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Due partite

Opinioni presenti: 8
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La storia si ripete...se non si cambia.

(9/10) Voto 9di 10

Molto più che un film di brave attrici, Due Partite mi è sembrato il ritratto di due generazioni di donne imprigionate in un'infelicità che non sembra avere vie d'uscita. Per quanto ne dica il regista, non è certo un film carico di ottimismo. Le figlie cercano disperatamente di non commettere gli stessi errori delle madri, negando la propria natura e con essa il senso e la bellezza di essere donne. Credono che scelte e azioni intraprendenti possano condurle all'autonomia, ma non è così. Restano imprigionate in modelli fossilizzatisi nel tempo e duri da sradicare, incapaci di trovare dentro di sè la vera ragione della propria esistenza. Vivono la vita come una continua sfida contro se stesse e gli altri, soffocate dal bisogno di dimostrarsi e dimostrare che valgono qualcosa. Sono infatti del tutto incapaci di riconoscere loro stesse per prime il proprio valore e di affermare la propria individualità prescindendo dai genitori, dai mariti e dai figli. La loro esistenza non è mai "per se stessa", ma sempre "per gli altri". Così le nonne, così le madri, così noi oggi. Questo non vuole essere un tentativo di generalizzare; fortunatamente le eccezioni esistono, esistono donne che hanno abbastanza intelligenza e determinazione da prendere le distanze da questo schema e costruire la propria identità in assoluta autonomia ed è ad esse che oggi è affidato il futuro del genere femminile. Trovo molto riduttivo, banale e poco realistico dunque definire questo film ripetitivo, stereotipato e superato. Al contrario, mostra la parte più intima delle donne per come spesso è realmente e descrive senza mezze misure una condizione dolorosa che è impossibile ignorare.



Giulia, 20 anni, Vicenza (VI).




Piccolo grande cinema italiano

(9/10) Voto 9di 10

Due partite di Enzo Monteleone è un film riuscitissimo. In primis trasporta sul grande schermo una fortunata commedia scritta (benissimo) da Cristina Comencini, non apportando modifiche, ma duplicando le interpreti che da 4 passano ad 8. Le madri e le figlie protagoniste della commedia drammatica sono donne vere, ritratti impietosi e reali di un Italia che dal 1966 al 1996 non è cambiata molto. Le scenografie e i costumi sono curati in ogni dettaglio, il montaggio è impeccabile, la fotografia risalta la pellicola senza esagerazioni. Ma soprattutto, ci sono otto grandi attrice che danno una gran prova di bravura, e in tempi di film e fiction pessimi o mediocri, non è poco. Tutte brave, ma bravissime Isabella Ferrari, Paola Cortellesi (la vera rivelazione del film) e Alba Rorwacher.



Davide, 28 anni, Sassari (SS).




noi donne

(9/10) Voto 9di 10

Un film vero e femminile, anche se deve necessariamente cedere a qualche tipicizzazione. i personaggi sono comunque credibili, le attrici brave, e c'è il fascino di ripercorrere le problematiche di quella che è la vita di tutte le donne , ma che in genere è relegata alle confidenze tra amiche, segnata tuttavia dall'evoluzione die tempi, per cui oggi le donne hanno mantenuto i medesimi problemi (amori, solitudini, figli, difficoltà di relazione) ma con fenomenologie diverse. la bellissima canzone "se telefonando" esalta questo struggimento del tempo che passa della nostra vita, e ci fa immergere in questo mondo di sentimenti, parole , ricerca di identità, fantasia e generosità, che è la vita di tutte le donne. molto bello, intenso , ironico , realistico, malinconico, consigliato alle donne per ritrovarsi e agli uomini per capire qualcosa di più dell'universo femminile.



Sandrocchia la prof., 55 anni, Ascoli piceno (AP).




