Il personaggio fa tenerezza perché è un grande pittore, un antico maestro-toscano-manierista, che tuttavia non ricerca né il successo né il denaro (per accumulare il quale - dichiara infatti il Pontormo - ci vuole una tal vocazione...) - L'attore protagonista, Joe Mantegna, è bravissimo, ben equilibrato e calibrato nelle sue sentenze verbali come nell'espressività silente degli occhi. Occorre vedere questo film più e più volte, magari anke solo per frammenti, per rendersi conto a più riprese, di kosa significhi provare a calarsi nei panni di un Pontormo! Credo che l'anziano regista Fago (settantenne nel 2003, quando questo "Pontormo" fu realizzato) abbia così coronato, con indubbi e anomali sforzi, la propria carriera semiclandestina e un po' appartata, e semioscura (ha girato ben 30 film come aiuto-regista). Credo altresì che questo film resisterà nel tempo, perché essenzialmente risulta scaturito da una matrice di forza interiore (quella dell'istintivamente stoico Pontormo e dell'attore che lo impersona; il regista Fago, in tal modo e in tal senso, avrà oltretutto per anni meditato - di riscattar sé stesso da un mondo fallace e illusorio come quello - che ben conosce -dello spettacolo).
Gli ultimi anni della vita di Jacopo Carucci da Pontormo sono discretamente descritti nella pellicola diretta da Giovanni Fago. Si nota una certa ricercatezza nel tentare di riproporre (in modo sufficientemente apprezzabile) il modus vivendi dell'epoca, attraverso bei costumi e location azzeccate. I dialoghi sono a tratti traballanti e a volte molto interessanti, in particolare quelli declinati sulla pittura, la scultura e l'arte in genere. Joe Mantegna, benchè non sempre supportato da una sceneggiatura incisiva, mi è parso a proprio agio nei panni dell'artista, regalando momenti di coinvolgente interpretazione. Ciò che meno convince, invece, è, a mio parere, la regia, a tratti legnosa e poco fluida. Nel complesso, il film risulta un pò ostico, data la quasi assenza di trama e, come detto, alcuni dialoghi poco convenzionali, e monotono, ma bisogna anche render giustizia a chi ha avuto il coraggio di portare sullo schermo un artista difficile e ai più poco conosciuto. Per una volta, forse, non c'è da storcere il naso nel leggere che la pellicola è stata prodotta anche con fondi del Ministero dei Beni Culturali.
Pontormo - olga di comite
non era facile affrontare tale personaggio in un film. ci ha provato il regista giovanni fago con l'opera uscita in questi giorni. il periodo preso a soggetto è quello degli anni della tarda maturità, quando jacopo carucci, su commissione del duca cosimo dei medici, è impegnato negli affreschi del coro di san lorenzo, che non porterà a termine. il suo giudizio universale, concluso dal bronzino, amico ed allievo, verrà distrutto nel 1738 su ordine dell'ultimo esponente dei medici. a film finito, si può dire che delle cose importanti c'è tutto: la visione a volte allucinata del pontormo, l'esasperante lentezza nel lavoro, la concezione religiosa combattuta tra ortodossia ed echi savonaroliani, il tratto ispido e solitario del personaggio, il culto per la libertà dell'artista. eppure l'opera, così ambiziosa e minuziosa negli ingredienti, risulta scarsamente emozionante, intrinsecamente ripetitiva, così come poco espressiva appare l'interpretazione di joe mantegna. la narrazione poi è lenta e monotona: primi piani alternati, dialoghi arruffati e incolori, luoghi rinascimentali poco valorizzati, ricostruzione d'epoca attenta ma troppo povera. la musica di pino donaggio infine, con toni pseudosacri di maniera, risulta invadente.
in sintesi la storia racconta l'elaborazione difficile dell'opera tarda del maestro e mette in risalto l'episodio di una fanciulla (galatea ranzi) accusata come strega dall'inquisizione e difesa dalla testimonianza del pontormo, sia per essere in pace con la propria coscienza, sia perché se ne è invaghito in silenzio. qua e là qualche scena di genere sulla vita del tempo, alcune pennellate sulla situazione storica per spiegare l'opportunismo di sempre della politica, con un occhio al peso crescente dell'inquisizione. rimangono comunque impresso il colorismo ricercato e personalissimo del pittore, percorso da colori acidi, esplosivi, quasi tattili, le sue composizioni in equilibri difficili e strani, il naturalismo che in alcune opere denuncia la forte tensione interiore dell'uomo e le sue angosciose domande. queste ultime, per la problematicità, a volte ambigua, verso ciò che l'ha preceduto e per i dubbi sui tempi che cambiano, sono molto simili alle nostre.