Parte quasi come il solito film teen, semplice, (apparentemente) ammiccante, appunto giovanilistico, con una scivolata fra le nuvole e poi i tetti di Roma e una voce off quasi sussurrata che parla di amori e desideri.
Ma chi pensa a Muccino, a Moccia o a Brizzi è fuori strada, e di parecchio.
Si viene immediatamente immersi dentro atmosfere soffuse e soffici; un incidente e un colpo di fulmine si intrecciano, e la vita della tenera, maldestra, irresistibile Camilla (una Diane Fleri di cui è impossibile non innamorarsi) capitombola in un negozio di articoli d'antiquariato, pezzi vintage e dischi di Jimi Hendrix, parrucche alla Elvis e Diana Ross, un mondo giocoso e buffo (purchè impregnato di nostalgia), immediatamente familiare, popolato da personaggi bislacchi ma realistici, e soprattutto umani.
C'è Frankie, una che non le manda a dire, grossa chioma rasta e una cotta fulminante per Jude Law, al quale scrive lettere appassionate; una che chiude la bocca a tutti con una battuta ma è sotterraneamente sola e insicura (Giulia Michelini, un balzo in avanti rispetto alla mediocre interpretazione in Cado dalle Nubi).
C'è Matteo, un sognatore, sensibile e un po impacciato, occhi blu come se ne vedono pochi, gentile e preso in ostaggio da un amore infelice (Andrea Bosca in un personaggio cucito su misura).
Poi ci sono Stefano, Gigi, Michelino, Pietro (lo scatenato Pietro Ragusa, già insieme a Bosca in Si può fare).
E ci sono gli altri: alcune sono solo comparse (come la vedova dalla quale si reca Matteo in una delle sue spedizioni), ma capaci di lasciare il segno pur con una sola battuta.
E poi ci sono inquadrature nuove, originali, un po' pazzoidi (la scala mobile, laquilone, la spiaggia), già determinanti di una cifra stilistica fresca e curiosa.
E c'è tanto altro, sulle relazioni umane, sull'importanza del ricordo e della cura della memoria (il colpo di scena finale fa guardare tutto il film, e di conseguenza il suo senso, con occhi diversi), le illusioni e le paure, e la realtà che a volte non lascia scampo, anche se si è sempre in tempo per ritagliarsi istanti di surreale, folle, divertito sogno.
Febbre da fieno è, insomma, un gioiellino delicatissimo, sospeso fra momenti comici e sequenze in cui conta soltanto chiudere gli occhi e ascoltare il rumore del male o ingoiare la frustrazione assieme ad una liquirizia; una storia che scorre fra colori e luci in stile Il favoloso mondo di Amèlie (ma è,sorpresa, persino più profondo) e addirittura una citazione da Brokeback Mountain.
Un quasi-esordio (la Luchetti aveva già diretto un episodio di Feisbum Il film) che respira, coinvolge, resta negli occhi e nel cuore.
|