Film al molto al femminile che mi fa essere d’accordo con la recensione di Elisa Giulidori, ma ricco anche di altri spunti che aggiungono ancora qualcosa alla acclamata bravura di Almodovar nel rappresentare la vita e la morte attraverso l’universo e gli occhi di cinque donne. I due uomini, non a caso sono stati o sono traditori o stupratori ed hanno avuto la fine che meritavano......
Mi vorrei soffermare sul termine “Tornare” che è la chiave al film perché ha molti significati. Il primo tornare a vivere con i vivi dopo la morte, una impossibile circostanza riservata solo ai fantasmi o ai finti morti, tornare alle forti radici familiari dopo averle recise per incomprensioni, malintesi o dolori, tornare nei luoghi dell’infanzia, nel boschetto con il lago dove Raimunda andava con i suoi e dove seppellisce il marito, infine, come suggerisce la Giulidori, tornare alla origine della vita il sesso femminile, che in “Parla con lei” era stato rappresentato in una dimensione straordinaria e di plastica tale da accogliere…… uno dei protagonisti.
La citazione ad Anna Magnani, tratta dal film Bellissima è un omaggio al cinema italiano, ma si presta anche ad un confronto, tra due epoche e due mondi molto diversi, quello del cinema del dopoguerra e quello di oggi: nel nostro neorealismo i protagonisti soffrivano per ragioni esterne e lontane, la guerra appena finita, la fame, il lavoro, la disperazione per vittime innocenti, ragioni che poco hanno a che fare con qualsiasi forma di ironia, per le donne del nostro film invece le relazioni sono tutte “interne e vicine” al loro mondo, al loro quartiere e nel momento in cui la tensione ed il dramma si allentano, esse si sciolgono come neve al sole nella leggerezza e nella voglia di vivere.
Lento e noioso in gran parte; suscita un minimo di interesse nella parte finale. Netto è il contrasto tra l'ambientazione nel degrado e la..... improbabile grande solidarietà delle donne. Da non consigliare! E' una conferma della generale scadente produzione cinenatografica 2006
Bello, intenso , emozionante, surreale quel tanto che basta, ironico.Fin dall'inizio si riconosce la mano di Almodòvar che ti porta, al di là della storia, a conoscere e ad amare incondizionatamente le sue donne. Splendida la Cruz diretta dal suo Maestro, intensa e scarmigliata come la Loren e la Magnani degli anni cinquanta, interpreta Raimunda, donna forte e dura fino all'incontro con la madre che la scopre dolcissima e fregile. Bellissime le figure delle altre donne , anche le vicine di casa. Complicità e aiuto tutto al femminile che riescono a far superare anche le più atroci mostruosità. Almodòvar alla grande.
Il “ritorno” di Almodovar alla commedia coincide con la necessità per molti artisti di recuperare qualcosa dall’epoca d’oro della loro creatività, gli ormai “mitici” anni 80. Stiamo vivendo una fase dove passata la sbornia della frenesia da “terzo millennio”, la cultura cinematografica, ma anche quella discografica ed artistica in genere sembra necessiti di un riepilogo, e di un repechage di simboli e contenuti, presi magari da un’ epoca controversa ma pur sempre caratterizzata dall’esplosione di una ben definita creatività.
Almodovar esordì negli anni 80 con Donne sull’orlo di una crisi di nervi, alla quale fecero seguito alcuni gustosi sprazzi di commedia sui generis che lo fecero additare ai più come l’uomo nuovo del cinema spagnolo e “ottantino”. Successivamente il suo stile e il talento crebbero in eleganza e profondità, fino ad arrivare al suo Masterwork: Tutto su mia madre.
Le pietre miliari dei suoi films sono l’originalità del testo, spesso spaccati impietosi di un inquieto vivere nascosto ai media politicamente corretti; i riferimenti al cinema anni 50, agli anni d’oro della speranza che si contrappone alla dura realtà della Guerra e del dopoguerra, ai grandi artisti dell’epoca (dell’amore per Anna Magnani e Sophia Loren vi sono testimonianze continue) e soprattutto la capacità impressionante di scovare o utilizzare artisti di talento (in Volver “recupera” alla bellezza loreniana la Penelope Cruz da lui lanciata anni fa) caratteristici, unici, spesso quasi inconcepibili al di fuori del contesto nel quale vengono fatti vivere.
Tutte queste caratteristiche riaffiorano con rinnovato vigore in Volver. L’idea del ritorno di Almodovar non è legata tanto alla riapparizione, quanto alla continuazione del viaggio, della vita. Carmen Mauro “ritorna” alla conoscenza degli altri, ma per qualcuno è rimasta ben presente, anche se in forme nascoste o clandestine. Come sempre, l’ essenza laica di Almodovar sfugge al ritornello del buono-cattivo e del giusto-sbagliato. Per lui non è importante il cosa si fa, quanto il perché lo si fa. Il regista spagnolo è un dissidente naturale, intimo, un anticorpo generato da una delle società più canoniche e clericali del mondo forse a difesa degli stessi principi di libertà per i quali tutti dichiarano a voce alta d’essere pronti a battersi, con la stessa velocità con la quale poi si piegano a occhi bassi all’uniformismo imperante del politicamente e culturalmente corretto.
Il Volver di Almodovar invece va ancora una volta controcorrente. E’ una scoperta del ritorno come prosecuzione della presenza nascosta, come pure la testimonianza di un diverso sentire, nella intuizione che gli avvenimenti contengano nella loro natura “accidentale” una cadenza ritmica e circolare, dove ciò che accade assomiglia sempre più a quello che è accaduto, lo recupera, lo rinnova.
E in questo contesto la maestria di Almodovar fa sì che il film scorra con non chalanche verso una fine che altro non è che un nuovo giro di giostra, quella meravigliosa giostra della vita e del cinema dalla quale verrebbe voglia di sperare Almodovar non scendesse mai.
sono rimasta incantata per tutta la durata del film a godere di ogni particolare e nel riconoscermi in ognuna di quelle magnifiche donne di Aldomovar, che ringrazio moltissimo per la bellezza del suo lavoro ma soprattutto per la considerazione e il risalto che da ognuna di noi