(Continua)...Si susseguono le chiamate, lo spostamento successivo di Anna ad un altro incarico estremamente umiliante ed evidentemente privo di utilità: la giustificazione dei fogli da fotocopiare. La voce esile, barcollante, che combatte senza convinzione con la brutalità di un passante, lo sguardo inquieto verso il fondo del corridoio e dritto di fronte a sè rendono Anna malata, instabile fisicamente eppure sempre più lucida. Inizialmente non le interessano i palesi soprusi dell'azienda. La sua constatazione più allarmata è rivolta al dolore annichilente dell'inoperosità forzata, alla riduzione del suo tempo, della sua persona al nulla riempito da ordini perentori eppure indiretti, inspiegabili.
L'attività lavorativa è trasposta nell'assurda inconsistenza di una pantomima grigiastra, connaturata con spiazzante e nauseante normalità alle pratiche, alle relazioni professionali.
Mentre la spossatezza della donna sovrasta la sua fermezza interiore la bambina inasprisce il suo malcontento, la sua insoddisfazione per non poter capire e aiutare la madre. La ragazzina rinuncia ai suoi impegni, si aggira tra la scuola, il supermercato, gli amici, la musica e il colore pacificatorio del suo quartiere, Piazza Vittorio a Roma: gallerie piene di sbocchi , opposte e complementari a quelle che anna è invece costretta a percorrere. Nel rapporto madre-figlia ricompare un germe di quell'emotività, soffocata dall'esterno, di quel calore che lo spettatore ricerca nella pellicola impassibile e fedele a sè stessa.
Intanto la donna, dopo l'ennesimo incarico provocatorio, che la pone a diretto contatto con un gruppo di operai agguerriti e ostili, che è costretta a controllare per "ottimizzare i tempi di lavoro", cade in una febbre continua, un languore possente posto come parete di fronte all'impossibilità di trovare una soluzione. Di fronte alla lettera di dimissione presentatagli da un clone ripulito dell'altro dirigente, la donna fugge indignata. E contatta un'associazione che, all'inizio della sua parabola discendente aveva tenuto un incontro nell'azienda proprio per esplicare i problemi del mobbing, della volontà spesso immotivata razionalmente di "eliminare" un dipendente in modo trasversale, ponendolo di fronte a una costante degradazione del proprio operato, della propria personalità, della propria persona fisica, e spingendolo al licenziamento o all'autoesclusione.
Capiamo da poche battute che Anna intenta una causa, e riesce a vincerla. Resta la curiosità, insoddisfatta dal film, di sapere come questa causa sia stata orchestrata, sofferta, superata. E resta la consapevolezza, per molti fastidiosa, esasperante all'uscita dalla sala(e quindi difficile da ammettere), di un'assoluta verità e capillarità del problema...(continua)
La Comencini sviluppa il suo film-documentario a partire dagli spunti, dalle immagini, dalle sonorità mutuate da un nuovo vocabolo entrato con prepotente inevitabilità nel nostro dizionario: mobbing, dall'inglese To Mob,assalire.Lo fa attraverso una storia che stupisce per la sua evidenza, la vicenda fortemente personalizzata eppure diffusa, visibile, di una donna sola, con una bambina decenne, che subisce gradualmente, al lavoro, un processo di discriminazione e reclusione.
Un'azienda privata, una come tante, nè peggiore, nè migliore. Anna, che vive nelle fattezze sommesse e stralunate di Nicoletta Braschi, forse l'unica attrice professionista del film, svolge un incarico aderente alle sue competenze: passa ore ed ore alla sua scrivania, ad archiviare pratiche, ad occuparsi di vendite nell'ufficio disordinato. Stremata, torna ogni giorno a casa da sua figlia, una bambina precocemente responsabilizzata, aggraziata nei modi ma dotata di uno spirito di osservazione profondo e quasi crudele. Morgana si accorge presto, forse anche prima di sua madre stessa, che qualcosa sta cambiando. La regista ci accompagna attraverso le passeggiate nei corridoi monocromo, enormi, oppure obliqui, schiaccianti indizi di una sorta di thrilling in ambiente professionale. I volti dei colleghi, scuriti, sorridenti, sfocati verso il fondo straniscono Anna, che invece è una macchia biancastra e fluttuante, persa nei suoi fogli, nella sua serietà incurante delle allusioni delle colleghe fintamente ingenue. Anna, da un giorno all'altro, viene convocata dal suo dirigente per l'assegnazione di compiti insensati, mai svolti prima. L'uomo ha un aspetto deformato dalla frontalità delle inquadrature, dagli occhi inizialmente stupiti della dipendente, dall'accento violentemente burocratico delle sue parole.
Una pratica importante è stata sottratta alla lavoratrice, e, come il "capo" dice, non è stato un caso. Anna verrà spostata alla ricerca in archivio, privata dell'ufficio caotico e già poco luminoso, privata dello strumento necessario al suo lavoro, il computer. Nelle panoramiche parziali l'ambiente aziendale è esplorato sotto una luce straniante, i colleghi sembrano ostacoli accerchianti, bocche e sguardi dissociati che emettono parole neganti, a doppio fondo. La recitazione di coprotagonisti e comparse, oltre che della stessa Braschi, esprime perfettamente il reale documentato: l'assenza generalizzata di patetismi, di incrinature nel pensiero, di partecipazione dominano il clima dell'edificio, che appare ancora più inabissato e serrato nella propria piccolezza...(continua)
Brava la Comencini, magistrale l'interpretazione della Braschi. Un film documento molto al di sopra di ciò che si vede in giro e con costi molto maggiori.
Dovrebbe essere trasmesso in TV al posto di tanti polpettoni che rimbambiscono le menti e raccontano il paese dei balocchi.
Il film è molto bello. nicoletta braschi è, come al solito, espressiva.
una sola critica: è un film irreale dtao che ho vissuto un'analoga esperienza di mobbing e nulla di quanto visto nel film si concretizza, soprattutto da parte del sindacato la cgil, nella quale ero iscritto da decenni e che se ne è completamente fregata di auiutarmi, anzi...ha aiutato il padrone !!!