Un plauso alla regista danese Susanne Bier e agli attori per come sono riusciti a rappresentare in maniera drammatica e coinvolgente una storia, se vogliamo, non proprio nuova: lui dato per morto in guerra e invece salvato dalla prigionia e ritornato dalla famiglia. Ma il senso del film sta nel dramma psicologico di un uomo, classico 'bravo ragazzo', costretto a un'esperienza terribile durante la prigionia da lui trascorsa sognando di ritornare agli affetti di moglie e figlie; invece, la sua personalità ne viene talmente sconvolta che la famiglia lo considera come un estraneo.
Per questo film sceneggiatura secca, essenziale e regia impeccabile, capace di cogliere e rappresentare i momenti importanti senza dilungarsi e senza sminuirli.
Completamente fuorviante il titolo italiano di questo film, meglio l'originale danese 'Brodre' (Fratelli).
Questo film, come ogni buon film, è riuscito a farmi porre questa ed altre domande. Qual'è il limite umano per cui "il fine giustifica i mezzi"? Quanto vale la propria vita e la propria felicità? Ognuno può trovare la risposta dentro di sè, ma questo film ti aiuta a far affiorare il problema. Molto bravi gli attori nell'impersonificare soggetti reali, non stereotipi. Complimenti alla regista per l'intensità delle scene.
P.S. Tuttavia,questo film mi ha sollecitato anche un'altra domanda: chi sarà lo "spacciatore" di colui che ha deciso di dare questo titolo italiano al film? Ma almeno lo ha visto da sobrio prima di sconodare uno dei dieci Comandamenti?
Il titolo è tato tradotto malissimo, "Brothers" - "Fratelli" ci stava molto meglio, mentre la traduzione devia il messaggio del film.
A me è piaciuto molto di più il suo ultimo film "Dopo il matrimonio", questo invece non è stato realizzatto bene, molte le cose non credibli, dall'inaspettata pazzia del protagonista ai sorrisi di sua moglie.
Inoltre troppo lungo. (voto 6.5, ma non c'è e metto 6)
Concordo appieno con le precedenti recensioni, bel film tradotto in italiano davvero malissimo, forse perchè di Brothers in giro ce ne sono già troppi. Comunque, tutto sommato un buon film, che però non spiega troppo bene la vita dei personaggi, della loro storia familiare, dei rapporti padre-figlio/a (quindi compreso anche il nonno). Forse troppo lento in alcune scene, ma ugualmente godibile. Belle le musiche, bravi attori.
La regista danese Susan Bier (The One and Only, Open Hearts),
in questo film, premiato dal pubblico del Sundance Festival 2005, racconta la storia di due fratelli (infatti, il titolo originale è Brothers, e non apriamo parentesi sulla traduzione scelta dal distributore italiano): il maggiore, soldato in guerra, viene preso prigioniero e creduto morto dai familiari; il minore, appena uscito di galera, dove scontava pena per rapina a mano armata, si prende cura delle figlie e della moglie di michael, con la quale sboccia una platonica storia d’amore. Ma la sceneggiatura nasconde ben altri intenti: non ultimo dichiara l’avversione contro la Guerra. Quale uomo, per quanto addestrato, può essere pronto ad affrontare gli orrori della battaglia? Evidentemente nessuno, come dimostra Michael, considerato da tutti un uomo “modello”, e che invece compie un atroce delitto. I ruoli si invertono, il buono diventa il cattivo,violento, in comunicativo; al contrario, l’ex galeotto riscatta con l’azione ciò che gli altri pensavano id lui.
Nella vita umana i valori assoluti non esistono, i giudizi inappellabili non reggono: buono e cattivo, vero e falso mutano, si intersecano e si invertono. I personaggi ( tra gli attori, tutti molto bravi, spiccano Ulrich Thomsen, Connie Nielsen, premiati per la migliore interpretazone al festival di San Sebastian) vengono indagati con camera mobile su dettagli del volto, mettendo a fuoco il viso e sfocando lo sfondo, incorniciandoli in una caravaggiesca luce chiaroscurale.
La catarsi finale di michael, dopo la profonda crisi,dimostra ancora la possibilità della svolta, in un “happy end” affatto scontato, di un bel film sulla vita.