Film d’autore, presentato a Venezia quest’anno, ci propone temi duri e ci lancia segnali da leggere con molta attenzione: la vita di una donna sola Milano, Milano stessa, la immigrazione, le relazioni, il lavoro.
Marina Spada ha voluto raccontare la sceneggiatura che l’amico Daniele Magioni utilizzando le inquadrature fotografiche di Gabriele Basilico, le aveva offerto. Forse sta qui la chiave di volta del film, in quel detto e non detto che solo la fotografia può ispirare. Scarno nei dialoghi ma ricco di primi piani e di “viste” insistite della periferia di Milano, il film è aperto a più letture non banali, del tipo, ma come è brutta Milano o.. come è alienante viverci.
Il finale resta piuttosto aperto, per questo avremmo voluto porre alcune domande alla regista, ma non ne abbiamo avuto la possibilità.
Lo facciamo qui.
Claudia avendo scoperto finalmente una relazione con una persona umana, vuole andare a Kiev, incontro alle radici della sua amica per scoprire qualcosa di più o per dare un senso alla propria vita vuota e monotona?
Cosa farebbe Marina Spada per il “malato terminale” Milano, eutanasia o che cosa? Forse qualche parola in più nei dialoghi e qualche immagine di luoghi più identitari e meno anonimi avrebbe restituito una Milano meno “da scappare”, anche se non necessariamente “da bere”.