Ho visto il film solamente ieri sera in dvd. Probabilmente nei cinema della mia città non è mai stato proiettato. Non ne ho per niente letto sui giornali o forse mi sarà sfuggito?
Il film merita la visione, ha una bella storia, anzi potremmo dire due storie parallele, personaggi ben caratterizzati e un messaggio non superficiale.
Entrambi i protagonisti delle due storie, decidono di lasciare la propria terrà per raggiungerne altre, in ricerca di soldi e belle donne soprattutto. Durante il viaggio fanno degli incontri che li cambiano e decidono forse di ritornare sulle loro decisioni.
Non è necessario cambiare sfondo della propria quotidianità per essere felici e migliorare la vita. Basta anche il solo viaggio e un incontro fortunato a migliorarci. Tutto sommato un altro paese e solamente un nuovo sfondo, niente altro. Quello che ci renderà felice è altro.
MAGHI E VIAGGIATORI - Olga di Comite
Norbu, monaco buddista nonché assistente regista di Bertolucci ne "L'ultimo imperatore", mostra un'abilità tecnica e di ripresa - o personale o ereditata dal maestro - che lo rende autore meno semplice di quanto non voglia sembrare. Al neorealismo un po' smielato de "La coppa" (suo primo film) subentra in questa seconda prova (Cannes 2003 - Controcorrente) una garbata ironia, un realismo poetico non enfatico e non di maniera. Complice in questo il Buthan, sua terra d'origine, con una natura aspra e misteriosa o ridente e rigogliosa a seconda del contesto di cui fa parte, ma sempre vera, quasi da sentire odori e rumori. La storia è di per sé piana ed ingenua, ma il modo di raccontarla, il montaggio, l'intersecarsi di due epoche è abile e raffinato ed è la grammatica espressiva il collante che unisce il tono ieratico ed emblematico del racconto antico alla narrazione moderna. Sostrato comune alle due parti è poi la filosofia buddista che spinge a riflettere sui "paesi dei sogni" e sulla speranza "causa di sofferenza". Tra queste problematiche si muovono i due giovani che guidano l'intreccio del film, basato su due storie impostate come reciproco contrappunto tra ieri e oggi. Entrambi vogliono fuggire dalla realtà, ma al loro sogno si contrappone sottilmente la ricerca dell'equilibrio e dell'atarassia tipica della meditazione orientale. Come genere il film è un "on the road" d'inconsueta ambientazione e il protagonista può anche ricordare, fatte le dovute differenze, l'Albertone nazionale che posava ad americano. Il nostro personaggio orientale lo fa in toni meno caricaturali e più garbati, ma la sostanza è quella. Identica la mitizzazione di un mondo lontano e simile la pigrizia nell'affrontare sentimenti e problemi della realtà che li circonda. Come in ogni road movie che si rispetti, alla fine del viaggio nessuno sarà più lo stesso. Ad ognuno in misure diverse l'esperienza avrà aggiunto qualcosa. A chi abbia la passione per il cinema etno, certo stimolante e diverso dai nostri stereotipi, piaceranno anche alcuni accenni agli usi domestici, alla cultura popolare, all' arte della tessitura.
Dicevamo che si tratta di un viaggio e vediamo di chi. Sulle belle strade di montagna del Buthan si incontrano un giovane funzionario, un monaco buddista, un venditore di mele, un cartaio e sua figlia. Tutti provengono da sperduti villaggi e, avendo perso la corriera, proseguono un po' a piedi un po' con mezzi di fortuna. Dondup, il giovane amministratore, è diretto in America, dove lo aspetta la realizzazione del suo sogno, coltivato a furia di magliette "I love NY", scarpette da tennis, musica rock. Gli altri si fermeranno nella città più vicina, ognuno per le sue incombenze. Durante la notte accanto al fuoco, il monaco racconta l'antica storia di Tashi, uno studente di pratiche magiche, svogliato e sognatore anche lui. E' la forza del sogno l'elemento che unisce le due storie e le rende vibranti.
Non è solo un buon film che racconta e risolve con efficacia e poetica semplicità uno dei temi piu’ ancestrali dell’animo umano, ma e’ un buon film secondo la mia opinione anche dal punto di vista della regia. Realizza inquadrature sempre appropriate, capaci di enfatizzare nella giusta misura la storia che si racconta, ma senza eccessivi virtuosismi. Inoltre è splendida la fotografia. Vale la pena andare a vederlo, anche per la sorprendente ironia che questo regista di questo sconosciutissimo Bhutan mette a grandi dosi nei suoi film.