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Kahlil Gibran's The Prophet











Il ritorno ai classici Disney degli anni 90 stile il “Re Leone”. Tutto questo c’è in “Kahlil Gibran's The Prophet”, prodotto ambizioso firmato da Roger Allers, proprio coregista dell’indimenticato capolavoro dell’animazione. La difficoltà principale di trasporre il libro di poesie The Prophet, splendida raccolta di opere del 1923, era creare una cornice narrativa di cui il testo era sprovvisto: interessante l’idea di mettere insieme l’amicizia tra una bambina, Almitra, e un dissidente politico, Mustafa, con le meravigliose opere del pittore e scrittore libanese. Il produttore Steve Hanson ha impiegato dieci anni per far suoi i diritti, ma l’opera che ne esce è innovativa e davvero lodevole: otto cortometraggi diretti da otto registi che uniscono all’interno diversi stili e tecniche. Il popolo della cittadina di Orphalese viene soppresso in modo barbaro dalla dittatura e la polizia e trova speranza negli aforismi c e nelle metafore di questo artista, che hanno fatto il giro del mondo. Amicizia, libertà, amore…sono soltanto alcuni dei pensieri espressi attraverso le parole di un artista in grado di far sussultare il mondo e dare voce ad ogni sfumatura dell’animo umano. L’opera a volte è lenta, quasi forzatamente filosofica. Non è un film da grande pubblico, ma un’opera che tutti dovrebbero vedere e apprezzare.
L’animazione è quasi pittorica in degli schizzi che iniziano sui campi di grano stile Van Gogh nella parte finale in immagini che ricordano chiaramente le opere del pittore Gustave Klimt, tra cui il famoso “Bacio”. La realtà è che l’integrità morale non ha prezzo e questo film è una chiarissima denuncia di tutto ciò che la crudeltà e la violenza non potranno mai reprimere. Il cast di doppiaggio può contare su una star del calibro di Liam Neeson, mentre la voce narrante è di Salma Hayek-Pinault.
Le riflessioni più profonde sono però quelle sulla vita e sulla morte, una sorta di finestra sul mondo esente da influenze religiose in un’adorazione quasi naturalistica per l’universo. L’epica conclusione della vicenda è probabilmente la stessa del pensiero di Gilbran: non esiste prigione fisica che possa contenere lo spirito. L’incontro tra filosofia e cinema per parlare di argomenti delicati in un contesto adeguato a un pubblico il più ampio possibile.
Difficile trovare questa originalità produttiva nel cinema dei nostri giorni, forse l’unica nota stonata sta nell’aver osato troppo visto che la moltitudine dei temi trattati può far divagare gli spettatori. L’importante è che alla fine si esca dalla sala con la consapevolezza di aver assistito ad un lungometraggio che in realtà non lo è, questo insieme di corti è niente di meno che il modo in cui la poesia può raggiungere il pubblico moderno.

a cura di Thomas Cardinali

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