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Titolo film:    Re della terra selvaggia
Opinioni presenti:    6
Media Voto:    6 - Media Voto: 6


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Il parere di Carlo Martini, 28 anni, Perugia (PG)
A me è piaciuto
Voto 8 di 10 Voto 8di 10
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A me è piaciuto. Zeitlin ha uno stile forte e personale, che non penso possa essere sminuito dal suo essere giovane, e di conseguenza (?) viziato. Lo si vede da subito. Per dirne una, dalla scena dei fuochi d’artificio (ma anche per tutto il resto del film, se è per quello). Sotto il profilo più prettamente tecnico/cinematografico non penso si possa obiettare niente. Per carità, le scelte forti possono non piacere a tutti, e ci sarà comunque qualcuno che “meh, insomma”. Il punto centrale è forse però un altro: il regista pattina su di un ghiaccio molto molto sottile. Quando hai una bambina di 7 anni, orfana di madre, che vive con un padre burbero (che però l’ama alla follia) in un posto che al confronto l’agropontino è una spiaggia cristallina del mare di Celebes, che poi in realtà non ci vive col padre, ché vive da sola, che poi il padre sta pure molto ma. Se questa è la struttura narrativa in cui incornici il film e decidi utilizzare pure un registro fortemente onirico per raccontare QUEL mondo dagli occhi di QUELLA bambina, il rischio di mandare tutto in vacca è sesquipedale. Secondo me Zeitlin è bravissimo ad evitare i pietismi. Lo è quando racconta dagli occhi della bambina, ma anche quando descrive la comunità: pure lì, il pericolo di scadere in una retorica antimoderna, o comunque in un romanticismo bolso e fuori tempo massimo, era elevatissimo. Bastava tanto così, chessò: una risposta piccata dei soggetti (medici, poliziotti) che vivono “fuori”. Invece non ci sono prese di posizione e, per quanto mi riguarda, nemmeno i buoni e i cattivi come qualcuno lamenta (e decisamente NON “la vita è bella”). Però. Però c’è almeno un momento in cui il ghiaccio scricchiola tantissimo. Non voglio “spoilerare” ma ad un certo punto Zeitlin ha scelte forti da fare, e decide di scegliere la strada più impervia. Qualcuno avrebbe avuto molto da ridire sulla scelta di far piangere una bambina di 7 anni e contemporaneamente sostenere la tesi dell’astensione dalla commozione a comando. Truffaut direbbe che lui i bambini li ha diretti, anche in ruoli con una vagonata di sfighe. Ma non li ha mai fatti piangere. Perché lo ritiene un colpo molto basso. Tutto ciò per dire che capisco che per alcuni il regista abbia esagerato. Il problema è che quando esageri crolla davvero tanto. Forse non tutto, perché lo stile personale, le belle sequenze e tutto il resto rimangono. Ma “l’incanto” no. Quello se lo porta dietro la voragine. Personalmente quelle lacrime non le ho trovate eccessive, ma il naturale epilogo di una storia di fortissimo amore di un padre nei confronti di una figlia. Con tutti i problemi di contorno. Io, di quell’affetto enorme, non ho mai dubitato. L’ho trovato sincero e credibile. L’ho trovato Vero. E il film mi è piaciuto. Ma ogni volta che il tema è quello dell’infanzia e il linguaggio quello onirico, mi rendo conto come stabilire un confine tra cosa è accettabile e cosa non lo sia, sia inevitabilmente questione demandata alla sensibilità personale.

Questa opinione è stata scritta da:
Carlo Martini
28 anni
Perugia (PG).
(27 Marzo 2013)






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