Ho letto con piacere ed ammirazione la tua recensione. Appassionata e coinvolgente, quasi più del film!
Scherzi a parte, se non ci si aspetta un film "forte" a base di sesso, droga e rock & roll si può godere dell'ottima recitazione.
Son d'accordo sostanzialmente con le stroncature...Un lungo e un po' frastornante girovagare della protagonista alla ricerca di se stessa,dell'amore del figlio e di imprimersi un ricordo tangibile per non dimenticare il suo compagno, il tutto intervallato da qualche pasticcata, qualche jam-session e da qualche dialogo sottilmente lesbo (...chic). Alla fine il migliore degli attori con la sua sincerità è proprio il bambino gli altri hanno una recita troppo da telefilm. Un voto in più per la bellissima colonna sonora e mi ha molto stupito la presenza di canzoni stile mazzy star che è uno dei miei gruppi indie preferito. Voto 5 e mi scusino i Mazzy e Hope Sandoval :)
Avendo apprezzato precedenti opere di Olivier Assayas e dato che nei cinema i buoni film vengono fatti circolare 1-2 settimane al massimo x lasciare spazio a prodotti pessimi,sono corso a vederlo da solo.quando sono uscito ne sono rimasto piacevolmente soddisaftto:si tratta di un bel film,ben fatto,bne diretto,ben interpretato,Maggie Cheung è bravissima,e mi sento di consigliarlo a tutti.la storia è semplice ma mai banale o stereotipata come si vede spesso,i dialoghi sono riusciti e la fotografia azzeccata;si partecipa alla vicenda della protagonista senza sentirsi raggirati o impietositi da facili trucchetti,le musiche sono perfette,il risultato è un film che merita totalmente
'Clean', pulito, è il contrario di 'junkie', tossico. Non è soltanto questione di droga, ma, soprattutto, di immagini. Come è possibile ripulire il corpo (filmico) dai veleni sintetici, dai fumi industriali, dalle reti imprigionanti di una dipendenza fisica ed economica? Come è possibile riconsegnare il cinema alla sua purezza visiva, alla sua libertà narrativa, alla sua indipendenza? Questi i quesiti che interessano davvero Olivier Assayas. Sotto, e dentro, la storia di Emily (una Maggie Cheung frastornante), vedova eroinomane che cerca di disintossicarsi per recuperare il piccolo Jay, spinge un’altra urgenza: quella di liberare il cinema dalle regole ammorbanti dell’industria dello spettacolo e restituirlo allo scavo limpido, cristallino dei sentimenti. Il cineasta francese ci riesce. Alla perfezione. Gira con un’eleganza figurativa ed una padronanza dei tempi drammatici da stordimento. Riduce le riprese in continuità ed i piani sequenza, sue cifre stilistiche, frammentando l’azione e concentrandosi sui dettagli marginali, particolari leggermente decentrati che illuminano il senso della situazione con chiarezza folgorante. Spalleggiato dal direttore della fotografia Eric Gautier, dà vita ad un universo visivo straordinariamente mobile, pulsante, capace di aderire simbioticamente all’orizzonte esistenziale dei personaggi come di allontanarsi improvvisamente dai loro corpi, dipingendo squarci di disperante estraneità. Filma i dialoghi declinando lo schema del campo/controcampo con una sensibilità stupefacente, riuscendo ad entrare immancabilmente nelle pieghe emotive del momento e a scavare con sofferta lucidità nelle cicatrici interiori dei caratteri. E riceve da Nick Nolte, nei panni di Albrecht, una tra le più intense, profonde e toccanti interpretazioni attoriali che abbiano mai impressionato una pellicola. Il cinema è di nuovo puro. Clean.