Sicuramente non vale la pena di spendere euro(i) per noleggiarlo. Non è un film commerciale come la maggior parte di quelli in circolazione, anche perchè tratta un argomento delicato e non per tutti.
La lentezza puo esser una qualita ma in questo film ha oltrepassato il limite dell'arte. inoltre una trama semplice e scontata dall'inizio, emozioni che vengono anticipate e lette nei primi dieci minuti di film da un pubblico attento. Non be consigliamo la visione.
Complimenti ad Ascanio Celestini per avere creato un'opera cinematografica emozionante e commovente.
Ciò che colpisce di più è la voce fuori campo, perfetta, coinvolgente e perfetta in ogni attimo del film; funzionale come il ripetersi di certe frasi, quasi necessarie per avere una visione più ampia e profonda della storia.
Una storia toccante e travolgente che in apparenza da l'aria di una semplice presentazione dei pensieri del protagonista pazzo, ma reso tale.
Perché in profondità ecco una sottile denuncia verso le istituzioni psichiatriche; la delicata descrizione di ogni angolo del posto e di ogni personaggio presente.
Un Giorgio Tirabassi da urlo, straordinario per ogni minima espressione e ogni minimo movimento del corpo, mai visto così bravo!
Non manca la storia d'amore, raccontata con dolce drammaticità ed è il pezzo che completa un puzzle fatto di emotività portata all'estremo … improvvisa e costante.
Ottima sceneggiatura di Chiti, Labate e lo stesso Celestini; bellissima la fotografia di Cipri.
Si è vista la pazzia umana trattata con amore e rispetto; quasi con pudore, perché l'uomo è fatto di carne sofferente, ma forse di mente libera e inconsapevole di tutto ciò che c'è intorno.
Dopo aver transitato sui palchi teatrali, La pecora nera approda al cinema. Ascanio Celestini debutta dietro la macchina da presa in veste di sceneggiatore e regista di stesso per raccontare la storia di Nicola, bambino poco dedito allo studio e ai suoi coetanei durante i “favolosi anni Sessanta” e factotum in un manicomio gestito da suore alla soglia dei non più favolosi anni Ottanta (la legge Basaglia abolì queste strutture sanitarie nel 1978).
L’anamnesi del percorso che lo ha condotto nell’istituto di cura procede ricalcando i toni e gli scarti temporali che caratterizzano i monologhi teatrali dell’autore. La vicenda di Nicola è composta da micro storie oscillanti tra dramma e assurdità che lentamente modificano il punto di vista dello spettatore fino a condurlo faccia a faccia con un’amarissima verità. Questo meccanismo ricorda la dinamica della follia descritta da Martin Scorsese in Shutter Island ma l’isola di Celestini è popolata dai volti popolari e a tratti folkloristici che egli ama dissezionare con intenti antropologici per ricomporli traducendoli nel suo personalissimo linguaggio.
Malgrado il film sia illuminato da pennellate d’ironia, la desolazione di cui è intessuto non viene mai stemperata totalmente. L’infanzia di Nicola è irreparabilmente contaminata da morte e alienazione, piaghe contro cui nulla possono gli intermezzi comici delle uova delle nonna e delle caramelle balsamiche “di pecora”.
Per riflettere su quella che fu l’istituzione “manicomio” e sull’uso e abuso che se ne fece.
Ottimo film, ben equilibrato (una voluta lentezza che ricalca la lentezza stessa della alienazione mentale).
Ottima voce narrante che, da quasi fastidiosa all'inizio, si rende più che necessaria alla fine, soprattutto quando si sovrammette alla voce originale di lui bambino.
Ambienti ricostruiti perfettamente con delicata parsimonia.
Retroscena politico della situazione che stiamo vivendo...