Tratto dall'omonimo, splendido romanzo (1892)di Gabriele D'Annunzio, questo film di Luchino Visconti (1976), racconta la tragica vicenda che vede protagonisti i coniugi Tullio e Giuliana Hermil, la cui triste esistenza viene resa ancor più problematica dalla nascita di un figlio adulterino della donna e dal successivo infanticidio messo in opera da Tullio.
Nonostante molti tagli ed alcune aggiunte rispetto al romanzo e, soprattutto, nonostante il suicidio finale non presente nel libro, il film vanta una regia impeccabile, scenografie cupe e ridondanti che ben rendono le descrizioni degli ambienti barocchi e decadenti in cui D'Annunzio ambienta tutti i suoi romanzi, e, soprattutto, una straordinaria, intensa interpretazione da parte di Giancarlo Giannini (Tullio) e Laura Antonelli (Giuliana). Giannini è perfettamente credibile nelle vesti di Tullio Hermil, meravigliosamente calato nella parte, non facile, dell'aspirante superuomo che si trasforma in disoperato infanticida; i suopi sguardi intensi, profondi, penetranti, sono impossibili da dimenticare; nelle pose, nelle espressioni e nei movimenti, egli rispecchia fin nei minimi dettagli il personaggio del romanzo e, fondamentalmente, anche lo stesso D'Annunzio, di cui Tullio Hermil è chiaramente un alter ego. Brava e molto sensuale Laura Antonelli, che, in questo film, è di una bellezza incantevole. Un'atmosfera cupa, triste, oppressiva, perfettamente congeniale alla storia narrata. Scene curate nei minimi dettagli, splendidi costumi, musica classica coinvolgente ed anche inquietante. Perfette le scene di passione fra i due coniugi, cariche di passione dannata, di perdizione, di ossessivo desiderio, e mai volgari. Splendide inquadrature, con in rilievo l'importante allegoria della croce e della purificazione rappresentata dalla nascita di Gesù rivissuta nella notte di Natale, contrapposta, paradossalmente (come nel romanzo)alla morte tragica di Raimondo. Gioco di specchi, di croci, di candele, metafore ravvivate dai contrasti di luce ed ombra, di fiori sbocciati e colori di morte. Il suicidio di Tullio e la persistenza della relazione con Teresa Raffo tolgono alla vicenda il senso di perdizione morale, di dannazione presente nel romanzo, in cui Tullio restava vivo, ma solo, seppur ancora con Giuliana, col suo terribile segreto, mai svelato a nessuno, per orgoglio e senso di superiorità. Questo particolare, insieme all'assenza, delle due figlie legittime Maria e Natalia (che nel romanzo servono da contrasto con Raimondo e rappresentano l'importanza data da Tullio alla stirpe ed alla purezza della razza e della discendenza del sangue)ed all'innocenza di Giuliana (che nel romanzo diviene invece complice silenziosa del marito), toglie alcuni elementi essenziali alla storia narrata da D'Annunzio, stravolgendo, in parte, il significato originale della vicenda. Nonostante ciò, il film ha un innegabile fascino visivo, un'atmosfera claustrofobica e dannata, una regia ed una recitazione impeccabili.
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(8/10)
