apre questo film con un pezzo da pelle d'oca, grande tributo di j. schnabel, ottimo cast, ottima metafora sulla vita, la vita di un artista, la vita di un grande uomo. ottima regia. ottima musica, molto commovente, finale intenso.
Quello che mi ha portato a vedere nuovamente “Basquiat” a distanza di cinque anni dalla sua uscita nelle sale è stato il ricordo dei colori con cui il pittore – regista Julian Schnabel ha dipinto il suo film.
Già la prima volta che lo vidi, sapevo chi lo aveva diretto e quale era la sua principale professione e ne ho subito scorto il segno, anche soltanto per quell’equilibrio con cui le vicende vengono raccontate, che può derivare soltanto dalla conoscenza del soggetto di cui si sta trattando.
La concorrenza tra gallerie d’arte e l’ipocrisia di fondo che regola molti dei rapporti tra artisti e mercanti viene descritta con pochi accenni, suggerita senza essere sbandierata, così da venire ad essere soltanto un dettaglio di un insieme più complesso, dato dalle vicende di un genio inquieto e tormentato come Jean-Michel Basquiat.
Per questo equilibrio dell’insieme e per i colori di cui parlavo prima, “Basquiat” mi dà proprio l’idea di un dipinto animato; il movimento e la musica aggiungono al silenzio delle immagini ciò che a volte io sento mancare quando osservo i quadri: l’animazione, appunto. Proprio qui passa la differenza tra cinema e pittura e già dal principio del film, in un dialogo tra lo stesso Basquiat e l’amico Benny, non si manca di sottolinearlo.
Sulla musica, elemento che ho sentito tra i protagonisti e non di sottofondo, c’è da dire che è composta, in equilibrio anch’essa, dalle voci più diverse: da Renata Tebaldi ai Rolling Stones.
Un inno alla virtù che sta nel mezzo, all’eliminazione del troppo e del troppo poco, questo film “Basquiat”, che per controsenso narra la vicende di un personaggio che negli eccessi si è consumato a soli 27 anni, dopo essere diventato il primo pittore nero ad attirare l’attenzione mondiale su di sé.
Mi viene da chiedermi cosa volesse dirci Julian Schnabel quando ha orchestrato tutto questo, perché qualcosa di preciso voleva dire, ne sono certa. La risposta la conosce solo lui, io posso solo conoscere il messaggio che è arrivato a me, sapendo già che, come nel telefono senza fili, non è detto che sia la stessa cosa.
Ed io allora che ho capito? Che l’equilibrio permette l’ascolto, la durata e una sostanziale visione dell’insieme che ci concede di apprezzare il rapporto tra i suoi particolari, mentre l’eccesso brucia e consuma le sue vittime in un tempo talmente breve che rende impossibile ad esse ogni forma di consapevolezza … Fatta eccezione per quelle che si fanno consumare volutamente e mi rimane il dubbio se Basquiat sia appartenuto ad una sola delle categorie o se piuttosto non sia rimasto al confine tra le due.