Storie di padri e figli che si intrecciano. Innanzitutto quella di un pescatore giapponese, Takata, che da anni non parla con il figlio Ken-Ichi per motivi che restano abbastanza oscuri, e che, venuto a sapere del cancro del figlio, si reca in Cina per riprendere l'opera "Mille miglia...lontano", l'unica che il figlio, appassionato della tradizione popolare cinese, non era riuscito a vedere. Tuttavia dovrà fare i conti con una serie di difficoltà. Il cantante che piaceva tanto al figlio è stato incarcerato e quindi dovrà richiedere il permesso di entrare nel carcere a mille uffici e controuffici, aiutato da una guida che parla qualche parola di giapponese e una disponibilissima traduttrice. Ma non è finita qua. Perchè, una volta organizzato tutto, il cantante non riuscirà a cantare per la sofferenza della distanza dal figlio. Takata decide quindi di andare alla ricerca del bambino e portarglielo. In questo lungo viaggio verso il villaggio di pietra per recuperare il piccolo Yang Yang, Takata si riavvicinerà idealmente a Ken-Ichi.
Il film è supportato da una buona fotografia (dopo i virtuosismi di "Hero" e "La foresta dei pugnali voltanti" è il minimo che ci si poteva aspettare), tuttavia l'idea di fondo è sviluppata con un ritmo abbastanza lento che tende a cadere in più punti (la scena del pianto dei detenuti si poteva tagliare senza remore) nel buonismo. Yimou, che ci aveva proposto quelle visioni così originali e poetiche del suo paese e delle sue genti in "Lanterne rosse" e "La storia di Qiu Ju" sembra qui appiattirsi su se stesso non aggiungendo nulla. Singolare che nell'anno in cui la Cina ci viene rappresentante come un inferno di industrie da due film come "La stella che non c'è" e "Still life" (Leone d'Oro a Venezia) Yimou ci propone una visione quasi idillica dei borghi di campagna, della felicità comune.
Il personaggio migliore è nettamente la traduttrice, una delle poche note davvero positive del film, che nel complesso risulta gradevole.
Monotono e incolore nella prima parte, troppo rigoroso e inquadrato nella seconda, il film scorre senza emozioni di sorta, raccontando i sentimenti di una Cina buonista e senza macchia, alle prese con un’autorità docile, comprensiva e al servizio del cittadino. A parte qualche buona trovata registica e le inquadrature "sorprese" a riprendere paesaggi senza tempo, niente di nuovo sul fronte orientale...