Per chi ha conosciuto l'Argento "prima maniera", "Il cartaio" non sarà certo paragonabile a "Profondo Rosso" e "Suspiria". Si tratta però, se si tralasciano vari errori di sceneggiatura (scritta dal regista con Ferrini), presenti in molte opere di Argento, "Il cartaio" resta un bel thriller a ritmo serrato, appassionante fino all'ultimo minuto e discretamente interpretato dalla brava Stefania Rocca. Insolito il ruolo di Silvio Muccino, finalmente distaccato dal tipico "adolescente insicuro" dei film del fratello Gabriele, buone le musiche composte dall'ex Goblin Claudio Simonetti.
Ma questo è un film?!...Vogliamo smetterla una buona volta di definire Dario Argento il "mago dell'horror"? La sua magia si è persa un sacco di anni fa!
Il film nel suo genere funziona benissimo per 3/4 della sua durata. Il finale è però prolisso, troppi dialoghi con il serial-killer ormai smascherato e più che mai in forma per uccidere. Il film fa venire in mente le gelosie e le rabbie che nascono nei posti di lavoro dove si è a contatto con superiori autoritari e donne un po’ fuori dal loro ruolo domestico.
Dopo anni di permanenza e magari con qualche supposta ingiustizia nelle procedure di carriera in questi posti non possono non sorgere spesso fantasie negative caratterizzate dall'ostilità verso qualche collega. Dario Argento si cala perciò in una realtà credibile e il film potrebbe essere visto come una metafora forte di ciò che quotidianamente anima l'inconscio di un lavoratore delle istituzioni pubbliche frustrato.
La vendetta e il piacere omicida in questo film vengono visti come risultato psichico di una malattia presente in alcune istituzioni pubbliche quando esse non si pongono la questione di come favorire al proprio interno rapporti di dialogo veri e di umanità. Buona l'idea del poker telematico perché crea un rapporto con il serial killer più articolato e visivo, pur mantenendo aperti molti enigmi sulla sua identità, enigmi necessari allo svolgimento piacevole del racconto. A differenza dei vecchi film di Argento dove i dettagli che dovevano ipotizzare delle piste di ricerca erano sporadici e poco significanti lasciando delle pause nelle attese degli spettatori, questa opera non annoia sia per la ricchezza significante della via telematica del gioco del poker che per una sceneggiatura che osa esprimersi di più sui contrasti ambigui dei personaggi.
Anche se non del livello dei primi , ma erano anche altri tempi, il film si fa apprezzare per la storia abbastanza esclusiva e per la scelta di attori molto "normali".
Le scene più appassionanti non sono eccessivamente violente e quindi visibili a tutti. Il linguaggio non è volgare, la fotografia non fa ricorso ad effetti speciali inverosimili e la ripresa delle scene viste con l'occhio dell'assassino, seppur molto semplici, danno un buon ritmo alla storia. Nella assuluta mediocrità dei film di questo Natale 2003, una pellicola da vedere per gli appassionati del genere e non.
“Il Cartaio” è come un bottiglione di vino di pessima qualità: non solo è cattivo e si fatica a berlo tutto; il peggio è che il primo sorso ci dice come sarà il resto del bicchiere e dello stesso bottiglione. Il comportamento rispetto a una tale evenienza è semplice: se si è educati, non si sputa il primo sorso, però ci si rifiuta di bere il resto; oppure, per educazione o magnanimità, si beve il bicchiere e poi ci si astiene. Non sarei andato oltre il decimo minuto di film, se non mi fosse balenata l’idea di scrivere questa recensione; quindi mi sono anche divertito, se mi si passa l’esagerazione.
Accantonato l’horror, Argento ci riprova col thriller, e si premura di farci sapere che per mettere a punto l’idea di questo film ci ha messo addirittura un paio d’anni. Probabile che durante questo tempo le sue occupazioni principali siano state di altro genere, visto l’esito; o chissà, forse questo è proprio il meglio che il regista sa dare oggi.
Nei thriller c’è sempre un colpo di scena dietro l’angolo: qui non solo sappiamo già qual è l’angolo, ma anche quale sarà il colpo di scena. Non ve li svelerò, visto che li indovinerete tutti.
Ma il film dà il suo massimo nelle voci: se un merito ha “Il Cartaio” è quello di aver fatto il possibile e anche di più per accompagnare le immagini con dialoghi in bilico tra l’insulso e il prevedibile, con frequenti scivoloni nel patetico, raggiungendo l’apoteosi grazie al doppiaggio più scadente che mi sia capitato di ascoltare. E si tratta proprio un doppiaggio, ad opera degli stessi attori, che sul set avevano recitato in inglese. La qualità è così scarsa da affogare nel ridicolo. Tutti i B movies americani che tradizionalmente Rai 2 trasmette al sabato sera hanno doppiaggi molto ma molto più dignitosi. L’Oscar per il più grottesco va a Fiore Argento (ascoltare per credere), che il sadico Cartaio purtroppo lascia libera perché venga a tormentare noi con il racconto sulla sua prigionia. Ma una nomination non va negata a nessuno dei sedicenti attori, espressivi come copertoni, specialmente la misteriosa ragazza che attira in una trappola mortale Silvio Muccino (gli sta bene, così impara a fare l’attore). Dopo 20 minuti e 11 secondi – prego controllare - l’unica prova convincente è una serie di colpi di tosse, ben modulati e verosimili. E non scherzo.