A circa 88 anni Alain Resnais presenta un altro dei suoi incredibili film che mettono lo spettatore davanti a un’alternativa a tre teste, o li ami o li rigetti o ti stupisci. Oppure tutte e tre le cose insieme. Personalmente mi riconosco in quest’ultima ipotesi. Prima però di addentrarci e chiarire quanto sopra, vorrei esporre una mia impressione sugli artisti che continuano a creare, nonostante l’età, e che tutti in qualche modo ammiriamo chiamandoli grandi vecchi. Quando si arriva a un punto della vita in cui non si ha più niente da perdere, sono diffusi due atteggiamenti da parte degli autori che hanno speso tanti anni dietro la macchina da presa. Alcuni portano alle estreme conseguenze il realismo di partenza e la lucidità delle analisi, arrivando a vette di pessimismo senza scampo, che cancellano dalle opere o dalle loro parole anche l’ultima ombra di sorriso. Penso a Monicelli, sul cui volto teso e febbrile i tempi difficili che viviamo scavano ogni giorno di più. Altri, ed è il caso di esnais, si sentono, perché vecchi, più liberi di ritornare indietro, a una libertà fantastica senza ostacoli, in cui la fa da padrone il gioco, la poesia, il virtuosismo del mestiere. E torniamo alla follia delle Erbe folli, chè tale sarebbe l’esatta traduzione del titolo francese cui alludono le molte inquadrature di erbe che nascono nelle crepe dell’asfalto, con un disordine e una forza che nulla sembra fermare. La metafora riguarda l’agire umano con esiti imprevedibili che dislocano le realtà degli oggetti e degli esseri viventi dove non ci aspetteremmo che fossero. Questo scompaginare la logica normale alludendo a significati presto abbandonati e a risposte sempre eluse, fa parte del gusto di mescolare piani diversi del tempo e dello spazio, del reale e dell’irreale, e dunque del movimento della fantasia e del gioco di questo bambino quasi novantenne. E tu spettatore ti stupisci. Il farlo, servendosi di un mestiere alto e consolidato, tu spettatore lo ami. Bello a vedersi, il risultato sin dalle sequenze iniziali, che seguono i piedi e le gambe della protagonista, sempre inquadrata di dietro. Ne seguiamo le azioni mentre va a comprarsi le scarpe in un’atmosfera luminosa e frivola per poi rimanere inebetita mentre al ralenti qualcuno le ruba la borsa. Passiamo poi in un parcheggio buio, un po’ angoscioso, dove il protagonista maschile raccoglie quel portafoglio rosso abbandonato in terra e comincia a desiderare appassionatamente un rapporto con la sconosciuta proprietaria. E poi il ritmo della narrazione, divisa in otto parti, con un montaggio che alterna momenti più distesi e freddi ad altri caldi e pastosi, ad altri quasi da thriller. E’ vero tutto e il contrario di tutto e l’autore dipana la sua cura nella scelta dei luoghi, degli arredi, degli attori d’elezione, degli elementi naturali e di paesaggio che fanno quadro a sé. In aggiunta, a spiazzarti ancora di più, una voce narrante che invece di ordinare al minimo i fatti, li rimescola con velocità cre
la storia di uno psicopatico (perchè cosi è) che comincia a martellare una ragazza fino a quando le carte non si invertono...
io l'ho trovato di una noia quasi mortale...