodo più efficace per appannare lo sguardo umano verso se stesso, verso i propri istinti e le proprie nature, aggirando i fatto che i comportamenti dell'uomo siano sempre dettati da eredità ataviche, che si sviluppano modellandosi poi sulle proprie esperienze personali (come avviene per tutti gli animali), ci sono passi, storie, parabole, versi poetici, aforismi o citazioni che rimandano alla violenza cieca. L'opinione pubblica, che nel caso specifico si può cogliere facilmente su Internet, nei blog e nei siti, è in gran parte ben schierata: De Negri ha fatto bene a commettere un simile atto. I più tenui non giustificano il gesto violento, ma ne comprendono assolutamente le ragioni. I più estremi arrivano a dire che sette ore di torture siano state poche. Io provo a dare una spiegazione neutra, per quanto mi sia possibile, perché come ogni caso di cronaca che mi trovo ad approfondire leggendone e documentandomi, la stessa curiosità mi deriva sempre dal fatto che la vicenda mi ha colpito in maniera molto dura ed ha lasciato dentro di me un segno molto forte. Difficile quindi darne un giudizio completamente lucido ed imparziale. Purtroppo i casi di prepotenza e violenza quotidiana sono all'ordine del giorno, dal bullismo a gesti anche più gravi che, secondo me, sono comunque sempre riconducibili a quella voglia innata che ha l'uomo di sopraffare il prossimo. La violenza fa parte della nostra natura e non solo della nostra. Porvi troppi chiavistelli, significa favorire l'accumulo di tensione che prima o poi andrà a sfociare da qualche parte in maniera devastante. Il punto è che mentre tutti gli altri animali la sfogano principalmente su esseri di altre specie (il leone sulla gazzella, tanto per fare un esempio), l'uomo la concentra sugli individui della sua stessa specie. Un caso più unico che raro nell'ambito del mondo animale. E dirò di più: a mio avviso proprio la sua facoltà di poter ragionare sulle conseguenze e sui moventi dei suoi gesti, a volte può diventare un elemento rafforzante di quegli stessi istinti (violenti e non) che con la morale (religiosa ma non solo) cerca di frenare. Un leone prova piacere nell'uccidere un bufalo, anche nel modo più crudele possibile. Ma non lo fa consapevole del fatto che il suo gesto è crudele, perché non ha un'etica che gli imponga di distinguere fra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Lo fa seguendo la sua natura. E si limiterà a fare ciò che ha sempre fatto. Un uomo, invece, se compie un gesto crudele lo fa perché gli deriva da un istinto primordiale che gli appartiene. Ma nella maggior parte dei casi questo istinto lo frena, assecondando ua morale etica che gli impedisce di esercitare la sua violenza nei confronti di altri esseri viventi. Questa cotinua catena di privazioni fa sì che solamente gli esseri più spregiudicati, più inclini a non rispettare l'etica comune, riescano ad imporsi sugli altri. In altre parole, anche nella società civile, vige la legge della savana. Selezione naturale. Ma a pensarci bene, episodi di violenza ne avvengono sotto i nostri occhi, tutti i giorni, spesso siamo noi stessi a rendercene protagonisti. Il problema è che la nostra stessa morale ci impedisce di accomunarli ad un istinto di soèraffazione che, quando riusciamo a riconoscerlo, condanniamo a priori definendolo "inumano". Piccoli (o grandi) abusi di potere, prevaricazioni, prepotenze, perfino le stesse calunnie o la diffamazione di altre persone, il mobing sul lavoro, per arrivare a casi più estremi (ma non per questo più gravi) come l'omofobia, il razzismo, il bullismo che, in maniera più o meno dura, avvengono sotto i nostri occhi con frequenza quotidiana. Il problema principale è che la morale che l'uomo si autoimpone, questi stessi ragionamenti che stiamo facendo, la stessa consapevolezza di poter generare dolore e sofferenza, usando la nostra violenza, fanno sì che l'uomo la compia in maniera enormemente amplificata rispetto alle altre specie. Sembra un paradosso, anzi lo è. Il necessario confine manicheo, la divisione fra buoni e cattivi, il confine fra lecito e illecito diventano la causa scatenante di una violenza ancora più barbara e cruenta di quella che si incontra nel mondo animale. Il fatto, per esempio, che determinati comportamenti lesivi della privacy o della altrui libertà (quindi dell'altrui spazio vitale, concetto legatissimo alla territorialità di qualunque specie animale) vengano tollerati e si condannino solo atti estremi di violenza, ma allo stesso tempo si tenda a tutelare gli individui "deboli" da eventuali pesanti abusi subiti, non elimin del tutto gli abusi ai danni dei soggetti meno forti. Semplicemente li riduce ad una serie di comportamenti spalmati nel tempo, che proprio la complesa psicologia dell'uomo elabora e, nei casi più estremi, può portare a trasformarsi in un tale accumulo di tensione e di stress che si traduce poi in una violenza inaudita. Così, un uomo di colore che una volta, occasionalmente, viene pestato a sangue suscita scandalo e si chiedono le pene più evere per i colpevoli. Mentre l'uomo bianco che dà del "lei" a tutti gli altri uomini bianchi, anche più giovani di lui, mentre si limita a dare del "tu" al vu cumprà di colore viene vietsa come una consuetudine in cui di fatto no c'è nulla di riprovevole. Ho scelto l'esempio più estremo, gli