Interessante ed originale commedia nera che, come la maggior parte dei film francesi, è connotata da ottime idee di base ma ahimè non sviluppate in modo soddisfacente.
Di gag e situazioni spassose ce ne sono abbastanza, tanto che qualche risata riesce a strapparla, eppure 'Louise Michel' è un film che veleggia sempre su toni tragicomici che scontano un' altalenante perdita di mordente e, quindi, d'interesse da parte dello spettatore.
Vengono lambiti temi importanti, come la disoccupazione e l'avidità dei ricchi, ma con tanta carne al fuoco i due registi virano stranamente su una stonata ambiguità sessuale dei protagonisti, che sfocia in un finale alquanto spiazzante. Insomma, l'impressione è che si potesse fare molto meglio.
Di sicuro è un film preferibile a tante decantate commediole hollywoodiane, volgari e ripetitive; tuttavia la strada per un'opera pienamente soddisfacente è ancora lunga da percorrere.
Ho trovato un solo limite del film. Detto questo, non posso che snocciolare una serie di Evviva! Bravi, evviva il coraggio dell’anticonformismo del conforme; evviva chi dice tanto di serio, facendo anche ridere tutti noi depressi e un po’ in fuga dalla crisi che morde duro. Ciò che non mi è piaciuto di quest’opera è presto detto: la forma. Sciatta, piatta, quasi amatoriale in negativo, non sfigurerebbe su Youtube a fianco di qualche tentativo di ventenne un po’ sgangherato. E ora passo agli evviva. I bravi sono una coppia di registi sceneggiatori belgi (un po’ come i Dardenne e i Coen ai quali somigliano) che sono cresciuti con la tv. Certamente sull’anarchico, certamente con una piattaforma seria sotto la noir-comedy, i due si divertono a scompaginare certezze e luoghi comuni del pensiero attuale, intoccabile quasi come i dogmi. Penso a un salotto della sinistra ufficiale che li guarderebbe con molto sospetto… Poi però si scopre che il titolo altro non è che il nome e cognome di una militante anarchica francese, femminista e creatrice di scuole a sua misura per bambine proletarie. E vediamo il secondo evviva. Il racconto mescola alla perfezione due poli, uno grottesco, l’ altro serio. Si tratta dei poveracci di sempre, se non vogliamo più chiamarli proletari, i quali, se hanno un lavoro, possono vedersene espropriati dall’oggi al domani. E come reagiscono? Le nostre operaie perdenti posto non pensano a nuove piccole attività, a improbabili iniziative da avviare con la loro piccola liquidazione, ma vanno al cuore del problema. Che una volta siano i responsabili a pagare, bisogna assoldare un killer e far fuori il padrone. Ma siccome dalla prima scena si capisce che la chiave del discorso è surreale (il film si apre con un tentativo di cremazione maldestro) nessuno si sogna di pensare a violenze reali, bensì ad azioni simbolo come quelle oggi in atto dove si sequestrano magari per un sol giorno manager intoccabili. E siamo al terzo evviva. Via via che i fatti si dipanano ne vediamo delle belle e si ride di cuore pure se col fondo amaro. Animali oggetto non di amore ma di caccia (la protagonista li cattura e li mangia crudi), killer che non riescono neanche a custodire l’arma perché se la perdono per strada, malati terminali assoldati per uccidere che sbagliano bersagli, padrone da eliminare che si sposta per tutta l’Europa costringendo Louise e Michel a inseguire ogni volta nuovi obiettivi. In di più, tutto non è come appare. Per esempio, la struttura massiccia e i peli sulle braccia di Louise nonché l’inadeguatezza di Michel come killer hanno origine in una identità diversa da quella normale… L’unica cosa a rimanere uguale è l’oppressione dell’uomo sull’uomo. Ma anch’essa può essere cancellata almeno sullo schermo, sepolta sotto le risate e tante visionarie e picaresche avventure… Dei due attori che dire? Non sono certo politicamente perfetti, ma come interpreti sì!