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A Dangerous Method

Opinioni presenti: 20
Media Voto: Media Voto: 6 (6/10)

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discreto

(7/10) Voto 7di 10

non mi addentro nel merito della psicoanalisi e dei suoi protagonisti...semplicemente fantastica come sempre keira knightley..



Federica, 30 anni, Cesena (FO).




Come distruggere Jung...

(3/10) Voto 3di 10

Come distruggere Jung nell'anniversario della sua scomparsa e farla invece passare come una rievocazione accurata! C'è da dire che il maestro della psicanalisi ci fa una figura orrenda, e infatti ho raccolto diverse opinioni da psicoterapeuti della sua corrente,che sono indignati con Cronenberg. Dal film esce infatti uno Jung minore e quasi passivo, mantenuto dalla moglie, nelle mani dell'amante, che inciampa in modo persino ridicolo nell'etica professionale e nell'ipocrisia. Un represso alla ricerca di emozioni forti, ma vigliaccamente ancorato alle comodità alto-borghesi. Se la persona fosse stata davvero così, ci sarebbe da chiedersi quale autorevolezza avrebbe potuto avere tra discepoli e seguaci. E se fosse stato davvero quel mezzo manichino che appare nel film, allora ci sarebbe da riflettere sulla frase che fanno pronunciare a Freud, e cioè che la loro categoria veniva considerata "cialtrona" dall'opinione pubblica... In ogni caso, si tratta di un film povero, debole dal punto di vista storico, parziale negli eventi narrati, superficiale. Per quanto riguarda la reccitazione, la Knightley è imbarazzante: vorrebbe essere impegnata e risulta invece artificiosa, forzatissima in certe scene; piuttosto opaca anche la prova degli altri protagonisti, salvo forse Cassel, piuttosto centrato nel suo ruolo. In definitiva, un film che si può tranquillamente ignorare.



sara, 45 anni, milano (MI).




una limitata ricostruzione storica

(4/10) Voto 4di 10

il film ricostruisce alcuni eventi della storia professionale di Jung e Freud e di una presunta relazione di Freud con una sua paziente che diventera’ poi uno specialista di psicoanalisi come i due. al di la’ della valutazione sulla accuratezza della ricostruzione dei fatti, il film resta debole nella presa sullo spettatore. sembrerebbe che il film voglia essenzialmente limitarsi alla ricostruzione storica di alcuni eventi; che abbia rinunciato a comunicare veramente allo spettatore, cioe’ con un impatto emotivo convincente, qualcuna delle formidabili intuizioni della psicoanalisi. ma una semplice ricorstuzione documentaristica, per quanto interessante, probabilmente non puo’ che deludere le aspettative di uno spettatore di un film su Freud e Jung. e cosi’ sembra essere.



Cesidio, 57 anni, Roma (RM).




Bè...

(4/10) Voto 4di 10

Filmetto poverino che si salva solo per la bella prova dei "nomi grossi" del cast. Moooolto meglio il film di Faenza, più completo.



Juri, 33 anni, . (TV).




Un metodo sbagliato

(2/10) Voto 2di 10

Arriva, dopo due must come A Hisotry of Violence e La promessa dell'assassino, l'opera peggiore di Cronenberg. La storia già raccontata (molto meglio) nel bellissimo Prendimi l'Anima di Robert Faenza, narra la parabola umana e professionale del trittico psicoanalitico formato da Freud, Jung e Sabina Spielrein. Parabola che il regista spiattella sullo schermo senza sforzo, replicando una piece teatrale basata su un romanzo basato sulla vita dei tre summenzionati. Cronenberg espone la materia come un trattato di psicologia intellettualoide scopiazzato da qualche parte, vivisezionando i suoi personaggi entomologicamente ma facendone emergere solo le lacune più vistose in una sceneggiatura che non avvicina lo spettatore né al periodo storico, nè ai suoi protagonisti, né alle loro teorie e tantomeno alle loro emozioni. La vicenda è scheletrica, resa noiosa da un abuso di dialoghi scritti con poco estro; si salvano alcuni attimi di buona recitazione di Mortensen e Fassbender, un solo personaggio (quello di Cassel) e il tutto sprofonda con la prova (impegnata, ma assolutamente insufficiente) della Knightley. Freudianamente parlando è un film represso, davvero legato ad una tendenza registica a sviluppare una tematica cui lo stesso Cronenberg è certamente legato ma che non dimostra di rispettare o di destreggiare al di là del mero manifesto ideologico: il film infatti non ci parla di Jung, Freud e la Spielrein, bensì di automi intrappolati in caratteri imbrigliati da una regia che soffre di carenza di idee e stimolo. Il film non lo si vede, non lo si sente, non lo si vive, lo si osserva e basta, straniati da una recitazione tavolta imbarazzante, da lunghi sproloqui, da un senso di vuoto che non riesce a rivelarci il motivo di questa operazione. Cronenberg non ci viene incontro in nessun momento e questo, tutto sommato, è un risultato inaspettato per un regista della sua caratura.



Il Recensore, 28 anni, Firenze.





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