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Promised Land

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un film militante... a metà!

(7/10) Voto 7di 10

Anche se qualcuno non ha ritrovato in quest’opera ultima di Gus Van Sant l’autore di Hunting-Genio ribelle o di Cercando Forrester, non si può dire che Promised Land sia un prodotto scadente. Intanto perché appartiene a quello che fu ed è un vero e proprio genere della cinematografia americana, cioè il film militante o di denuncia. In secondo luogo perché, pur non presentando novità nel modo di narrare cronologico-classico e nella storia che somiglia ad altre storie, coglie però con acutezza e tratti semplici ma non superficiali, l’anima più profonda di una certa America rurale. Quest’ultima è resa più povera e confusa dalla crisi mondiale, ma è anche più umana nelle sue incertezze, desideri e problemi, che il regista fa suoi con indubbia efficacia. Tanto da lui sono sentiti, quasi antropologicamente, il luogo, il paesaggio, i riti quotidiani, che, paradossalmente, questo elemento di attenzione sensibile e di caratterizzazione dell’ambiente rende più debole il messaggio. Come se il regista, non schierandosi in modo netto contro o pro una certa realtà, faccia propria la posizione sfiduciata e insicura della gente vera di quelle comunità provinciali, diventando così meno convincente nella denuncia civile. La narrazione perciò alterna momenti di ritratto umano e politico, in cui l’elemento collettivo risulta centrale e vincente sull’individuo, a momenti più scoloriti, dal ritmo stanco e un po’ monotono, in cui non emerge con forza né l’interpretazione pur vigorosa di Matt Damon (Steve) e Frances McDorman (Sue), né la questione “verde” di cui il film tratta. Ci troviamo in una località non definita, certamente in una Pennsylvania con elementi paesistici riconoscibili e noti (il silos, le vacche, i cavalli, le case spoglie e vecchiotte, il prato verdissimo, il pub e il folk), ma tutti sgualciti e corrosi dai morsi della crisi economica e dalla speranza sempre più fievole di vedere cambiare la propria condizione. Qui arriva, nelle persone di due impiegati in carriera, la multinazionale Global, di nome e di fatto, che vuole comprare dai farmers il gas di cui è ricco il sottosuolo. La prospettiva di una buona ricompensa in denaro attrae molta parte degli abitanti. A complicare le cose arriva il verde di turno (John Krasinski), mentre la comunità si divide e i fatti si aggrovigliano. Superate le complicazioni sentimentali che ci potevano essere risparmiate, si arriva allo scioglimento con colpo di scena. Così la questione si risposta verso la coscienza del singolo, comunque già messa in crisi, vedi il funzionario della Global e vedi gli agricoltori prima convinti circa l’autorizzazione. Tutti si trovano ora di fronte a una decisione comunque difficile, sia che investa il proprio lavoro da riconsiderare, sia che investa le proprie radici umane. Si tratta infatti di rifiutare un atteggiamento di tipo ideologico e pregiudiziale e di rivedere le cose da un altro punto di vista, questa volta aperto, non dogmatico ma senza certezze.



olga di comite, 67 anni, perugia (PG).




Un bel film

(8/10) Voto 8di 10

film di denuncia, ben fatto. Si lascia vedere e fa riflettere. vale un 7, 7,5... metto 8 per alzare un pochino la media. L'unica cosa che gli manca per essere un grande film, nel suo genere, è la scarsa attenzione data alla parte scentifica del problema e alla sua analisi. Si è voluto evidenziare solo il lato umano e sociale, disegnando un bello spaccato della realtà rurale americana.



Stefano, 32 anni, genova (GE).




Poco approfondito

(7/10) Voto 7di 10

Un film che dimostra cosa si nasconde dietro le apparenze, per chi ancora dovesse credere nell'onestà e nella lealtà, in particolare di grosse aziende multinazionali.



Graziano, 31 anni, Cassano d'Adda (MI).




La mia opionione

(6/10) Voto 6di 10

Bel film, di certo non di quelli che ti tengono proprio incollato al televisore ma sicuramente guardabile e non noioso. Fa capire come ragionano certe grosse multinazionali energetiche (ma non solo).Sempre molto bravo Damon e anche la McDormand, dovrebbero rivalutarla.



Fabrizio, 30 anni, Roma.





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