Orribile. Con una recitazione dilettantesca e imbarazzante. Dopo i 3 Oscar per 'La vita è bella', qui Benigni, dispiace dirlo, è davvero penoso, con una interpretazione a dir poco ridicola. Per non parlare della sua adorata consorte Nicoletta Braschi, che nel ruolo della Fata Turchina fa di tutto per essere irritante. Film sbagliatissimo. Regia insignificante e momenti divertenti davvero non ce ne sono. Per il resto, nel film si salvano le coloratissime scenografie e costumi oltre a una bella fotografia. Tutto qua. Troppo poco. Per quanto riguarda il cast di contorno, solo un bravo Kim Rossi Stuart/Lucignolo si salva in un mare di desolante banalità. Sprecati gli altri: dal duo dei Fichi d'India (Gatto e Volpe) al Geppetto di Carlo Giuffrè (ah povero Manfredi...). Insomma un film davvero brutto, senza anima e poesia. Niente a che vedere con la versione capolavoro di Comencini del 1972. A Benigni non è riuscito il miracolo compiuto con 'La vita è bella', pur non essendo (siamo sinceri!) un capolavoro: fare un film attraverso la regia delle emozioni.
Non mi è piaciuto proprio questo film perchè secondo me qui Benigni ha voluto osare troppo interpretando un bambino nonostante la sua età; quest'errore infatti gli è costato caro perchè il film perde del tutto di credibilità e diventa davvero molto pesante in molti tratti con solo troppe poche scene carine.
Roberto Benigni realizza un film mlto bello e toccante. La storia non si discosta quasi per nulla dal libro, giusto l'inizio, credo per rendere il tutto più dinamico e divertente. Pinocchio è probabilmente la favola più sincera della storia dell'uomo. Una favola capace di raccontare i sentimenti più profondi della vita, attraverso una storia semplice e compatta. Sono dell'idea che sia sbagliato mettere a confronto un film con un libro, anche se lo stesso film è tratto proprio da un libro, perchè queste due forme d'are hanno caratteristiche totalmente differenti e modi diversi di esprimere concetti. Però se posso fare una sola critica a Benigni è forse quella di non essere stato capace di far immergere lo spettatore completamente nell'atmosfera della storia, come invece accade nel libro o nel cartone della disney. Per il resto nulla d'aggiungere. Voto 9
Aveva ragione Fellini a chiamarlo Pinocchietto. Benigni portava il legno di Pinocchio dentro di sé come il tronco di Geppetto conteneva già il burattino; prima o poi doveva uscire: Pinocchio entra in scena così, rimbalzando come un piccolo diavolo. Ha dovuto compiere cinquant’anni per tornare bambino, ma come tutti i bambini, anche Benigni ha qualche carenza: il film procede troppo levigato e smaltato, educato e preciso, soprattutto sempre sulla stessa tonalità: birichinate, delusioni, raggiri, punizioni, riabilitazioni, sono senza fioriture, e quella vocina un po’ stridula e languida (che venne inventata per lui da Fellini ne «La voce della luna») appare spesso fuori posto; inoltre Pinocchio distribuisce troppi baci (che non sono più i baci di una volta, come quelli propinati a Baudo o alla Carrà), e così resta la sensazione di un Benigni intimidito dalla sua stessa adorazione del testo collodiano, di un Pinocchio buonista, magari un po' monello, e indubbiamente destinato ad un pubblico infantile. Al pubblico italiano è invece indirizzata una frase in particolare, che Pinocchio ripete tre volte, e non a caso: «Che brutto paese, che brutto paese, che brutto paese!». Tuttavia, le stupende scenografie di Donati (al quale è dedicato il film) che si muovono al ritmo della musica di Piovani (sebbene eccessivamente ‘alla Rota’) ci ricordano che siamo dalle parti di Fellini; nonostante tutto, pur rimpiangendo che Fellini non abbia potuto realizzare il Pinocchio annunciato, Benigni si muove con una maestria raramente attinta negli ultimi film del Maestro, e riesce a sposare con discrezione il cinema tipicamente italiano ai fantasmagorici effetti speciali. Nell’insieme non si può proprio dire che la montagna abbia partorito un topolino; non è un capolavoro, ma è comunque un bel film; e alla fine, quando di Pinocchio resta solo l'ombra che si allontana, nell'ultima scena, inseguendo la farfalla (l'unico quadro davvero poetico) mi viene il rimpianto del film che avrebbe potuto essere: Benigni ha usato il burattino che è in lui per azzerare ogni sua precedente interpretazione.