Partito come un racconto dal fine etico sul problema immigrazione, l’ultimo film di Kaurismäki, prende nella seconda parte l’andamento di una favola cinematografica un po’ vintage. Si pensa subito, un po’ per il titolo un po’ per alcune somiglianze, al capolavoro di De Sica-Zavattini con gli indimenticabili barboni di Miracolo a Milano che sorvolano su scope il duomo, ma forse ancora di più la memoria va alle fiabe urbane e positive di Frank Capra. Detto questo, è vero poi che il maestro finlandese ha un modo tutto suo di raccontare quasi a doppio sguardo in quanto per tecnica, asciuttezza di dialogo, fotografia, da una parte osserva impassibile il dipanarsi degli eventi, dall’altra il guardare si veste di solidarietà umana come per le creature maltrattate di Dickens. Un bel miscuglio, dunque, dosato con equilibrio e con quel fascino suo tutto nordico che non si perde, pure se l’ambientazione questa volta è a Le Havre. Della città francese Kaurismäki ritaglia un brano di periferia, zona porto, piuttosto misero e squallido, dove tutto è spoglio, essenziale, come i gesti e le parole. La mancanza di ogni sottolineatura nella prime sequenze che raccontano il tran-tran quotidiano dei personaggi, sembra ingrigire e schiacciare tutto. Il protagonista Marcel Marx (André Wilms) vive facendo il lustrascarpe dopo essere stato un mediocre scrittore bohemien e ha trovato una certa tranquillità tra l’affetto per la moglie Arletty (Kati Outinen), il bar vicino alla sua casa e l’amicizia dei vicini che lo stimano e gli fanno credito quando i magri guadagni non bastano per il companatico. Accanto il fedelissimo cane Laika e un amico straniero che l’aiuta nella sua attività molto poco attiva. Ma accadono due fatti nuovi: l’incontro con Idrissa, un ragazzino nero sfuggito all’arresto come clandestino che si rifugia da lui e il ricovero della moglie, affetta da male incurabile, in ospedale. Il nostro di divide con rara dolcezza tra i due che hanno bisogno di affetto e di aiuto e alla fine, con la collaborazione di tutto il piccolo quartiere, riesce a trovare il denaro per far partire il ragazzo alla volta di Londra ove si ricongiungerà alla madre. Il giorno dopo anche la moglie guarisce per “miracolo” e la vita riprende semplice e complice, com’era prima. Così si conclude la favola bella che vede agire solo un cattivo, un uomo della zona che fa lo spione per la polizia, simbolo di quell’umanità, questa sì frequente, pronta a far del male ad altri quasi per insipienza, oscure insoddisfazioni, raggelanti ripicche. Dei tre precetti della Rivoluzione francese il regista sceglie di rappresentare l’ultimo, disperando forse dei primi due. Oggi infatti si è portati a considerare tali concetti qualcosa da favola utopica, anche se teoricamente tutti sono d’accordo; di eguaglianza poi meglio non parlarne affatto. Ma poiché far bene produce veri miracoli, Kaurismäki ha voluto sottovoce e con garbo ricordarcelo, avvertendoci nello stesso tempo di non crederci troppo.
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