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Ghostbusters

La recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com

di Francesco Lomuscio27 giugno 2016Voto: 5.5
 

  • Foto dal film Ghostbusters
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Da quando Ivan Reitman diede a fine anni Ottanta un sequel al suo "Ghostbusters - Acchiappafantasmi" trasformatosi quasi immediatamente in uno dei cult cinematografici più amati del decennio reaganiano, non poche volte è stato annunciato il capitolo che avrebbe chiuso la trilogia.
Capitolo per la cui regia era stato pensato anche John Landis, ma che, dopo tanti ripensamenti, si è trasformato in questo reboot finanziato dallo stesso Reitman e con Dan Aykroyd coinvolto in qualità di produttore esecutivo.
Il Dan Aykroyd che fu Raymond Stantz nel dittico originale e che non manca di fare qui una breve apparizione, come pure i suoi allora colleghi di set Bill Murray ed Ernie Hudson, ormai privi del compianto Harold Ramis cui il film è dedicato.
Come non mancano di fare una breve apparizione anche Annie Potts, Sigourney Weaver e l'idolo musicale Ozzy Osbourne nel corso della oltre ora e quaranta di visione la cui novità risiede nell'avere quattro donne quali interpreti principali.
Infatti, rispettivamente incarnate da Melissa McCarthy, Kristen Wiig e Kate McKinnon, sono Abby, Erin e Jillian le tre che dedicano stavolta le loro vite a dimostrare scientificamente che i fantasmi esistono e alle quali si aggiunge presto la Patty con le fattezze di Leslie Jones.
La prima esperta del paranormale, la seconda docente di fisica, la terza genio dell'ingegneria e la quarta lavorante nella metropolitana di New York, quindi conoscitrice dei suoi angoli più oscuri, rappresentano il nuovo ostacolo per ectoplasmi e spettrali presenze assortite.
Spettrali presenze comprendenti quella che tanto somiglia ad un Gremlins alato e che, dopo l'entrata in scena di un manichino animato, provvede a portare scompiglio durante un concerto rock.

Un momento destinato a rivelarsi il più riuscito dell'operazione e che sembra quasi richiamare alla memoria il tragico attentato di Parigi del Novembre 2015, ulteriormente complice un certo avvertibile retrogusto generale di allegoria proto-terrorismo che permea l'insieme.
Aspetto comunque trascurabile se consideriamo il fatto che, tra Andy Garcia nei panni del sindaco e l'entrata in scena dell'immancabile Slimer, l'evidente intento del tutto sia principalmente quello di divertire lo spettatore.
Riuscendovi, però, soltanto in parte, in quanto, sebbene la frecciatina verbale a "Lo squalo" e il dialogo riguardante la filmografia di Patrick Swayze appaiano decisamente esilaranti, il resto si perde in piuttosto idiote battutine incapaci di strappare risate e protagoniste che non faticano a risultare irritanti.

Peggiorando ancora di più la situazione sia quando cercano di suscitare simpatia ricorrendo a mossette, smorfiette e balletti, sia dopo l'arrivo del receptionist Kevin cui concede più corpo che anima un Chris Hemsworth che tenta maldestramente di essere tanto sexy quanto stupido.
Mentre non si attende altro che l'epico scontro conclusivo a Times Square e, pur rinunciando fortunatamente alle volgarità tipiche delle commedie a stelle e strisce del terzo millennio, il regista Paul Feig gestisce il tutto accontentandosi di piccoli omaggi sparsi (abbiamo anche un pallone raffigurante Stay Puft Marshmallow Man); senza prestare grande attenzione allo script (che fine fanno i personaggi di Ed Begley Jr. e Charles Dance?) e lasciando tranquillamente emergere una piattezza generale dovuta all'assenza di tensione anche quando non poco necessaria (si pensi alla sequenza della metropolitana).
Del resto, stiamo parlando dell'autore del sopravvalutato "Le amiche della sposa", che, inspiegabilmente, ottenne addirittura una candidatura al premio Oscar per la migliore sceneggiatura.


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