Viene voglia di fare due cose al termine della proiezione. Uscire all'aria aperta e respirare a pieni polmoni per riprendersi dal senso di claustrofobia che lascia il film e cancellare Carlo Verdone dalla lista delle persone attendibili, visto che ha definito questa pellicola un capolavoro.
Diciamolo, da "A Est di Bucarest", ci aspettavamo un piccolo miracolo indipendente. Ne siamo usciti con una cocente delusione. E' un film statico, poco ironico e a tratti un po' noioso. Meno male che è breve.
Tra colori che variano dal grigio chiaro al grigio scuro, auto scassate, strade sconnesse, palazzoni popolari, un improvvisato anchorman proprietario di una assurda emittente di una città di provincia a est di Bucarest, organizza un dibattito in diretta, proprio nel sedicesimo anniversario della rivoluzione. Al centro della discussione una sola domanda “C’è stata o no la rivoluzione nella nostra citta? La gente ha partecipato al rovesciamento del regime, oppure è scesa in piazza a cose fatte?”.
Relatori e ospiti, due eminenti celebrità locali: un professore di storia alcolizzato e perennemente indebitato. E un vecchietto che per campare si veste da babbo natale. Ognuno racconta la sua versione dei fatti, ma le telefonate in diretta, creano parecchie obiezioni e parecchie revisioni dell’accaduto.
L’idea di base è semplicemente favolosa. La visione di un fatto storico, dal punto di vista di persone comuni e soprattutto cittadini di una città che è rimasta un po’ fuori dalla rivoluzione del 1989.
Il tutto resta imbrigliato, anzi, per meglio dire, chiuso, nelle case dei protagonisti nella prima parte del film e poi, nella seconda parte, nell’angusto studio televisivo. Fiumi di parole, ripetizioni, chiacchiere, investono lo spettatore che invece delle poltrone, s’immagina d’essere in una trincea. Poca satira, qualche revisionismo storico ma nulla di realmente convincente o chiarificatore di cosa pensano i romeni del passato e del presente.
E' anche vero che noi non siamo romeni. Non abbiamo avuto Ceauþescu, sicuramente uno dei più disgraziati dittatori della storia e quello che sappiamo della rivoluzione, l'abbiamo studiato sui libri o visto in diretta TV. Senza contare che il nostro ricordo maggiore sono le bandiere con il buco in centro che i tifosi romeni sventolavano a Italia 90. Insomma, non sappiamo se e quanto pesi ancora la figura del dittatore e se e quanto il popolo romeno possa riderci su, tanto per ripeterci, alla Goodby Lenin. Di contro però, ricordiamo che un certo Kusturica ha ironizzato sulla Jugoslavia...
Qualcosa da dire l'abbiamo anche sul doppiaggio. Seguito dal mitico Tonino Accolla, delude parecchio, soprattutto considerando che uno spettatore che telefona in trasmissione era palesemente di Trastevere. Cosa spiazzante, quasi quanto il fatto che anche in Romania ci sono i cinesi.
A differenza di Francesco di Napoli, io e il mio compagno crediamo che la prima parte, dove i protagonisti si vedono impegnati nel loro quotidiano, risulta migliore. Le aspettative del pubblico svaniscono con la seconda parte, lenta, ripetitiva e inconcludente tanto che alla fine si esce dalla sala senza che l'ignaro spettatore riesca a dare una risposta chiara alla domanda cruciale del film. Sinceramente ci saremmo aspettati un flashback chiarificatore, invece niente e non ci sembra che neanche la sceneggiatura lo prevedesse. Siamo usciti dalla sala con la chiara sensazione di aver speso male il nostro tempo, i nostri soldi. Questo è tutto.