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Uzak

Opinioni presenti: 5
Media Voto: Media Voto: 7 (7/10)

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Una lunga fotografia dei sentimenti

(8/10) Voto 8di 10

Le immagini sono tante cartoline, piene di colori, sfumature dove il regista proietta l'immensa solitudine dei personaggi, l'aridità del vissuto. Una storia realizzata per pensare a ciò che abbiamo, a come lo viviamo, a come ci stiamo allontanando gli uni dagl'altri .. e come alla fine la solitudine incombe con il suo grigiore, con la nebbia che opprime il cuore. Questo colpisce di questo fotografico film, la corrispondenza tra l'animo di chi vive e tutto ciò che c'è intorno, in sintonia corale.



Olivia, 31 anni, Gaeta (LT).




Film di riflessione

(8/10) Voto 8di 10

Uzak è molto particolare e per questo è difficile dare un giudizio ben definito. Premetto subito che vedere questo film non è una passeggiata,in quanto privo di musiche e inoltre la macchina da presa è spesso ferma su un immagine per alcuni minuti di assoluto silenzio. Detto questo, passo ai numerosi aspetti positivi. I due attori (uno di loro premiato come miglior attore a cannes 2003) sono meravigliosi, reggono in piedi il film con le sole loro espressioni, capaci di farti capire ogni stato d'animo e i caratteri opposti dei personaggi. La fotografia d'autore coglie con maestria una Istanbul malinconica, innevata e non del tutto ospitale che in un certo senso riflette la vicenda umana dei protagonisti. La storia non ha un intrigo particolare ed è povera di dialoghi articolati ma è del tutto realistica, per questo il regista tiene a mettere in particolare evidenza i sentimenti, gli stati d'animo, l'inconscio e i modi di reagire alla realtà che li circonda dei due grandi protagonisti, bellissimo film di riflessione.



Davide, 14 anni, Milano (MI).




Neve e silenzio

(8/10) Voto 8di 10

Due cugini si "ritrovano" in una meravigliosa ed irriconoscibile istanbul ,splendida cornice per l’ambientazione di una storia come quella del film > una storia fatta di solitudini e silenzi , di ritorni e partenze, di incompatibilità caratteriali che risulteranno essere il metro di lettura del modo di essere dei due personaggi la neve su istanbul sembra rendere ancora più sommessi i silenzi di mahmut e yusuf cugini divisi tra istanbul e l’entroterra turco, divisi da vite differenti ma ,accomunate da una poetica e silenziosa malinconia, leit motiv del film ad evidenziare e porre l’accento su una meravigliosa fotografia ,sono tempi lunghi, dilatati , patrimonio di un cinema d’oltralpe ; l’assenza dei dialoghi o la sua riduzione ai minimi termini come per le musiche non può che rendere tributo alle riprese e le inquadrature che diventano a loro volta, dialogo e colonna sonora stessa, della pellicola .non ci si deve stupire nella scelta di un taglio del genere, dati i trascorsi da fotografo di nuri bilge ceylan il film a mio avviso svela come , anche il silenzio, possa essere un sentimento



Valerio, 27 anni, Napoli (NA).




Una palla

(4/10) Voto 4di 10

Sono un appassionato di d'essai ed ho noleggiato questo film con la solita curiosità verso le sensibilità e le filmografie di paesi distanti e poco conosciuti.un disastro.in questo film non accade mai niente,nulla,noiosissimo.dobbiamo salvarlo solo per la fotografia?c'è di meglio da vedere per descrivere il dramma di un'esistenza vuota come quella del fotografo o il disagio del cugino disoccupato. peccato,ma per me è una bufala.



Stefano, 36 anni, Rimini (RN).




la differenza ad Instanbul

(7/10) Voto 7di 10

Ecco Instanbul, città di uomini malinconici. Luogo di occhi che vi si appoggiano, senza potervi entrare, scivolando come la neve che cade e ottunde. Città che si riconosce appena, con la sua orientale bellezza silenziosamente soffocata. Le sue navi vanno e vengono mentre chi resta, resta in mezzo alla desolazione. E questa è la vita ad Instanbul: essere diventati qualcuno che non si conosce e non si ama. Essere spettatori di esistenze altrui, da sfiorare a stento prima che si dissolvano. Ci si attacca a ciò che è perso, con la sofferenza di chi non si commuove più della bellezza che pur sa riconoscere. E allora non resta che indugiare nei pensieri, unica dimensione che, malgrado tutto, vive libera e insopprimibile. La macchina da presa di N. B. Ceylan, Gran Premio Cannes 2003, entra nella vita dei due protagonisti, il fotografo e il cugino venuto dal paese, con l’unità poetica di chi è anche sceneggiatore e direttore della fotografia. Si concentra sull’ineffabile e l’inesprimibile, dando voce spietata, indifferente, malinconica, inquieta a ciò che pur avrebbe potuto essere, ma non è stato e forse non sarà mai. Nella sofferenza di questa consapevolezza e, quindi, nella possibilità dell’amore, la differenza non è poi tanta.



Cristina, 27 anni, Roma (RM).





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