Bellissimo film. Ambientazioni suggestive e intrigranti. Molto realistici i costumi che ricreano fedelmente l'Italia rurale del 700. Il volto del vecchio monsignore è davvero agghiacciante.
Voto 10
Ho visto questo film oggi, dopo anni che lo cercavo. E devo dire che ha confermato le mie aspettative. Ottimo film, di non facile comprensione, ma veramente ottimo. Peccato non sia passato mai per televisione. Degno erede a mio parere di quell'altro capolavoro del gotico padano che fu La casa dalle finestre che ridono. Da vedere per palati fini!
Lo considero un film per un pubblico maturo, perchè è un lavoro che esula dal contenuto massificante e ricreativo del genere horror, ormai sempre più riferibile al trend americano,quando molti di noi, ahimè, non sanno che il nostro cinema settantiano e (in parte) ottantiano hanno dettato legge sopratutto oltreoceano. Pupi Avati riesce a diffondere il terrore "panico" sia attraverso le luci chiare e malate delle ore mediane (anche se questo stile è più avvertibile ne "La casa dalle finestre che ridono" dove il terrore sembra mischiarsi con l'arsura coadiuvata tecnicamente dal sinistro colore giallino della pellicola),sia quando nell'apparenza non accade nulla...ma si alimenta un'attesa che paradossalmente rende insopportabile anche un respiro.
Al di là di una trama,di una fotografia e di una recitazione in "presa diretta" assolutamente vincenti, Pupi Avati dimostra una sensibilità al tema della morte, della religione e della superstizione da rappresentare il sogno proibito di qualsivoglia regista.
Per chi non l'ha visto, sconsiglio la visione di gruppo o al max 3 persone,ma non di più.
Chi ama il genere horror è abituato a sorbirsi un sacco di film mediocri o peggio, nella ricerca delle rare "perle". Questo è uno dei film per cui vale la pena di continuare a provarci: grande atmosfera, ottima recitazione, ambientazione in scenari la cui bellezza e dolcezza amplifica l'angosciosità della trama.
“L’arcano incantatore” di Pupi Avati è il più straordinario film dell’orrore che ho visto in vita mia. Il suo merito maggiore è quello di non cadere negli effettacci dell’horror americano, l’orrore qui è creato dalla storia, dai rumori, dai suoni, persino dai silenzi. Splendido nella ricostruzione dell’ambiente (la biblioteca vale quella del “Nome della rosa” –del libro intendo, non del film) il film tiene incollato lo spettatore senza un attimo di tregua. Eccellente anche la fotografia (ma Pupi Avati quando si tratta del “suo” Appennino dà il meglio di sé, vedi “Una gita scolastica”, vedi “Storia di ragazzi e ragazze” o, per rimanere nel genere horror, lo straordinario “la casa delle finestre che ridono”). L’esoterismo, il satanismo diventano qualcosa di sottilmente inquietante che si infila sotto la pelle dello spettatore e non se ne escono nemmeno quando le luci di sala si sono riaccese: credo che lo sguardo della donna lampeggiante dietro l’enorme civetta affrescata sul muro, l’occhiataccia del monsignore (o di Nerio?) in biblioteca dall’alto della scala, il canto delle converse scomparse, il verso del gufo dalla finestra, persino l’impercettibile tremolio delle candele mi terranno compagnia questa notte e per le notti a venire.