Grandioso, terribile, unico. Un film di una violenza psicologica inaudita, sconcertante, che ci fa capire in quali incredibili abissi possa sprofondare una mente. Un film da comprare e da guardare almeno dieci volte per coglierne le sfumature. Un Ateuil da Oscar.
Una vita fatta di menzogne, una perenne fuga dalla realtà in lotta contro l’avversario più sfuggente, se stesso. E’ la storia vera di Jean Marc Faure (nella realtà Jean Claude Romand), che all’inizio degli anni ’90 sfociò in Francia in una delle più tragiche stragi familiari della cronaca europea. Il film della regista transalpina Nicole Garcia, “L’avversario”, ne ricostruisce l’incredibile vicenda, incastrando abilmente fra loro i tanti piccoli e grandi episodi che permisero al finto medico per oltre quindici anni di vivere una vita mai esistita. Una menzogna nata da un episodio apparentemente futile, il mancato superamento di un esame universitario, ma che aveva finito per segnare la vita di un uomo da quel momento in poi alle prese con le perenni contraddizioni della sua mente. Un uomo che aveva cominciato a non accettare il suo primo, piccolo fallimento, finendo per trascinare con sé in quelli successivi tutte le persone che si trovavano sulla sua strada. Moglie, figli, parenti, genitori, amici. Tutti vedevano in Jean Marc una persona felice, un professionista affermato, un padre affettuoso. Ed è quello che Daniel Auteuil, che lo interpreta, mostra con straordinario talento anche allo spettatore ignaro, che scoprirà a poco a poco l’incredibile verità. Ma la cosa forse peggiore è che a essere travolto da tutto questo è proprio Jean Marc (o Jean Claude nella realtà), i cui atteggiamenti psicotici finiranno per armare la sua mano con freddezza e glaciale violenza. Jean Marc non poteva sopportare l’idea che le persone a lui tanto care potessero vederlo dopo tanti anni come una persona così diversa. Ed è per questo che le uccide. Nessuna traccia, nessun ricordo doveva rimanere di quella grande menzogna che aveva segnato tutta la sua vita. Il vero avversario contro il quale aveva da sempre combattuto, finendo per restarne irrimediabilmente schiacciato.
Bravo l'attore Daniel Auteil, per il resto la storia vera riportata fedelmente in questo film (così almeno ho letto) mi ha lasciato sconcertato. Il film comunque non mi è piaciuto per nulla.
Penso che la grandezza di questo film sia nel rappresentare come il mondo di oggi voglia solo apparenza. Esisti se appari ed hai successo se appari potente. Non importa poi che tu non lo sia. La sindrome dell'apparenza che abbiamo trovato anche nel film "American Psycho" dove alla fine tutti possono essere tutti.
I tempi del film dettano benissimo l'ansia e l'angoscia di questo tipo di vita.
Curiosità: Ma chi è quel ragazzo col passamontagna che corre sulla neve e che si rivede nella foto a casa della madre?
La miglior battuta: Lui che tutto sudato chiede una "mezza bottiglia di Champagne" al ristorante insieme all'amante. Riassume tutta la sua insicurezza ed il voler vivere oltre le sue possibilità, non poterlo fare, per un attimo voler provare a limitare i danni e non riuscirci.
Errore: Quando spara alla madre non si sente il rumore del corpo cadere.
Verissimo: il film è lento, a tratti stucchevole e monotono, così come decisamente prevedibile il finale e volutamente scarna la scenografia: non è, in poche parole, il film da noleggiare per trascorrere il gioioso dopocena con gli amici! Tuttavia, se da un film chiediamo di farci meditare e ad un attore di stupirci con un'interpretazione maestosa del personaggio medio e mediocre, oppresso dalle proprie menzogne e dalle eccessive attese altrui, allora godiamoci questo "drammone" francese. Ma soprattutto rendiamo omaggio a Daniel Auteuil, splendido e poliedrico attore, purtroppo sottostimato e poco noto al grande pubblico, forse solo perchè non hollywoodiano...