A mio parere è un film che si lascia guardare ma chiedendo all'osservatore un certo impegno, perché spesso risulta frammentario e si corre il rischio di perdersi nei propri pensieri perdendo l'attenzione richiesta che merita.
Se non fosse per le belle riprese e la splendida fotografia dalle inquadrature interessanti specialmente i primissimi piani, il film non riuscirebbe ad esprimere appieno tutta la drammaticità che la trama racconta.
Il film riesce ad far mantenere l'attenzione anche se in modo non sempre continuo grazie alla bravura degli attori, perché il film non offre molti colpi di scena ma racconta il particolare momento che sta vivendo Fausta (la protagonista principale del film) passo dopo passo fino alla sua conclusione con un metodo tipico del cosiddetto film d'autore, che molto mi fa pensare ad un documentario.
Ma la sua forza è proprio quella di essere una via di mezzo tra documentario e film così da rendere immagini e suoni testimoni di una realtà da noi poco conosciuta, di un paese distante dal nostro in tutto, con tradizioni popolari, e condizioni di vita difficili mai sufficientemente messe in luce per gli occhi e la coscienza della gente.
Non è un film da vedere per tutti, anzi direi per pochi.
A prima vista, l'ho trovato più interessante che bello: ma poi, ripensandone immagini, simboli, volti (molti) della protagonista, ho ora la sensazione di essermi trovata di fronte non solo ad un pezzo di mondo poco conosciuto od esotico , ma anche ad una storia di personale emancipazione attraverso gli strumenti (qui il rito del canto e della sepoltura) della propria cultura.
ero curiosa di vederlo, avendone letto qualcosa di intrigante. le idee e i messaggi sono interessanti, ma il racconto è troppo frammentario, si succedono immagini, lente e incongrue, così che ci si stanca.
come sempre quando si è in presenza di un nucleo valido si è delusi per una narratività stenta che lascia allo spettatore il compito faticoso di ricucirla.
Interessanti i simboli della femminilità oppressa o celebrata, in una società dilaniata dalle guerre civili e le tradizioni ancestrali, i matrimoni che si succedono nella comunità antica e la femminilità abbrutita della protagonista. meno male che se la cava , la patata, alla fine e la pianta in un vasetto: rinasce , ostinata, la voglia di vivere.
Le premesse di questo film sono assai buone, presentano un'interessante teoria sulla trasmissione delle emozioni tramite il latte materno, un'idea originale, che poteva dar luogo ad una pellicola complessa, innovativa, d'alto valore. Purtroppo pare che la regista abbia tentato di realizzare tutto questo, fallendo però miseramente, creando un film insensatamente lento e vuoto, incapace di lasciare il segno, dove ciò che si salva sono esclusivamente le idee di fondo ed una fotografia decisamente gradevole.
Il film inizia con la madre che sta per morire e racconta col canto alla figlia Fausta la violenza subita. Sarà questa terribile esperienza a determinare nella ragazza la sua chiusura alla vita, l’incubo del rapporto col maschio, la difesa contro la barbarie che la giovane realizza introducendo nella vagina una patata. Questo espediente realistico e rozzo è naturalmente un pericolo per la salute nonché un fenomeno che costringe Fausta ad espellere con ribrezzo i germogli del tubero. Come si vede, i fatti sono espliciti, ma nel racconto tutto è suggerito con modi discreti e molto pudore. Intanto la storia, impastata di tanti elementi, dalla superstizione alla poesia, procede per metafore e atmosfere diverse messe a confronto. Due ambienti soprattutto sono la sostanza che dà corpo al discorso. La cinepresa si sposta infatti dalla casa signorile, dove la protagonista è andata a servizio per poter fare un degno funerale alla madre, al barrio dove ritorna alla fine del lavoro e dove vive con lo zio e la famiglia. La villa padronale è ombrosa, cupamente arredata con mobili intagliati, cortine e tappeti; solo la voce del pianoforte e il canto di Fausta, sollecitato dalla padrona concertista (Susi Sánchez), rompono il silenzio all’interno. Fuori, nel giardino lussureggiante, si muove il giardiniere, che spia la selvatichezza della ragazza e vorrebbe fare amicizia, ma lei sfugge e si mostra appena, preda com’è delle sue angosce. Il ritmo di queste inquadrature è lento, alcune immagini in primo piano sono dei veri ritratti d’autore. La realtà del barrio, che sorge su una piccola altura desertica, priva di ogni vegetazione, è invece antropologicamente viva; è il luogo della gente umile che crede ai riti e li perpetua con qualche aggiornamento eccessivo e colorato. Sono indigeni che aderiscono alla vita con naturalezza, sottolineano ogni cerimonia, funebre o gioiosa, con il corpo, il loro lieve ancheggiare, il loro essere uniti. Il film si snoda perciò con una scansione diversa rispetto al luogo dove il personaggio si muove e procede fino a giungere non a un vero e proprio scioglimento ma ad una attenuazione della angosce. Fausta infatti dà inizio a una presa di coscienza dell’essere viva e del dovere affrontare l’esistenza con qualche apertura. Per intanto si libera del suo “rimedio” artigianale e riporta la salma della vecchia madre verso il mare e verso i campi del villaggio di origine. Noi la lasciamo qui con nella mente il suo sguardo liquido e ferito e l’echeggiare di quelle melodie lontane, piene di suggestione.