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Titolo film:    I gatti persiani
Opinioni presenti:    1
Media Voto:    7 - Media Voto: 7


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Il parere di Olga, 65 anni, Perugia (PG)
iran underground
Voto 7 di 10 Voto 7di 10
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Underground di nome e di fatto per i giovani musicisti iraniani che, non potendo liberamente suonare con le loro band perché troppo rivoluzionarie, vivono la loro passione letteralmente sottoterra. La città di Teheran nasconde sotto di sé un inimmaginabile percorso fatto di cantine, ambienti in degrado, corridoi, stradine, veri e propri nascondigli dove pareti rozzamente insonorizzate accolgono le note del rock, del rap, suonate da giovani sperimentatori in fuga dalle maglie dell’oppressione e delle censure. Di questo, come di altre realtà del Medio Oriente, si conosce da noi sempre troppo poco. Il film, per questo motivo, è prima di tutto un atto di coraggio e racconta soprattutto l’energia materialmente sottesa a quello che si vede in superficie, ma che cammina ovunque: sui tetti, nelle stanze nascoste, addirittura nelle stalle in campagna. Questa specie di documentario che mette in scena anche la storia di due personaggi è però a mio parere interessante soprattutto come testimonianza della realtà iraniana, essendo la storia debolina, gli attori un po’ inespressivi (salvo il pirotecnico e comico Hamed Behdad), il mezzo quasi da cinema amatoriale, girato com’è con una piccola camera da ripresa digitale. Ciò avviene perché il materiale da 35 mm. è di proprietà privata dello stato che “seleziona” i registi a cui darlo. Nel nostro caso l’autore è il curdo-iraniano Barman Ghobadi, conosciuto da noi solo per Il tempo dei cavalli ubriachi e malvisto dal potere del suo paese. E veniamo al film. Dopo un piccolo prologo entrano in scena i giovani protagonisti, Ashkan e la sua ragazza Negar, che hanno deciso di andar via dall’Iran per poter liberamente coltivare i loro sogni e la loro musica. Due i problemi rilevanti: procurarsi dei passaporti falsi e individuare altri musicisti appassionati della musica nuova con cui formare una band esportabile. Ad aiutarli nella soluzione di entrambi spunta Nader, ineffabile factotum traffichino e fanfarone. Con lui i due ragazzi girano per la città superore e inferiore e tramite i loro giri noi conosciamo le varie realtà sociali che compongono quel paese con luci nascoste e ombre evidenti, nel degrado, nella miseria, nell’atmosfera opprimente di un regime che ce l’ha anche con i cani e i gatti, considerati impuri e da confinare nelle case. Come questi animali, si vorrebbe imprigionare la musica, salvando solo quella tradizionale, come se le note e l’espressione artistica potessero essere gestite dall’alto senza respirare aria i libertà. Invece il film vuole proprio documentare come ogni società tenda ad esprimere energie giovani, le quali, pur soffocate, sanno farsi strada accettando pure drammi e difficoltà, perché dove c’è da creare c’è anche lo spazio per un sorriso. Pur non ignorando le contraddizioni dei sistemi politici d’altro tipo e gli appiattimenti di un mondo globalizzato, la ricerca dei due giovani si nutre di impegno e speranza, due disposizioni d’anima che fioriscono anche tra paure e underground.

Questa opinione è stata scritta da:
Olga
65 anni
Perugia (PG).
(20 Aprile 2010)






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