Le immagini sono tante cartoline, piene di colori, sfumature dove il regista proietta l'immensa solitudine dei personaggi, l'aridità del vissuto. Una storia realizzata per pensare a ciò che abbiamo, a come lo viviamo, a come ci stiamo allontanando gli uni dagl'altri .. e come alla fine la solitudine incombe con il suo grigiore, con la nebbia che opprime il cuore. Questo colpisce di questo fotografico film, la corrispondenza tra l'animo di chi vive e tutto ciò che c'è intorno, in sintonia corale.
Uzak è molto particolare e per questo è difficile dare un giudizio ben definito.
Premetto subito che vedere questo film non è una passeggiata,in quanto privo di musiche e inoltre la macchina da presa è spesso ferma su un immagine per alcuni minuti di assoluto silenzio.
Detto questo, passo ai numerosi aspetti positivi.
I due attori (uno di loro premiato come miglior attore a cannes 2003) sono meravigliosi, reggono in piedi il film con le sole loro espressioni, capaci di farti capire ogni stato d'animo e i caratteri opposti dei personaggi. La fotografia d'autore coglie con maestria una Istanbul malinconica, innevata e non del tutto ospitale che in un certo senso riflette la vicenda umana dei protagonisti.
La storia non ha un intrigo particolare ed è povera di dialoghi articolati ma è del tutto realistica, per questo il regista tiene a mettere in particolare evidenza i sentimenti, gli stati d'animo, l'inconscio e i modi di reagire alla realtà che li circonda dei due grandi protagonisti, bellissimo film di riflessione.
Due cugini si "ritrovano" in una meravigliosa ed irriconoscibile istanbul ,splendida cornice per l’ambientazione di una storia come quella del film >
una storia fatta di solitudini e silenzi , di ritorni e partenze, di incompatibilità caratteriali che risulteranno essere il metro di lettura del modo di essere dei due personaggi
la neve su istanbul sembra rendere ancora più sommessi i silenzi di mahmut e yusuf cugini divisi tra istanbul e l’entroterra turco, divisi da vite differenti ma ,accomunate da una poetica e silenziosa malinconia, leit motiv del film
ad evidenziare e porre l’accento su una meravigliosa fotografia ,sono tempi lunghi, dilatati , patrimonio di un cinema d’oltralpe ; l’assenza dei dialoghi o la sua riduzione ai minimi termini come per le musiche non può che rendere tributo alle riprese e le inquadrature che diventano a loro volta, dialogo e colonna sonora stessa, della pellicola .non ci si deve stupire nella scelta di un taglio del genere, dati i trascorsi da fotografo di nuri bilge ceylan
il film a mio avviso svela come , anche il silenzio, possa essere un sentimento
Sono un appassionato di d'essai ed ho noleggiato questo film con la solita curiosità verso le sensibilità e le filmografie di paesi distanti e poco conosciuti.un disastro.in questo film non accade mai niente,nulla,noiosissimo.dobbiamo salvarlo solo per la fotografia?c'è di meglio da vedere per descrivere il dramma di un'esistenza vuota come quella del fotografo o il disagio del cugino disoccupato.
peccato,ma per me è una bufala.
Ecco Instanbul, città di uomini malinconici. Luogo di occhi che vi si appoggiano, senza potervi entrare, scivolando come la neve che cade e ottunde. Città che si riconosce appena, con la sua orientale bellezza silenziosamente soffocata. Le sue navi vanno e vengono mentre chi resta, resta in mezzo alla desolazione.
E questa è la vita ad Instanbul: essere diventati qualcuno che non si conosce e non si ama. Essere spettatori di esistenze altrui, da sfiorare a stento prima che si dissolvano. Ci si attacca a ciò che è perso, con la sofferenza di chi non si commuove più della bellezza che pur sa riconoscere. E allora non resta che indugiare nei pensieri, unica dimensione che, malgrado tutto, vive libera e insopprimibile.
La macchina da presa di N. B. Ceylan, Gran Premio Cannes 2003, entra nella vita dei due protagonisti, il fotografo e il cugino venuto dal paese, con l’unità poetica di chi è anche sceneggiatore e direttore della fotografia. Si concentra sull’ineffabile e l’inesprimibile, dando voce spietata, indifferente, malinconica, inquieta a ciò che pur avrebbe potuto essere, ma non è stato e forse non sarà mai.
Nella sofferenza di questa consapevolezza e, quindi, nella possibilità dell’amore, la differenza non è poi tanta.