Diciamoci la verità:siamo tutti un po’ prevenuti nei confronti degli altri e dei loro gusti, diffidenti, poco comprensivi ed assolutamente refrattari nei confronti del pensiero “non allineato” e di tutto ciò che non fa parte del nostro consolidato modo di vedere e pensare; ben difficilmente ammettiamo ospiti nel circolo esclusivo che ci siamo costruiti come fortezza inespugnabile e di cui raramente siamo disposti a mettere in discussione i principi ispiratori e le certezze su cui si basa; con estrema fatica allarghiamo il gruppo di cui facciamo parte e di cui custodiamo gelosamente la password d’accesso; insomma, in una parola, siamo costituzionalmente chiusi, dal punto di vista sociale e culturale. Non dovrebbe quindi stupirci, in base a questi presupposti, vedere un piccolo imprenditore un po’ rozzo ed incolto, Monsieur Castella, innamorarsi perdutamente, con la testa e la mente, prima che con il cuore, di una donna diversa, attrice “alta” ed insegnante d’inglese a tempo perso, così culturalmente agli antipodi rispetto a lui da parere irraggiungibile; non deve nemmeno sorprendere che il nostro faccia la figura del parvenu all’interno del settario circolo culturale di artisti gay di cui l’attrice ama circondarsi e che, però, finisca per apprezzarne sinceramente l’originale produzione pittorica; non deve nemmeno apparire strano che, alla fine, tra i due qualcosa di serio si intraveda e la scintilla, di cuore e di pensiero, finalmente scocchi; ed è quasi logico che a questa vicenda si intreccino altre storie di steccati culturali e barriere sociali, che spesso finiscono per riannodarsi intorno alla figura della cameriera del bar del teatro, distributrice di benefiche “dosi” di disimpegno ed evasione per il suo gruppo di amici ed amante, a più riprese, dell’autista e della guardia del corpo del Castella, dai quali, comunque, la separa un differente approccio verso la vita e la morale..Detta così, sembra forse più arzigogolata e complessa di quanto in realtà non sia la trama di “Il gusto degli altri”, opera prima (come regista) di Agnès Jaoui, già splendida sceneggiatrice di film di Resnais e Klapisch e qui anche interprete ed autrice della sceneggiatura di un film lieve ed etereo ma molto nitido e netto nelle impostazioni e nello svolgimento, quasi un inno alla multiculturalità, alla tolleranza ed all’apertura agli altri che non stupisce provenga da un mondo, quello d’oltralpe, da tempo incardinato saldamente sui principi del pluralismo e dell’incrocio tra realtà e valori tra i più disparati ed eterogenei..Ovviamente, la Jaoui è giovane, alla prima esperienza di regia, e qua e là si lascia andare: l’avvio è lento, si nota un clamoroso errore di ripresa (uno specchio svela una fila di riflettori che dovevano essere accuratamente nascosti!), l’inserimento di una scena intessuta di doppi sensi e battute cabarettistiche stona e stride come non mai , almeno in un film cosi’. Ma a parte ciò, il film merita il bene che ne hanno detto e scritto i cuginetti francesi, soprattutto per le interpretazioni di un favoloso Jean Pierre Bacri, un Castella incantevole nel candore della sua ignoranza e nella pervicace ostinazione che usa per accostarsi alle mete solo apparentemente lontane, e della splendida Anne Alvaro, perfetta nel delineare il progressivo sgretolarsi dei suoi pregiudizi e preconcetti..
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