Una piccola città della Danimarca, situata in un luogo solare e molto vicino al mare, è in grande agitazione poiché si devono festeggiare i 750 anni di vita dalla sua fondazione. I festeggiamenti hanno il culmine nell’arrivo di un famoso tenore, Karl (Thomas Bo Larsen), nativo di lì. Tale evento viene vissuto con particolare adesione da quelli che lavorano nel più lussuoso albergo della zona. I preparativi coinvolgono tutti, dal direttore che scopre ogni minuto pecche organizzative e deve fare i conti col testardo capo di un complesso musicale che non parla danese e non suona gli strumenti richiesti, all’ultimo dei camerieri in forza nelle cucine. Proprio lì sotto lavora Sebastian (Oliver Moller Knauer), un giovane di provenienza campagnola, balbuziente, dolce ed ingenuo, che ha avuto nella sua infanzia un trauma su cui si apre il racconto. In un breve lasso di tempo, ha dovuto infatti assorbire il suicidio del padre e l’improvvisa scelta lesbica della madre. Ne ha ricavato balbuzie e fragilità affettiva. Ma gli imprevisti non sono finiti; in quel giorno speciale nuove rivelazioni. Attraverso scontri e incontri Sebastian impara a scegliere da solo, ad acquietarsi nella nuova storia sentimentale e a lanciare un ponte, dopo una rissa memorabile, verso quel genitore donnaiolo, infantile ma non duro di cuore. Questi i fatti. Ma la godibilità del film di Vinterberg, che dopo una diecina d’anni, conclusa la trasferta americana, ritorna in patria, sta in altri elementi. Ritrovata anche la collaborazione nella scrittura con Mogens Rukov, abbandonate le rigide regole di Dogma, il regista di Festa in famiglia supera le durezze e le disarmonie linguistiche precedenti per abbandonarsi a una vena vitale, luminosa, più leggera, con sconfinamenti nel surreale. E’ questo l’aspetto che rende diversa e piacevole la sua ultima opera. Alla storia si sposano perfettamente la tecnica narrativa, la fotografia dorata, a tratti iperrealista a tratti romantica, il ritmo fluido, la recitazione mai sopra le righe, improntata all’espressionismo nordico ma in versione sdrammatizzante rispetto ai problemi. Così le insicurezze, il sesso, il tradimento vengono stemperati e riportati a una scala non drammatica di eventi ma piuttosto a una visione da operetta colta. Con questo spirito è da gustare l’ironia un po’ stravagante di certi personaggi, tipo lo chef svedese. Da manuale la scena del banchetto serale dove in contemporanea vengono confidati all’orecchio del padre e del figlio le rivelazioni che faranno esplodere il conflitto tra i due. In mezzo a una cascata di volatili palloncini, mentre le espressioni sui due volti divergono clamorosamente, la raffinata cena si trasforma in uno scontro fisico. Un finale aperto ma positivo nella sostanza completa il quadro complessivo. Una volta tanto le brume nordiche sono battute da una calda luce che esalta i colori precisi di quelle terre d’Europa.
Lasciate alle spalle le torbide vicende di Festen, il regista si cimenta con una storia di una paternità segreta e svelata con un taglio più 'leggero'. Anche se forse questo fa parte dello stile di questo regista, lo svolgimento del film è piuttosto saltellante e confusionario; emerge un po' sopra gli altri personaggi (complessivamente mediocri), la figura del padre cantante lirico (tra l'altro, anche in Danimarca apprezzano il nostro Verdi!).
Non un film brutto, ma non mi ha del tutto convinto.