Da fondatore dei ‘The Lemonheads’, gruppo rock della scena underground di Boston, a regista di una pellicola ispirata dalla musica di un immaginario Folk-singer scomparso dalla scena mondiale dopo un solo LP, il passo, per Jesse Peretz, non è poi stato troppo breve, fra alti e bassi prima di toccare con mano la possibilità di girare finalmente un film di cassetta con una sceneggiatura basata su un romanzo di uno degli autori più ‘musicali’ del pianeta. Non dimentichiamoci che Hornby, qua alla sua sesta uscita cinematografica, aveva in passato donato al mondo di celluloide il suo High Fidelity. In tal caso la vita del rocker americano Tucker Crowe, impersonato da un debitamente invecchiato Ethan Hawke, è quanto di più simile alla routine nella quale può perdersi ognuno di noi con i propri riti quotidiani, fra i quali si possono annoverare la TV, la spesa al supermercato e un figlio preadolescente da crescere. Perfino Annie, la quarantenne australiana Rose Byrne, che vive in un piccolo paese della costa inglese e che da sempre è certa di essere fonte di noia per chiunque la incontri, potrebbe avere una vita più affascinante rispetto a quest’ex prodigio del palco del quale è da sempre innamorato il suo fidanzato storico Duncan, l’attore britannico Chris O'Dowd, docente di college e con il quale Annie divide una casa adibita ad altare dedicato al Dio Tucker Crowe. Sarà il ritrovamento di un CD d’inediti dello stesso Tucker, dal titolo Juliet Naked, che scatenerà la curiosità di Annie nei confronti delle teorie critiche presentate da Duncan e che porteranno la pellicola a esplorare, con approccio minimalista, proprio la vita di ogni giorno di due opposti geografici, Tucker e Annie, che s’incontreranno scoprendo di essere molto più simili rispetto a quello che entrambi potessero pensare. Il film di Peretz alla fine riesce a colpire nel segno grazie alla perfetta scelta musicale, diversi i pezzi suonati dallo stesso Hawke, ma non graffia sino in fondo, lasciando in sospeso per colpa di un finale che non convince del tutto, con temi agrodolci (il senso del tempo che passa e la fissazione per miti sempre più sbiaditi) che non riescono comunque a salvare una pellicola che stenta a decollare lasciando l’impressione di occasione perduta.