Sicilia, metà Ottocento, i moti garibaldini.
Pochi film come questo sanno rappresentare così bene un periodo storico, a cavallo di due mondi.
L'aristocrazia (il principe di Salinas) che deve lasciare il posto alla borghesia, per poter sopravvivere.
La malinconia di un mondo che cambia è ben rappresentata dalla recitazione elegantissima di Burt Lancaster, mentre il nuovo mondo che ne prenderà in posto è Don Calogero Sedara (Paolo Stoppa), ricchissimo proprietario terriero, che riesce, grazie a questo cambiamento, a dare in sposa l'unica, bellissima figlia, Angelica (Claudia Cardinale), a Tancredi (Alain Delon), il nipote prediletto del principe, unendo, in questo modo, il potere del denaro (la nascente borghesia) al titolo nobiliare (che senza questo cambiamento non può più sopravvivere).
Questo è il vero film di Visconti.
In esso troviamo tutte le caratteristiche di questo splendido regista.
Dentro un mirabile affresco storico, sono celati la storia di una decadenza, lo splendore di un vero amore, insomma, abbiamo la storia dentro la storia.
Il personaggio del principe di Salinas è memorabile.
Orgogliosissimo (come del resto tutti i siciliani), passionale, ancorato al suo mondo e, allo stesso tempo, consapevole che questo finirà, e che ci sarà un nuovo modo di vivere.
Da antologia il dialogo con l'inviato del nuovo governo, che tenta, inutilmente, di fare di lui un senatore.
"Noi fummo i Gattopardi, gli ultimi leoni. Saremo sempre il sale della terra, o almeno, continueremo a crederlo".
Questa è davvero la Sicilia.
Il nipote Tancredi è il nuovo che avanza, che non ha paura di esporsi, è la gioventù che ha tutta la vita davanti a sè, che sa guardare lontano, pur rimanendo fedele alle sue radici. Un Alain Delon agli esordi, e memorabile.
La bellissima Angelica è la femminilità, la bellezza tutta condita di passione e sensualità, una donna forte che saprà portare il suo sposo davvero lontano.
Ma su tutto grava una terribile malinconia, ed è quella del principe di Salinas che, nel corso di un sontuoso ballo, vede sfumare, davanti a sè, il suo mondo, quel mondo per cui ha vissuto, e quindi è pronto a morirne.
Film sontuoso, psicologico, storico.
Questa trasposizione cinematografica dello splendido libro "Il Gattopardo" di Tomasi di Lampedusa è uno dei pochi casi che rende onore al libro stesso.
Ed ecco quello che dovrebbe essere il cinema. Insegna, appassiona, commuove.
E ci sa lasciare qualcosa dentro. La sensazione di essere stati avvinti, per tre ore, da uno spettacolo formidabile.
Lo splendido insegnamento del cinema veramente serio.
Visconti illustra il passaggio della Sicilia dai Borboni ai Savoia. La sfarzosa messinscena mostra con senso critico e cinismo i mali della mentalità immobilista e trasformista rappresentata dal "bisogna che tutto cambi, perchè tutto rimanga come è". Un ottimo affresco storico con belle scene di insieme, splendide fotografia e regia.
E' quanto meno singolare che sia un esponente dell'aristocrazia milanese un così degno rappresentante della sicilianità, della sua aderenza ad un modo di essere "società" che parrebbe morto e seppellito. Ma é forse nella "differenza" di Luchino Visconti, politicamente così vicino a quelle idee comuniste o libertarie che auspicavano la caduta del dominio feudale prima e borghese poi ed umanamente così distante dalla presunta virilità siciliana prima ed italiana poi, essendo lui un omosessuale.
E probabilmente nell'oscurità nella quale era obbligato a manifestare la sua sessualità ha imparato a riconoscere vizi e miti prima ancora che si rendessero espliciti. Resta con questo film il frutto di una intelligenza raffinata e colta, mai fine a se stessa ma sempre esattamente calibrata sulle situazioni che si volevano narrare.
Manca in lui quella vena di aperto anticlericalismo così presente nell'altro gigante del cinema italiano, Federico Fellini, ma il suo messaggio é - purtroppo- ancora oggi in un clima di tentata riappropriazione da parte del clero della coscienza civile degli italiani più che mai attuale.
Un grande film dedicato ad un Risorgimento ancora tutto da compiere.