Un film, così come un libro, dovrebbe accompagnarci quando ci alziamo dalla poltrona e ritorniamo nel “mondo reale”.
Ed è proprio quello che succede con Anime Nere, il bellissimo film di Francesco Munzi.
Risuonano ancora per molto tempo dentro di noi le parole dei personaggi, spesso quasi sussurrate, cariche di condanne senza appello, di violenza inflitta senza nemmeno un attimo di esitazione, di riflessione.
E rimbomba soprattutto il silenzio: quello dei familiari che non hanno gli strumenti per sviscerare i propri sentimenti ed esternarli, quello del paesino Africo sospeso tra paura e desiderio confuso di evasione.
In questa Calabria dura ed essenziale sono i fatti che contano, fatti di sangue dove offese e vendette si alternano in un vortice allucinato in cui , alla fine, si perde tutto: la genesi della faida, la proporzione delle ritorsioni, se stessi ma, soprattutto, la cosa più importante: l’affetto più grande, i propri figli.
Tutti i protagonisti sono emblematici, tragici: la violenza di Luigi è rappresentata anche fisicamente dal suo corpo imponente con un viso quasi da bambino, la ricerca di riscatto e di perbenismo, soltanto apparente, di Rocco con il suo viso serio da imprenditore, l’irruenza di Leo, così genuino ma senza obiettivo e senza freno, vittima sacrificale per eccellenza, e soprattutto lo smarrimento struggente Luciano, meravigliosa incarnazione di un uomo intrappolato in una ragnatela di regole ermetiche che feriscono la sua sensibilità, il suo sogno di equilibrio ed armonia.
Luciano, invischiato in un gioco atavico dal quale ha tentato di sfuggire rifugiandosi nella contemplazione di statue mute sì ma che riflettono la sua stessa sofferenza.
La sua reazione sarà ancora più terribile una volta caduti pietosamente gli orpelli faticosamente messi sulle sue paure, pezze che non possono più nascondere nessuna piaga.
Quando si abbandonerà completamente alla legge ancestrale del Taglione, indifferente, ormai, a tutto, chiuso in se stesso e per questo finalmente libero.
Mi accompagna ancora il bellissimo viso di Fabrizio Ferracane, stanco e sofferente, con lo sguardo tristemente dolce del bambino irrimediabilmente tradito, ormai irraggiungibile.