Lo sguardo compiaciuto e nostalgico del regista è onnipresente nel film: è la rappresentazione auto celebrativa di un’epoca passata, di una gioventù sfuggita e irraggiungibile se non nel ricordo personale, è un moto egoistico e poco condivisibile col pubblico, sembrerebbe un monologo, un viaggio solitario nei propri ricordi di ragazzo . Qualcuno più semplicemente direbbe che il regista e sceneggiatore “se la canta, se la suona e se la balla” tutto nel suo baretto sotto casa ( “Il Bar Margherita “è l’elemento centrale e autobiografico insieme allo spirito maschilista che vi governava negli anni ’50 nient’affatto diverso da quello di un qualsiasi bar di periferia odierno); in effetti c’è poco altro da aggiungere ad un detto così popolare e altrettanto veritiero. Bisognerà rivedere il concetto di cinema come linguaggio universale, come interpretazione sublimata della realtà senza limiti spazio-temporali, opera pubblica , opera d’arte, mediazione? Cosa diventa il cinema quando si taglia un abito su misura per se stesso? Un vestito per un'unica cerimonia, per un'unica occasione, quella che celebra l'individualismo di chi lo confeziona.
Ho sempre gradito molto i film di Avati, ma questa volta sono proprio rimasto deluso. Il film è una sequela noiosa di episodi non sempre legati tra loro e che non dicono proprio niente. La voce narrante è di un antipatico incredibile, così come il personaggio di Taddeo. Peccato, stavolta Avati ha proprio ciccato in pieno.
Un film debole da tutti i punti di vista.. Non c'è molto da dire.. è un po' Amarcord.. un po' Amici miei ma decisamente non si avvicina mai ai miti citati. Poche emozioni e molta sonnolenza in sala, persino a Bologna, d'altra parte non ci sono luoghi da riconoscere.. non è nemmeno girato a Bologna!
Leggero, scorrevole, senza spessore.
Sembrava un film per il piccolo schermo da inserire nel palinsesto della prima serata domenicale.
I personaggi potevano essere approfonditi meglio.
Lo Cascio il migliore, sembra un jocker all'italiana, con quella risata folle.
Taddeo, un cinismo impressionante per un ragazzo di 18anni e poi di quella generazione molto più attaccati alla famiglia di adesso, non credibile.
L'episodiio di Gian e del padre a San Remo, io lo avrei sviluppato di più, con tutta quella atmosfera creata, le loro aspettative, gli incitamenti sul treno, la loro fierezza quando parlano con il tizio dell'ariston. Insomma mi aspettavo l'epilogo dello scherzo, gli sberleffi e le pernacchie del duo Fasan.
Abatantuono, così, un pò insipido.
La Ricciarelli, poco sfruttata.
Marcorè, come sopra
Zanchi, come sopra. Carina l'idea dell'Harem ma a parte qualche battuta l'idea poteva essere sviluppata meglio.
Diciamo che il canovaccio c'era ma le idee erano poco sviluppate.
Pupi Avati ha rappresentato, bene, il peggio dell'Italia settentrionale, senza ponere una visione critica.
Il vuoto dei protagonisti, la loro perfidia, le invidie, gli scherzi fatti per fare il male al prossimo, l'esaltazione dei difetti altrui. Con un finale sorridente giusto per far finta che poi tutto va bene e si è tutti amici. Falsi e cortesi.
Andate in uno dei tanti bar avvolti dalla nebbia e troverete queste stesse situazioni. Preferirei suicidarmi che avere amici del genere.