Serie animate “made in Japan” ma d’ispirazione letteraria occidentale, nate dal successo planetario di “Heidi” (1974). In Giappone le chiamavano meisaku o, internazionalmente, World Masterpiece Theatre. In Italia non hanno mai avuto un nome che le raggruppasse come genere, ma ciò non impedì il loro successo anche da noi. Ed è buffo, quasi paradossale, constatare come molti classici della letteratura occidentale per ragazzi, proprio nella tanto vituperata animazione giapponese (ritenuta spesso violenta e scabrosa), abbiano trovato la miglior trasposizione possibile. Il filone si esaurì nel marzo ’97, quando andò in onda in Giappone l’ultimo episodio di “Remy - la bambina senza famiglia”, versione “in rosa” del libro di Malot. Alcuni meisaku sono divenuti cult trasmessi spesso ancora oggi, come la già citata “Heidi” o “Anna dai Capelli Rossi”. Altri vengono replicati più di rado, vedi “Flo, la piccola Robinson” o “Pollyanna”. Altri ancora sono spariti nel dimenticatoio, lasciando però un ricordo indelebile nei ragazzini che ebbero la fortuna di seguirli negli anni ’80. Tra gli appartenenti a questa terza categoria, “Una per Tutte Tutte per Una” (1987) è stato uno degli esempi, a suo tempo, più celebri e fortunati. La serie è la versione animata dei capolavori di Louisa M. Alcott “Piccole Donne” e “Piccole Donne Crescono”. La storia delle quattro sorelle March (la romantica Meg, la maschiaccia Jo, la posata Beth, e la vivace Amy) non ha certo bisogno di presentazioni, vale invece la pena di soffermarsi sull’aspetto tecnico, che riassume il meglio del filone meisaku: aderenza al testo originale (l’unica infedeltà è che Beth non muore, e questo ci ha fatto amare il cartone ancor di più), una grande cura nel descrivere la vita e le usanze dell’epoca, animazioni e colori d’ottimo livello, e un disegno sobrio e impeccabile dove le deformazioni manga (nasi piccoli e aguzzi, grandi occhioni…) sono meno accentuate del solito (tanto che molti non si resero conto di trovarsi di fronte ad un prodotto nipponico). “Piccole Donne” aveva già avuto una trasposizione meisaku nel 1981, ma questa è unanimemente considerata migliore, tanto da esserci guadagnata un seguito, “Una Classe di Monelli per Jo” (1991), tratto, ovviamente, da “Piccoli Uomini” e “I Ragazzi di Jo” (seguito poco fortunato in Italia e sparito dopo ancor meno repliche).