Concordo con Lino forse ridondante ma senza dubbio tocca alcune corde fondamentali dell'essere umano. Solo il sapere , la cultura possono salvare , possono contrastare il sonno della ragione che ha generato e genera mostri . E nei campi di sterminio le vittime vedevano i loro carnefici che spesso le usavano per il loro piacere essenzialmente da un punto di vista sessuale. Qui invece , anche forzatamente , vengono messi in risalto altri aspetti , insomma a me è piaciuto e lo consiglio soprattutto ai giovan.
Non mi ha convinta affatto questo film, se devo essere sincera. Sono appassionata alla filmografia della shoah e non perdo mai una sola pellicola del genere. Non so, ma trovo che i dialoghi siano stati studiati a tavolino, non c'è nulla di spontaneo. Ogni termine è programmato, selezionato, pomposo, impreziosito. I discorsi filosofeggianti deprezzano il vero protagonista del film:l'Olocausto.
La trama ruota intorno al concetto di arte,prendendo spunto dalla frase del tenente aguzzino"Ho capito che gli Ebrei sanno fare tante cose, oltre al mercanteggiare" E infatti è travolgente la voce meravigliosa da soprano di una deportata, che mette decisamente i brividi addosso. Le tele di famosi pittori vengono invece salvate dalla "distruzione", solo grazie al servo ungherese, che sfoggia una cultura da critico, che Sgarbi in confronto è un dilettante! Colto, poliglotta, molto filosofo, il servo,interpretato da Andrea Renzi,detiene un ruolo intenso, ma a mio avviso un po' pesante. Troppo imperniato sulla filosofia di vita e meno sul suo ruolo di internato, è poco credibile. Nei lager gli unici pensieri fissi erano il pane e la sopravvivenza. Viene picchiato brutalmente dal maggiore delle SS August Dailermann ,per essersi intromesso in un discorso, rivolgendo la parola alla moglie. Ma dove sono i segni delle percosse? Ne esce indenne o cosa? Non un graffio, non un livido...mah Resto sempre dell'idea che finora mi ha convinta in assoluto solo "Senza destino", del regista Koltaj.Quello sì..che è un film sulla Shoah!
Autentica caporetto del cinema, il servo ungherese è uno dei peggiori film che abbia mai visto: regia e recitazioni da fiction tv (o peggio da soap opera), dialoghi assurdi e fuori luogo, scenografie da teatrino di provincia, personaggi caricaturali, e il tutto reso ancor più ridicolo dal tentativo del “regista” di dare maldestramente al film un’aria artefatta di profondità e impegno che invece si traduce solo in lentezza e noia.
quando il protagonista si lascia andare con fervore con suoi monologhi sull’arte, assomiglia molto di più a un vittorio sgarbi in erba che non a un prigioniero di un lager. franziska dal canto suo, presentata come un’edonista ignorante senza sensibilità artistica, osserva il servo incantata e, come per magia, dopo queste lezioni, apprezza quadri che trenta secondi prima aveva definito croste orribili o rimane folgorata dalla bellezza di antiche poesie greche recitate di punto in bianco dal servitore saccente. anche il direttore del campo è un personaggio con reazioni contraddittorie: pesta a sangue l’ungherese perché ha rivolto la parola alla compagna e poi non batte ciglio quando questi con un occhiataccia gli dice con tono sprezzante “anch’io ho un nome”. il tenente delle ss è invece l’incarnazione stereotipata del nazista freddo e sanguinario visto in mille film.
in mezzo a tante ingenuità c’è anche qualche concetto valido: l’artista come continuatore ed erede di un percorso portato avanti dall’umanità prima di lui, il senso soggettivo dell’arte etc. etc. ma tali contenuti sono esposti male e in maniera involontariamente comica. vista l’incapacità di comunicare qualcosa con le immagini il regista avrebbero fatto meglio a scrivere un libro.