“Il lieto fine c’è solo nei film americani”: ecco, da una battuta di uno dei protagonisti, l’amaro epilogo della vicenda umana di Salma, una vedova palestinese che lotta perché il suo guardino di limoni, confinante con la abitazione-bunker del neoeletto ministro della difesa israeliano, non venga abbattuto in nome di rigide misure di sicurezza preventive.
Gli opportunistici calcoli del ministro (il cui nome di battesimo è Israel) non fermano la donna, che dichiara battaglia, decisa a non lasciar toccare quella che è ormai la sua unica fonte di sostentamento ed insieme un vivido ricordo d’infanzia.
Asciutto e aspro, in una continua tensione lirica, il film non scade mai in uno scontato patetismo, mentre gli sguardi colmi di rassegnazione eppure rabbia e coraggio della bravissima Hiam Abbass trasmettono con vivida forza tutta la dignitosa disperazione di chi sa di lottare per una causa già persa, contro qualcosa di troppo potente. Eppure lei non si arrende, e il suo disprezzo è tutto negli sguardi muti di un silenzio quasi assordante.
Il giardino di limoni di Salma diventa emblematicamente un altro pezzo di terra da difendere con le unghie e con i denti, centimetro per centimetro.
Mentre la donna trova la forza di portare la sua causa in tribunale, la moglie del ministro, Mira, calata con insofferenza nei propri panni istituzionali, la osserva da dietro le finestre della sua abitazione con una tacita solidarietà femminile. Ma Mira nulla puo’ contro quel muro di gomma che è il sorriso fiero del marito, e non riesce ad attraversare il confine tra le due abitazioni, tra i due popoli, bloccata da chi rappresenta l’autorità, da chi ha potere decisionale.
Salma si affida ad un giovane avvocato trovando in lui un conforto affettivo consapevolmente temporaneo, ma i limoni cadono e marciscono nel frutteto recintato, come le speranze che il conflitto tra israeliani e palestinesi possa un giorno risolversi. Drammaticamente attuale.
Film trattato con molta delicatezza,senza tramutarlo in un messaggio politico,ma quest'ottica,a mio parere,urla ancora di più l'ottusità del ministro ,piccola tessera di una realtà divenuta ottusa per ripicche e rivendicazioni politiche di cui il semplice cittadino è solo vittima sacrificale.La proprietaria dei limoni ha una vittoria parziale e la moglie del ministro capita la piccineria del marito lo lascia.Molto incisiva la scena in cui il ministro apre la finestra che non da più su giardino dei limoni ma su un altissimo muro di cemento armato monumento alla sua stupidità politica e personale
Tratto da una vicenda realmente accaduta, “Il giardino di limoni” arriva nelle nostre sale proprio come un regalo di Natale per chi ama il buon cinema.
Eran Riklis, regista israeliano già noto per “La sposa siriana”, dirige questa pellicola con drammatica eleganza.
Potrebbe essere considerato un film politico, che guarda il conflitto e le tensioni israeliano-palestinese dall’interno e nella sua quotidianità, ma in realtà, a ben guardare, la pellicola ci parla del coraggio e della determinazione che possono scaturire dalla naturale appartenenza alle cose; un coraggio che non si arrende davanti a questioni di Stato.
Non si arrende la protagonista, una bravissima Hiam Abbass, che vede minacciati i suoi alberi di limoni, unica fonte di sostentamento; non si arrende la moglie del ministro, che intuisce inzialmente come l’ipocrisia e l’ottusità del marito in realtà superano quel giardino fino a insidiarsi nel loro matrimonio; e non si arrendono, infine, quegli alberi, che nonostante l’oltraggio subìto, sembrano promettere una nuova fioritura.
La vicenda è raccontata con semplicità, ma anche con intensità: le due donne protagoniste, ognuno a proprio modo, vivono una solitudine che le porterà a spingere lo sguardo ognuna verso l’altra, scoprendo così un’empatia inaspettata e fruttuosa.