antipodi, volutamente: la violenza più aberrante che tutti condanniamo vs un atto che di fatto non ha nulla a che vedere con la violenza fisica e che ci sembra (e sicuramente è) meno grave. Però a differenza del primo, è continuativo nel tempo, è consolidato, non è stigmatizzato. Ed entrambi originano dallo stesso istinto all'emarginazione del diverso, al senso forte per la territorialità per cui il nero non è uno di noi, non è uno da trattare come ci trattiamo fra di noi. Pensiero orrendo. Eppure la stragrande maggioranza delle persone dimentica questo aspetto e non si rapporta con un vu cumprà di colore allo stesso modo in cui si rapporta con un avvocato bianco. Avrei potuto scegliere esempi ben più lampanti. Come i casi di violenza psicologica alla quale molti omosessuali sono purtroppo ancora vittime oggi. Nn parlo di atti di violenza fisica. Mi limito solo a quella psicologica, che è quella che la gente tende a considerare meno grave: prese in giro nei confronti del compagno gay a scuola, che poi continuano in ufficio, nelle compagnie, ovunque, quand'anche si verifichino in misura tenue, non significa che non siano forme di emarginazione e di violenza che la complessa psicologia della "vittima" di tali atteggiamenti incamera e rielabora finendo per sfociare, nei casi più estremi, nella violenza. Non c'è nessuno caso di serial killer, di violenti omicidi, o di soggetti facili alla violenza che non sia riconduciibile ad abusi e sopusi subiti in passato (o anche nel presente). E la volontà di rivalsa, quindi a sua volta la voglia di affermarsi a discapito degli altri, che la vittima vede come carnefici, è latente in questi soggetti. E ciò di fatto non li rende diversi da loro, perché l'inconscio del debole lo spinge all'emulazione del forte, allo stesso modo in cui il povero, se avesse i soldi, sarebbe uno spietato ricco. E' il caso anche del canaro della Magliana, un uomo "mansueto" e tranquillo agli occhi della gente. In realtà "un leone in gabbia pronto a ruggire" (come egli stesso si definì). Un cane di paglia, per citare Peckinpah. Non certo uno stinco di santo, così come l'opinione pubblica, condizionata dalla divisione fra buoni e cattivi, dalla visione della società in base ad un rapporto vittime/carnefici dalla quale però essa stessa non manca di tirarsi fuori (senza ricordarsi di esserne parte, in larga o in modesta misura), tendeva a dipingerlo. Er canaro era più debole di Giancarlo Ricci. E subiva le sue continue vessazioni, la sua violenza, la sua prepotenza. Eppure avrebbe voluto essere come lui. Se ne avesse avuto le capacità avrebbe usato la stessa forza, la stessa prepotenza, si sarebbe fatto "rispettare" nel quartiere a suon di calci, pugni e cattiveria. Non per nulla avevano compiuto una rapina insieme e costantemente erano in "affari" (nei quali lui era sempre la "parte contraente" debole...) col Ricci, nell'ambito della droga e di altri loschi giri. E non appena l'occasione gli si è presentata, lui quella violenza l'ha esercitata, Eccome se l'ha esercitata. Nel modo più cruento e disgustoso possibile. I ruoli si sono ribaltati. Nello stesso modo in cui si ribaltano nella società, nella quotidianità. Nello stesso modo in cui un popolo per secoli perseguitato, diventa oggi persecutore. Nello stesso modo in cui il soggetto discriminato sul lavoro, se e quando riesce ad uscire dalla sua condizione disagiata, finisce per esercitare gli stessi soprusi ed abusi che egli stesso ha subito, rivalendosi su individui a loro volta più deboli di lui. Una qualche forma di violenza la esercito anch'io, perché mi rendo conto di avere questo bisogno di sfogarla. Lo faccio in ambiti che secondo la mia ottica (probabilmente a sua volta limitata) reputo più giusti, perché in qualche modo rappresentano una sorta di "fight club" alla Fincher, un luogo -non-luogo in cui la propria vena di violenza e la propria volontà di affermarsi sul prossimo è autoregoalta e limitata alle persone che sono consapevoli di far parte di quel fight club. Con questo non significa che sia giusta, anzi. Sicuramente i più coraggiosi di voi che sono arrivati a leggere finoa qui mi imputeranno anche un esercizio incondizionato della violenza nei confronti dei loro testicoli. Può darsi. ma l'avete scelto voi, di leggere. Per chi si è preso questa briga, alcuni saranno talmente limitati da credere che il mio ia un post di elogio alla violenza, alla discriminazione, alla cattiveria e alla crudeltà, credendo che io stia giustificando omofobia, razzismo, bullismo e violenza in genere. Poverini. I più intelligenti, se ce ne sono, avranno capito che il mio, al contrario, è un modo per dimostrare come tuto sia relativo, come il mondo non sia così stupidamente diviso in buoni e cattivi, come ognuno di noi porta avanti - come è giusto che sia - i propri interessi (leggasi: sopravvivenza) avolte purtroppo a discapito di altri, ma solo chi è senza peccato può davvero stigmatizzare e condannare la violenza degli altri. Il mio, insomma, non è affatto un modo per rafforzare le divisioni. E' un modo per dire che siamo davvero tutti uguali. _________________ E' meglio essere belli che essere buoni. Ma è meglio essere buoni che essere brutti.
[ Questo messaggio è stato modificato da: Richmondo il 30-06-2010 alle 11:30 ]
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