Consolarsi con il pensiero che le proprie ceneri vengano disperse nel mare, è desiderio di molti anche nel cinema. Ma ne “l’ultimo bicchiere” , il defunto macellaio protagonista vuole che questo avvenga nella stessa località balneare in cui ha trascorso il viaggio di nozze , e i suoi amici e il figliastro attraversano l’Inghilterra per portarcelo , ciascuno immerso nei propri ricordi personali. Commozione dunque e sentimentalismi vari? In realtà, durante il lungo viaggio, l’ultimo per il morto, su un’auto di lusso, una Mercedes scura molto simile a un carro funebre , nessuno si abbandona alle commemorazioni di rito: piuttosto scoppiano battibecchi, si brinda o si scherza, ci si ferma in visita a cimiteri e cattedrali e il dolore resta celato in ciascuno di loro nei pensieri, nelle immagini che riaffiorano e ripercorrono le tappe di un rapporto di affetto più o meno devoto durato decenni.
Schepisi rielaborando per il grande schermo la storia famigliare del romanzo di Swift, ha evitato il patetico del dramma, e il ritratto sociologico ambientale alla Mike Leigh, ma si è piuttosto abbandonato al piacere naturale di far vivere a quattro veterani della cinematografia britannica ( David Hemmings, Michael Caine, Bob Hoskins, Bob Courtenay) una vicenda semplice e malinconica, sullo sfondo di una Londra piovosa, con il sole di taglio, insomma una fotografia ingiallita , da inserire nell’album dei ricordi e da guardare fra una lacrima e un sorriso. E come le pagine di un album , sfogliato a caso, le varie sequenze raccontano a frammenti, interrompendo e disperdendosi fra trincee, pub , visite al bordello, tradimenti e liti ,di un padre che vuole dimenticare la figlia cerebrolesa, di una madre che invece la ama disperatamente e aspetta da lei inutilmente per cinquant’anni di essere almeno riconosciuta, di figli , naturali e adottivi, che si allontano e non vogliono seguire le orme dei padri, di adulteri vissuti solo a metà, di amori adolescenziali e di amicizie , della morte e della possibilità/volontà per chi resta di ricominciare. E tutto si stempera nella rassegnazione e nell’accettazione, come avviene la maggior parte delle volte nei casi della vita, più simili a un amara commedia che a una tragedia.
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