Un film debole da tutti i punti di vista.. Non c'è molto da dire.. è un po' Amarcord.. un po' Amici miei ma decisamente non si avvicina mai ai miti citati. Poche emozioni e molta sonnolenza in sala, persino a Bologna, d'altra parte non ci sono luoghi da riconoscere.. non è nemmeno girato a Bologna!
Ho deciso di vedere questo film perche' Pupi Avati per me finora era una garanzia pero' sono rimasta perplessa:mi aspettavo molto di piu'e invece niente mi ha emozionata:una serie di situazioni,personaggi senza un vero legame.....Brava pero'Katia Riccirelli!
Io e l'amica con cui sono andata a vedere il film,alla fine ci siamo guardate e ci siamo dette:forse siamo troppo esigenti?
Leggero, scorrevole, senza spessore.
Sembrava un film per il piccolo schermo da inserire nel palinsesto della prima serata domenicale.
I personaggi potevano essere approfonditi meglio.
Lo Cascio il migliore, sembra un jocker all'italiana, con quella risata folle.
Taddeo, un cinismo impressionante per un ragazzo di 18anni e poi di quella generazione molto più attaccati alla famiglia di adesso, non credibile.
L'episodiio di Gian e del padre a San Remo, io lo avrei sviluppato di più, con tutta quella atmosfera creata, le loro aspettative, gli incitamenti sul treno, la loro fierezza quando parlano con il tizio dell'ariston. Insomma mi aspettavo l'epilogo dello scherzo, gli sberleffi e le pernacchie del duo Fasan.
Abatantuono, così, un pò insipido.
La Ricciarelli, poco sfruttata.
Marcorè, come sopra
Zanchi, come sopra. Carina l'idea dell'Harem ma a parte qualche battuta l'idea poteva essere sviluppata meglio.
Diciamo che il canovaccio c'era ma le idee erano poco sviluppate.
Sinceramente a me il film non è piaciuto proprio per niente. premettendo che è il terzo film che vedo di pupi avati (dopo regalo di natale e la rivincita di natale, che al contrario mi sono molto piaciuti)e che quindi non posso giudicare il regista in base ad altre opere, ho trovato il film abbastanza fiacco e poco ispirato. sarà anche il suo racconto nostalgico della sua gioventù, ma nn mi ha procurato particolari emozioni e, nel caso della storia del nonno barbiere, l'ho trovato anzi di pessimo gusto. non so cosa avesse voluto suscitare raccontando quella vicenda, se pena, tristezza, gioia o chissà cos'altro, io l'ho trovata grottesca e molto antipatica.
in sintesi, come mio giudizio personale, uno dei film più brutti che abbia mai visto.
Diffido in genere dei remake o di opere che hanno come antecedente un capolavoro del quale riprendono spirito e forma. In questo caso si tratta ovviamente del Fellini dei Vitelloni e di Amarcord. E il confronto non giova all’ultima creazione di Pupi Avati, che salvo alcuni casi (Regalo di Natale, I cavalieri che fecero l’impresa, Il papà di Giovanna) è ormai definibile come il cantore della nostalgia targata Romagna anni ’50. Perché anche nei film più difformi da questo vagheggiamento del passato, l’essere bolognese e aver trascorso in quel luogo la giovinezza è diventata per Avati quasi una categoria dello spirito. Per ciò che riguarda gli attori, salvo qualche nuovo arrivato, gli altri sono diventati quasi la sua famiglia, i suoi compagni di bar (in questo caso il Margherita), ma non saprei dire se questa situazione di conoscenza profonda sia un male o un bene. Ad esempio, nel caso di Abatantuono mi pare che provochi un invito alla pigrizia creativa, per cui il simpaticissimo Diego sembra ripetersi all’infinito nei modi e nella sostanza del personaggio. Neanche nuova nell’opera del regista è quella punta di malignità paesana, di torbidezza nei rapporti di amicizia che non fanno dimenticare ad Avati, pure quando è intento a ritrarre la bonomia del passato, che nel quotidiano e abituale giocano anche forze negative, momenti oscuri in cui il familiare diventa quasi noir. A tal proposito vedi in questo film le sequenze sul ballo a casa dell’adolescente, alter ego di Pupi, mentre nella stanza accanto l’amato nonno giace morto. Per inseguire troppi personaggi messi in scena, Avati finisce poi col lasciarne molti a livello di nome e cognome, senza svilupparne il carattere o il ruolo giocato nel gruppo. Si tratta di comparse di un teatrino a volte stucchevole o addirittura sciocco quando non riscattato dallo humour o dall’ironia. Su tutto quindi aleggia un senso di già visto e di noiosamente provinciale. Come ho già accennato, la scena è posta a Bologna, più o meno negli anni ’50. Al bar Margherita (Bologna anni ’50)si riuniscono i frequentatori abituali, un gruppo eterogeneo con alcuni leader, come Al (Diego Abatantuono), introdotto nei nights, ottimo giocatore di biliardo, un po’ il padre di tutti. Lui è il modello da imitare per il diciottenne Taddeo (Pier Paolo Zizzi), che inaspettatamente finisce col diventare il suo autista. C’è poi Neri Marcorè (alias Bepi) ancora una volta nei panni dell’inadeguato-imbranato che, ovviamente, ama la donna sbagliata; c’è il ripescaggio di Gianni Cavina (il nonno di Taddeo), che insegue ancora conquiste femminili; c’è il bravo Fabio De Luigi (alias Gian) che aspira a partecipare a Sanremo, ma riesce solo ad eccitare lo spiritello cattivo del gruppo. Tra le donne, protagoniste secondarie rispetto agli avventori del bar o “eroi sciocchi”, come li definisce lo stesso regista, citerei solo una splendente Luisa Ranieri nel ruolo di Minni, maestra di pianoforte e ultima spiaggia del desiderio del nonno di Taddeo.