Ma che bel film

(7/10) Voto 7di 10

Complimenti! La storia non è originale, ma riprende l'omonima piece teatrale; ma nulla toglie alla bravura interpretativa delle 8 attrici. Un film che ci regala uno spaccato di vita al femminile, una contrapposizione tra la vita dei nostri genitori e la vita di "noi figli", ma in tutte queste fotografie che ci regala "Due partite", non esistono più le madri, le figlie, le mogli, le amanti. Esistono donne che, indipendentemente dal periodo storico in cui sono costrette a vivere, hanno a che fare con gli stessi identici problemi: la vita coniugale, la famiglia, il lavoro, le proprie insicurezze e le proprie aspirazioni. Davvero un bel film che ci fa riflettere! Da guardare e da discutere.



Andrea, 34 anni, Vicenza (VI).




aspettando la centesima partita

(5/10) Voto 5di 10

Voleva essere (esce nei dintorni dell’8 marzo) una riflessione profonda sulle mutata condizione femminile negli ultimi quaranta anni; poteva essere una commedia frizzante dolceamara, data la qualità delle interpeti di maggior peso, ma nessuno dei due obiettivi mi sembra raggiunto. Perché il film, tratto da una pièce teatrale di Cristina Comencini, pur con puntate nella psicanalisi, non si discosta dalla sua origine e odora terribilmente di teatro nel chiuso di una stanza, non risultando efficace quasi per niente là dove vorrebbe essere più impegnato. Anche la girandola iniziale di botta e risposta tra le quattro protagoniste non coinvolge più di tanto. La trovata delle due partite (una è quella vera, piena di pause e di parole giocata dalle madri, una è quella di vita giocata da entrambe le generazioni) sarebbe stato un buono spunto iniziale se si fosse evoluto e variato nei tempi e nello spazio. Invece la recita che si propone attorno allo stesso tavolo e nella stessa casa dove trenta anni dopo i ’60 si ritrova la prole femminile, risulta o banale o troppo strutturata come gioco cerebrale. Solo in alcuni momenti i contenuti fanno presa e l’interpretazione diventa autoironica, condotta com’è da brave attrici. Poiché l’analisi è freddina, tutto deve “tornare” attorno al tavolo, sicché l’inventiva langue e le situazioni si ripetono. La performance del cast tutto femminile è indubbiamente di buon livello, perciò ci si sarebbe aspettata un’emozione in più, mentre la sceneggiatura di tono medio diventa alta solo in qualche sequenza (vedi la nevrotica e lucida tirata antimaternità “ferinamente” intesa della Cortellesi). Nella stanza a fianco a quella dove le quattro amiche si confrontano, spesso con armi affilate dalla malignità, figlia dell’insoddisfazione più che della cattiveria, giocano le loro bambine. Anch’esse sono già piccole donne in erba, intente a ritagliare modelli di vestiti dalle riviste di moda e ad imitare i vezzi delle adulte. Trenta anni dopo, in occasione della morte violenta di una delle quattro mamme, le loro figlie si incontrano in quello stesso salotto, riveduto e corretto come le loro vite che sono, sì, cambiate rispetto alle madri, ma non si capisce quanto e se in meglio. I maschi continuano a essere assenti o troppo presenti e comunque negatori di autonomie. Nel film essi sono solo nominati ma non si vedono mai perché quello che conta è come le donne valutano e vivono le relazioni. Due delle giovani coltivano con buoni risultati la loro carriera e questo crea contraddizioni con i mariti; una è single ma insegue quasi ossessivamente una maternità che non arriva, l’ultima (la figliola della suicida) si interroga su quale sia stato il senso dell’unione tra i genitori, visto quel buco nero che sua madre non è riuscita a colmare. Che fare allora? Non resta che sperare nei lentissimi cambiamenti della storia, fino a che non si riuscirà a fare a meno gli uni degli altri, prospettiva triste ma forse unica soluzione radicale.



Olga, 63 anni, Di comite (PG).





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