) Bellissimo il film “Come l’ombra” dell’esordiente Marina Spada, con attori sconosciuti. E’ il poema della solitudine dei singles in una grande città e (sia pure in controluce) della difficoltà di inserimento dei nuovi immigrati. Splendida la fotografia con una Milano grigia e livida sempre oscillante tra realtà e sogno (anche la stazione di Affori sembra peggio che nella realtà…). Di primo acchito il film non soddisfa la logica contenutistica e lo spettatore esce dal cinema ponendosi mille domande: perché Boris manda Olga dalla protagonista? Che progetto hanno? E come e perché muore Olga? Ma poi ci pensa e si accorge che di proposito la regista lascia insolute praticamente tutte le domande del film… per significare che a volte una persona sparisce dalla nostra vita e non sapremo mai come e perché. Bravissima la protagonista (se non fosse per il naso arriverei anche a trovarla carina da tanto mi è piaciuta), splendida, come ho già detto, la fotografia. Ad un’opera prima non credo si possa chiedere di più.
Ok la psicologia, ok la fotografia, ok l'interpretazione personale...ma manca di tutto il resto: una trama, senso logico. non dovrebbe lasciare tutto, ma proprio tutto, in sospeso!!!
quello che abbiamo colto alla fine della proiezione è che nessuno, e sottolineo nessuno, ha veramente capito cosa era andato a vedere!
quindi.... se qualcuno fosse tanto gentile da spiegare anche a noi cosa abbiamo visto stasera saremmo contente di allargare i nostri orizzonti e di non aver buttato via 15 €!
grazie a chiunque volglia toglierci da questo nostro stato d'ignoranza!
...è una grande opera, dai dialoghi alla fotografia, alla colonna sonora. Rappresenta Milano nella sua vera essenza, l'essenza quotidiana, l'essenza "popolare"...lo consiglio a tutti, e soprattutto a coloro che vivono a Milano.
Grazie Marina, mi hai regalato grandi emozioni!
Nel film di Marina Spada c'è solo l'ombra di quello che a mio parere dovrebbe essere un film.
Il film affronta il tema dell'insoddisfazione e monotonia di una ragazza milanese.
Volutamente lento, i rari dialoghi sono volutamente banali e senza spessore, la sceneggiatura è volutamente scarna.
La regia è interessante ed è l'inquadratura stessa insieme alle tonalità di colore e al rumore della città a dare senso al film.
- si dice che la regia debba essere al servizio della storia, ma quando è proprio la storia a mancare una buona regia a che serve?
Non si tratta di riconoscersi o meno nella Milano descritta o nella solitudine della protagonista, e nemmeno di tutti quei riferimenti che da ignorante io non ho colto. Penso che la regista abbia raggiunto il suo intento, ma si tratta di modo di vedere il cinema totalmente diverso dal mio.
Un film completamente aperto che, proprio per questo, arriva allo spettatore come chiuso in se stesso.
Film d’autore, presentato a Venezia quest’anno, ci propone temi duri e ci lancia segnali da leggere con molta attenzione: la vita di una donna sola Milano, Milano stessa, la immigrazione, le relazioni, il lavoro.
Marina Spada ha voluto raccontare la sceneggiatura che l’amico Daniele Magioni utilizzando le inquadrature fotografiche di Gabriele Basilico, le aveva offerto. Forse sta qui la chiave di volta del film, in quel detto e non detto che solo la fotografia può ispirare. Scarno nei dialoghi ma ricco di primi piani e di “viste” insistite della periferia di Milano, il film è aperto a più letture non banali, del tipo, ma come è brutta Milano o.. come è alienante viverci.
Il finale resta piuttosto aperto, per questo avremmo voluto porre alcune domande alla regista, ma non ne abbiamo avuto la possibilità.
Lo facciamo qui.
Claudia avendo scoperto finalmente una relazione con una persona umana, vuole andare a Kiev, incontro alle radici della sua amica per scoprire qualcosa di più o per dare un senso alla propria vita vuota e monotona?
Cosa farebbe Marina Spada per il “malato terminale” Milano, eutanasia o che cosa? Forse qualche parola in più nei dialoghi e qualche immagine di luoghi più identitari e meno anonimi avrebbe restituito una Milano meno “da scappare”, anche se non necessariamente “da bere”.